avvenire.it, 14 dicembre 2022 – Mancano appena tre partite al termine del Mondiale in Qatar: la semifinale Francia-Marocco e le finali per il primo e terzo posto. Ma la Fifa non ha ancora preso posizione sulle richieste delle Ong a tutela dei diritti umani. In particolare sull’appello per l’istituzione di un fondo da 440 milioni di dollari per risarcire le famiglie degli operai che hanno perso la vita nella costruzione degli stadi.
Una somma che rappresenta una piccola parte dei faraonici investimenti effettuati dal Qatar e dei ricavi legati alla competizione: rispettivamente 230 e 7,5 miliardi.
Per questo Human Rights Watch, Amnesty International, Equidem e Fair Square sono tornate a farsi sentire: «La Fifa sta continuando a rifiutarsi di impegnarsi a risarcire i lavoratori migranti e le loro famiglie per le violazioni dei diritti umani subite. Il presidente Gianni Infantino ha fatto dichiarazioni fuorvianti secondo le quali i lavoratori potrebbero accedere ai meccanismi di risarcimento già esistenti in Qatar. Tali meccanismi in realtà non forniscono alcun significativo rimedio.
A ciò va aggiunto che gran parte dei decessi di lavoratori migranti sono stati attribuiti dalle autorità locali a «cause naturali» o «arresto cardiaco» e dunque sono «esclusi dai risarcimenti». E dire che la Fifa nel 2017 aveva creato una commissione diritti umani in previsione dei Mondiali in Qatar (Fifa Human Rights Advisory Board) che, però, è stata smantellata a dicembre 2020, quando la marcia di avvicinamento stava entrando nel vivo.
Ne parla il dettagliato report di Equidem che ha intervistato 60 lavoratori e raccolto 982 testimonianze, interpellando anche le imprese internazionali coinvolte nella costruzione degli stadi, compresa l’italiana Salini Impregilo. L’opera di verifica nei cantieri, come spiega Equidem, era sistematicamente ostacolata: prima delle visite degli ispettori, veniva fatto suonare l’allarme anti-incendio per spingere gli operai a tornare negli alloggi ed evitare contatti con gli inviati della Fifa. Ben presto i lavoratori hanno notato la coincidenza e alcuni di loro hanno provato a restare sul posto per denunciare mancati pagamenti o pericoli eccessivi, sfidando l’intervento della security. Secondo questa ricerca, era sistematica la divisione delle mansioni su base etnica. Agli immigrati da Nepal e Bangladesh spettavano i compiti più pericolosi. Meno rischi, invece, per i lavoratori di origine araba.
C’è anche chi è stato punito per aver segnalato queste situazioni problematiche al comitato organizzatore. È il caso di Addullah Ibhais, media manager del Qatar Supreme Committee for Delivery and Legacy (l’ente creato per preparare i Mondiali), che ad agosto 2019 ha riferito di uno sciopero dovuto a stipendi non versati. Tre mesi dopo, è stato arrestato con l’accusa di corruzione. Fair Square ha sottoposto la vicenda all’attenzione del comitato dell’Onu sulle detenzioni arbitrarie.
Non è chiaro cosa potrà cambiare in meglio dopo il Mondiale se pochi giorni fa Nasser Al-Khater, uno dei massimi dirigenti del comitato organizzatore, ha risposto così a chi gli chiedeva dell’operario morto sul lavoro nel resort che ospitava l’Arabia Saudita: «La morte è parte della vita».
Più degli effettivi miglioramenti conta diffondere un’immagine positiva. È il quadro che emerge dall’inchiesta sui legami tra alcuni europarlamentari e il Qatar, con passaggi di denaro che, secondo i magistrati belgi, avrebbero avuto come scopo anche quello di edulcorare i giudizi sul rispetto dei diritti umani in relazione al Mondiale. Tra i soggetti perquisiti c’è l’europarlamentare belga Marc Tarabella che nel recente passato aveva già incrociato temi a sfondo calcistico, come la denuncia del match-fixing per truccare le partite, accompagnando spesso le iniziative di Federbet, associazione molto attiva nella prima metà dello scorso decennio, poi uscita dai radar in seguito all’inchieste della magistratura (Operazione Galassia) che ha colpito il suo vertice.
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