STEFANIA CELENZA: “La Famiglia secondo Mussolini”

STEFANIA CELENZA: “La Famiglia secondo Mussolini”

Mi piacerebbe molto che, quantomeno in Italia, si potesse raggiungere uno stato di affrancamento e direi quasi di purificazione ideologica e storica, rispetto agli stereotipi inesorabilmente collegati alla figura di Benito Mussolini e sopratutto del Fascismo. Sarebbe bello poter conoscere, studiare, approfondire e capire il Fascismo, nella sua verità storica, finalmente liberi dalla imponente campagna di dissacrazione e di demonizzazione che ancora oggi non dà cenno di affievolirsi. E’ oltremodo difficile, se non impossibile oggi, approcciare qualsivoglia argomento che riguardi le due parole impronunciabili di “Mussolini” e “Fascismo”, senza allusioni derisorie e riferimenti sdegnosi, provenienti anche dai più insigni intellettuali. Lungi da me qualsiasi apologia del Fascismo, tuttavia devo dire di essere stata sempre estremamente diffidente, per istinto, ad ogni forma di “damnatio memoriae”, perché ritengo che ogni fatto storico, pur con le sue peggiori connotazioni (e forse proprio per questo) non dovrebbe essere MAI cancellato. Penso che se si senta la necessità di eliminare e di rimuovere anche solo il ricordo di qualcosa o di qualcuno, ci debba essere un motivo ben preciso. E questo motivo non può essere mai liberale. La Verità è il solo, assoluto, irrinunciabile baluardo della Libertà. In questo senso, a difesa della verità storica ed a fronte della attuale crisi della Famiglia, in Italia, ho voluto sottoporre ad una attenzione neutrale ed obbiettiva le politiche sulla Famiglia che furono messe in atto nel ventennio fascista. Alcune premesse storiche: La cultura giuridica italiana, in materia di Famiglia, fra Restaurazione e Risorgimento, fu connotata dalla mediazione fra la progressiva affermazione dell’individualismo e le ragioni del familismo tradizionale, che continuava a imperversare in buona parte della società civile italiana. La cultura patriarcale e gerarchica ottocentesca si stava evolvendo verso un’idea di famiglia che rappresentasse un corpo intermedio fra l’individuo e lo Stato e poi ancora verso una democratizzazione della società domestica, attenta alla tutela dei componenti più deboli. Ma l’apporto culturale italiano nella prima metà del Novecento, in linea con la tradizione ottocentesca, era ancora nel senso della famiglia gerarchica e patriarcale. La figura di maggior spicco, in questo momento, fu quella di Antonio Cicu (1879-1962), il più importante giusfamilista del Novecento in Italia e, forse, in Europa. Docente Universiatario, culturalmente cattolico e nazionalista, propugnava una concezione organicista della famiglia, imperniata sul matrimonio e sulla patria potestà. La volontà del padre, capo del nucleo domestico, esprimeva, secondo Cicu, la volontà della famiglia, in quanto istituzione organica, mentre i poteri paterni, in quanto poteri non arbitrari, ma ‘organizzati a un fine’, rappresentavano una sorta di Governo della famiglia. Il potere del padre era incentrato sull’idea del dovere, più che su quella del diritto. La premessa della patria potestà di Cicu era nel riconoscimento dell’interesse della famiglia, quale unità organica (e non già quale mera somma degli interessi individuali dei componenti). Come il rapporto fra cittadino e Stato, quello tra figlio e padre appariva come una necessità, estranea alla volontà delle parti. Insomma, la famiglia pensata dal Cicu era una famiglia che ‘assomigliava’ allo Stato, ma che non era ancora deltutto parte dello Stato. Dunque, coniugare la tradizionale autonomia della famiglia patriarcale, con lo statalismo nascente, fu la contraddizione che attraversò la cultura europea novecentesca, ovunque si trovò al potere. Su tali premesse si radicheranno le politiche mussoliniane della Famiglia. Il Fascismo, dal suo lato arcaico e tradizionalista, riproponeva politicamente il mito della famiglia tradizionale, ‘italica’ e patriarcale e, in ispecie, quello della famiglia rurale mezzadrile, tradizionalista ed estesa, utile a cementare la morale e i costumi. Lo spirito individualista, a cui si ispirò la legislazione napoleonica, aveva, infatti, ostacolato e mortificato l’unità della famiglia rurale, che aveva da sempre connotato la storia economica e giuridica italiana. Ma dall’altro lato modernizzante e totalitarista, il Fascismo auspicava la giuridicizzazione del diritto di famiglia. L’art. 147 del codice civile del 1942 è emblematico, laddove imponeva ai genitori, e segnatamente al padre/capo famiglia, di educare obbligatoriamente i figli sulla base dei principi del fascismo, sotto pena della perdita della patria potestà. E questo perché lo Stato fascista considerava la protezione dell’infanzia e della giovinezza come un’alta funzione pubblica. Funzione da assolvere in più modi, ovvero, a mezzo di suoi organi e di appositi istituti, mediante l’intervento nell’attività educativa familiare, con la protezione della filiazione illegittima e le varie forme di assistenza tutelare dei minori abbandonati. Così, il padre si configurava come un delegato dello Stato, nell’educazione dei figli quali ‘futuri cittadini’, sottoposto in quanto tale a un ferreo controllo pubblico. Il nucleo familiare divenne così la cellula fondamentale dello stato fascista, e ciò fu reso esplicito nel Codice Civile del ’42, in cui il giurista Rocco definì la famiglia “un’istituzione sociale e politica”. L’ideologia fascista inquadrava anche le donne in una visione gerarchica del rapporto fra i sessi, in funzione della riproduttività, cui conseguiva il culto della virilità. La famiglia era incentivata ad essere prolifica e ad essere collegata organicamente allo stato. Per questo le donne venivano incoraggiate a sposarsi presto e ad avere tanti figli. E’ in questo senso che alla donna veniva attribuito il modello di regina del focolare. Come si vede, tutto ruotava intorno al tema dell’ aumento della popolazione. Infatti, la prima preoccupazione di Mussolini fu quella del declino demografico e dell’urgenza di adottare politiche pronataliste “Un popolo ascende in quanto sia numeroso” ripeteva spesso Mussolini “Tutte le Nazioni e tutti gli imperi hanno sentito il morso della loro decadenza, quando hanno visto diminuire il numero delle nascite” (B. Mussolini, Discorso dell’Ascensione, 26 maggio 1927). Per questo motivo il Governo Fascista ha protetto ed incoraggiato in ogni modo l’aumento della popolazione. Si tassavano i celibi, si favorivano le famiglie numerose, si esaltava la famiglia “primo nucleo della società umana e scuola dei sentimenti più delicati”. Si vedano le agevolazioni fiscali per le famiglie numerose (L. 14-6-28 num. 812), la concessione dei premi di natalità e di nuzialità ai dipendenti pubblici, l’estensione degli assegni familiari ai dipendenti di aziende private e l’istituzione dei prestiti di nuzialità e di natalità. Va detto che quello del regime fascista rimane l’unico esempio di politica demografica razionalmente progettata e realizzata in Italia. Tra gli interventi più significativi del Fascismo, vi è la creazione e la diffusione massima della Opera nazionale per la protezione e l’assistenza alla maternità e all’Infanzia. Il R.D. 24-12-34 num. 2316 istituì l’ONMI, appunto Opera Nazionale per la Protezione della Maternità e dell’Infanzia. Questa istituzione benefica aveva il compito di “provvedere alla protezione e assistenza delle gestanti e delle madri bisognose o abbandonate, dei bambini, lattanti e divezzi fino al 5° anno di età, appartenenti a famiglie che non possono prestar loro tutte le necessarie cure per un razionale allevamento, dei fanciulli di qualsiasi età appartenenti a famiglie bisognose, e dei minorenni fisicamente o psichicamente anormali, oppure materialmente e moralmente abbandonati, traviati e delinquenti, fino al compimento del 18° anno…Favorire la diffusione delle norme e dei metodi scientifici di igiene prenatale e infantile nelle famiglie… organizzare, in concorso con gli altri enti interessati, l’opera di profilassi antitubercolare nell’infanzia e la lotta contro le altre malattie infettive… vigilare sull’applicazione delle disposizioni legislative e regolamentari in vigore per la protezione della maternità e dell’infanzia, promuovendo anche, ove opportuno per il miglioramento fisico e morale dei fanciulli e degli adolescenti, la riforma di tali disposizioni…” Inoltre, l’ONMI era investita del potere di vigilanza e controllo su tutte le istituzioni pubbliche e private di assistenza per madri e fanciulli, provvedendo anche, ove necessario, a sovvenzionare istituzioni private meritevoli, ma con scarse risorse patrimoniali. Le norme più importanti sulla cui applicazione l’ONMI doveva vigilare erano quelle concernenti la tutela della maternità delle lavoratrici, l’assistenza e tutela degli illegittimi abbandonati, la mutualità scolastica e la tutela del lavoro della donna e del fanciullo. Numerosi sono stati gli atti legislativi fascisti sulle tematiche della tutela della donna e della madre. In particolare veniva sancito il diritto alla conservazione del posto di lavoro per le lavoratrici madri e il periodo di “licenza” ante parto e successivo. Venivano altresì previsti i permessi obbligatori per allattamento e l’obbligo per le aziende con più di 50 operaie di adibire un locale a camera per allattamento. Tutte le lavoratrici dipendenti erano di diritto assicurate per “l’evento maternità” presso l’Istituto Nazionale Fascista di Previdenza Sociale (ovvero, il sempre vigente “INPS” oggi solo deprivato della consonante F), che versava alla madre un assegno di lire 300. In caso di aborto (naturale, essendo neppure concepibile quello volontario) la lavoratrice riceveva dall’ IN(F)PS la somma di lire 100. Altre disposizioni importanti erano quelle riguardanti la promozione, nelle scuole elementari, della conoscenza delle norme di igiene e l’assistenza agli scolari gracili e predisposti a malattie, anche tramite il loro invio in luoghi di cura. L’ONMI fu, pertanto, una istituzione benefica che realizzò cliniche, case di riposo e di convalescenza per le madri, colonie climatiche marittime e montane, scuole all’aperto, ospedali e sanatori per i figli. Si prodigò per assistenza sanitaria e soccorsi economici ai bisognosi, combattendo, in modo speciale, la tubercolosi che mieteva tante vittime in giovine età. Non per ultima, bisogna segnalare la complessa normativa che tutelava il lavoro delle donne e dei fanciulli, inibendo ad essi alcune mansioni particolarmente gravose o pericolose e subordinando la possibilità di assumere minori, all’adempimento degli obblighi scolastici (che doveva risultare dal libretto di lavoro), nonché stabilendo, per alcune categorie di aziende, l’obbligo di periodici controlli medici. Un’altra iniziativa del Fascismo, a tutela della gioventù, sulla cui bontà sembra difficile che possano esservi dubbi, fu l’Opera Nazionale Balilla, creata con L. 3-4- 26 num. 2247, che era un “ente morale per l’assistenza e l’educazione fisica e morale della gioventù”. Erano offerti agli iscritti all’Opera numerosi servizi, tra cui le attività sportive, i campeggi e l’invio alle colonie montane, marine ed anche elioterapiche (per i bambini bisognosi di cure specifiche). L’ ONB inoltre, con RD 20-11-27 num. 2341, assumeva l’incarico dell’insegnamento dell’educazione fisica nelle scuole, materia che divenne obbligatoria dalla terza elementare. L’ ONB non era un organo di partito, ma un ente dipendente dal Ministero dell’Educazione Nazionale. Lo Stato, dunque, si occupava di assistere e tutelare i giovani. Così lo stato fascista diviene anche l’educatore, il padre generoso ma severo, che pretende dai figli una fedeltà e un’obbedienza totali. Per concludere, non è possibile, a mio modesto avviso, disconoscere al fascismo il merito storico di una legislazione decisamente avanzata per la sua epoca, avendo realizzato delle tutele che hanno indubbiamente costituito la base, anche dopo la caduta del regime, per una sempre miglior regolamentazione del lavoro giovanile, dei diritti delle madri lavoratrici, del sostegno sociale alle famiglie indigenti e dell’aiuto alla maternità. Nel momento di grande buio valoriale, culturale e sociale in cui ci troviamo a vivere oggi, trovo che voltarsi a guardare il più recente passato possa fornirci una preziosa ispirazione. Prima, però, dobbiamo saperci depurare dai condizionamenti dissacratori che ancora inquinano uno studio pienamente libero della storia italiana del primo ventennio del 1900.


Signa,
10 dicembre 2022

Stefania Celenza  

6 commenti su “STEFANIA CELENZA: “La Famiglia secondo Mussolini”

  1. L’aumento demografico all’epoca significava potenza nei progetti di conquista ,oggi siamo in un percorso a ritroso.La politica dell’attenzione alla famiglia è deludente, basti solo pensare che nelle famiglie estese c ‘era sempre qualcuno che si occupava dei bambini ,ora molti nonni non riescono a prendersi cura dei nipoti perché l’età pensionabile è posticipata

  2. Carissima Stefania ottimo e coraggioso articolo per “dare a Cesare quel che è di Cesare” e mi auguro che i lettori capiscano che sei ben lungi dal fare apologia del fascismo. Come penso avrai letto in un mio articolo, vivo in una città Latina ex Littoria ancora vittima della “damnatio memoriae”. Questa dannazione purtroppo è un male assoluto; non si può e non si deve buttare tutto alle ortiche. Ancora oggi, nonostante le continue picconate, usufruiamo di un apparato sociale frutto delle riforme fatte nel periodo fascista.

      1. Nelle lezioni di storia, con la scusa della mancanza di tempo, si preferisce sempre limitarsi ad esporre la limitata versione storica di regime tendente sempre ad evidenziare solo i diffetti degli sconfitti e quindi si fa solo propaganda. Ma da sempre, purtroppo, la storia la scrivono i vincitori.

        1. E’ esattamente quello che si dovrebbe fare nella Scuola: Epurare tutte le versioni “storiche” di regime e di propaganda e tornare a valorizzare la verità storica. La libertà (di pensiero, di educazione e di vita) passa solo attraverso la verità. La NOSTRA Storia è vero, l’hanno scritta i (sedicenti) vincitori, ma è la NOSTRA Storia e dobbiamo riscrivercela noi. Secondo Verità. Solo così saremo veramente liberi.

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