VITTORIO ZEDDA: “Che fine ha fatto la “buona educazione”? La società intera, non solo la famiglia e la scuola, hanno perso la capacità di educare. Così come abbiamo perso il sano “amor proprio”

Riprendiamo il filo del discorso iniziato con l’articolo sull’odio e l’amor proprio. Dal tempo di Caino, storia, miti e cronache ci confermano, come se ce ne fosse bisogno, che l’odio è una sorta di inquinamento planetario inespugnabile.
Opporvisi ha un valore di principio, in quanto tale irrinunciabile, ma non c’è opposizione che possa efficacemente contrastare l’odio se non in presenza di preminenti valori etici vissuti e praticati a livello individuale e sociale, capaci quindi di costituire una potente alternativa.

Il contrasto all’incitamento e alla diffusione dell’odio, come ogni buona intenzione può sortire qualche esito, ma è solo la costruzione di un uomo nuovo o di una nuova umanità che può limitare i danni dell’odio.
Una costruzione che è in atto da millenni, con il nome di educazione, ma che ogni tanto pare subire interruzioni e quindi paurosi regressi. Con un riferimento preciso al nostro tempo cito due fatti emblematici: genitori che aggrediscono gli insegnanti dei propri figli, persino a scuola, e parenti di pazienti che aggrediscono medici e infermieri negli ospedali.
Scuole e ospedali erano, mi spiace dirlo “al passato”, luoghi ammantati di una loro sacralità, e coloro che vi operavano, insegnanti o medici che fossero, non sarebbero stati aggrediti per un loro possibile errore vero o presunto, in un ambito che richiedeva assoluto rispetto e assenza di qualsiasi violazione, e, beninteso, né dentro né fuori dagli ambiti lavorati di riferimento un’aggressione sarebbe sembrata un sistema lecito di confronto.
Chiunque avesse avuto rimostranze da presentare, le più indiscutibili e motivate, ai responsabili di quelle istituzioni, lo avrebbe fatto nel consapevole ricorso a modi, tempi e luoghi idonei. Si dice: una volta certe cose non sarebbero successe. Ed è in gran parte vero, salvo qualche rara eccezione, di cui qualcuno di noi è al corrente.
Ma quelle che erano eccezioni sono ora fatti ricorrenti, e pure gravi, sempre meno tollerabili.

Che fine hanno fatto l’educazione e pure la “buona educazione”, intesa come correttezza anche formale dei comportamenti e delle relazioni interpersonali? È mai possibile che il bullismo, vera piaga del mondo adolescenziale, abbia contaminato il mondo cosiddetto adulto? La società intera, e non solo scuola e famiglia, nell’ultimo mezzo secolo hanno mostrato un indebolimento della loro capacità di educare e proprio, si noti bene, a partire dall’epoca in cui si evocava, anche a livello di riforme scolastiche, il valore auspicato di una “società educante”.
Ma la “società educante”, per operare positivamente, può scaturire solo da una “società educata”, e una società educata necessita del processo continuo di una “educazione permanente” e di un “ordine educante”. Il discorso qui diventa eminentemente pedagogico e richiede le competenze di addetti ai lavori, cioè di coloro che di scuola e di pedagogia si sono lungamente occupati per una scelta professionale. Richiede inoltre la convinzione che la pedagogia preceda e orienti il pubblico bene attraverso la politica, ed eviti quindi di seguire la politica, peggio se conformandosi a prospettive settarie.

Metto qui al centro l’amor proprio, solo per una prima basilare riflessione, in quanto spendibile nel breve spazio di un articolo. Da quanto tempo non ne sentiamo più parlare? Ebbene una volta il richiamo al l’amor proprio era uno dei pilastri dell’educazione. Tutti i libri per l’infanzia, a cominciare dall’impareggiabile “Pinocchio”, veicolavano il fondamentale messaggio dell’amor proprio. Forse oggi non si sa più nemmeno che cosa sia. Probabilmente si pensa che sia solo il vecchio nome di un concetto superato.
Era il modo di definire l’amore per la propria dignità e per tutto ciò che di positivo potesse riguardare la propria persona in tutti i suoi aspetti. Amore per il proprio onore e il proprio decoro esteriore ed interiore, soprattutto morale. Volontà di migliorarsi e di crescere in cultura, saggezza, onestà, capacità di relazionarsi in modo corretto, aperto ed educato con tutti. Impegno a potenziare e coltivare senza pigrizia le proprie doti e abilità pratiche, artistiche, creative e immaginative. Discernimento nell’attingere ispirazione dai migliori esempi e non dai peggiori. Saper rispettare chiunque ed in primis le donne, i bambini, gli anziani e sapersi guadagnare il rispetto altrui. Rispettare i luoghi della civile convivenza, i beni artistici e ambientali, i beni culturali, la natura, gli animali, gli ambiti degni di rispetto in cui è richiesta compostezza e decoro degli atti e delle espressioni. Essere pronti a proteggere i deboli e attenti alle necessità di chi ne ha bisogno, coltivando il gusto e il piacere dell’aiuto e della condivisione, come segno distintivo del proprio modo di essere. Avere coscienza dei propri doveri e poi anche dei propri diritti. Interiorizzare ed esprimere fattivamente la propria disposizione al lavoro. Controllare i propri impulsi e le umane tentazioni cui tutti siamo soggetti. Guadagnarsi la stima e il benvolere degli altri, senza minimamente cedere a forme di servilismo e di piaggeria. Esercitare la pazienza e la prudenza negli atti e nei giudizi. Controllare l’irritazione e la collera, per quanto motivate, in favore di una superiore serenità e fermezza di propositi, che richiedono anche coraggio ed equilibrio. Potersi riconoscere appieno nella propria costitutiva natura di Essere Umano a tutti gli effetti.

Per definire di quanti altri fini si sostanzia l’amor proprio in termini di completa formazione umana, in una visione calibrata sulle istanze del nostro tempo, ci vorrebbe una “commissione permanente di esperti in campo educativo”. Certamente non meno opportuna di una “commissione contro l’istigazione all’odio”, e probabilmente di questa anche più utile.
Per voler bene bisogna anzitutto volersi bene. E in questo senso va anche inteso quel motto evangelico che contiene uno dei più importanti pilastri dell’educazione: «Ama il prossimo tuo come te stesso». Come ami te stesso, perché se non ti ami non ami veramente nessuno. Come ami te stesso, non di più. E il tuo prossimo è chi ti sta vicino, anzitutto, perché prossimità è vicinanza, affinché non si ignori chi ti è prossimo per “amare” solo chi ti è lontano, perché ti disturba di meno.
L’amor proprio non è quindi attenzione concentrata solo su sé stesso, ma coscienza della propria umanità che si completa nella relazione con gli altri.
Amor proprio è anche guardarsi con accortezza dall’inganno, materiale e morale anche a salvaguardia della propria solidità caratteriale. Non è solo cura della propria igiene e della propria salute fisica, ma anche salvaguardia della propria salute interiore. L’inganno ferisce e distrugge l’amor proprio dell’ingannato, ne mina l’autostima, la fiducia e ne ostacola l’attitudine alla condivisione. Chi strumentalizza a fini ingannevoli l’altrui propensione alla bontà, reca uno dei danni peggiori ad un essere umano, proprio perché ne colpisce nell’intimo l’umanità. E diventa quindi seminatore di delusione, ingiustizia, rancore e odio.
Quanto inganno viene occultato dietro le più altisonanti e auliche espressioni, usate come capziose bandiere o strumentalizzazioni politiche. A fini ignobili vengono curvate preziose parole come tolleranza, condivisione, accoglienza, inclusione. Gli esempi non mancano. In antitesi all’inganno e all’odio che ne deriva, quante trappole sarebbero evitabili con un adeguato consapevole esercizio dell’amor proprio, inteso come bene personale e sociale cui attribuire un ruolo prioritario, nel contrasto all’odio, in una scala di valori umani e civici.

Vittorio Zedda

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