DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: ” L’enormità di Dante e la sua attualità senza tempo”

Dante è enorme. L’immensità del debito che abbiamo nei suoi riguardi lo rende irriducibile a categorie interpretative che ne limiterebbero, in sé, l’approccio e la ricezione. Dante ci è padre, nel senso proprio che il suo esempio non ci consente di eluderlo, perché ha permeato di sé il futuro. Ma non significa affatto che ci si possa permettere di collocarlo in improbabili posizioni di asservimento nei riguardi delle manifestazioni ideologiche, politiche e culturali di questo secolo o del precedente.

L’accettazione dell’universalità dei valori celebrati nella Commedia, tra cui il diritto a un’esistenza felice non vincolata al successo nella contingenza, la certezza di una giustizia e di una misericordia superiori in grado di riabilitare la fallibilità umana e una tensione costante tra umano e divino in funzione di un’armonia superiore che regge il creato e gli dà un senso, costituisce la misura della limitatezza di un approccio storicistico a Dante.

Nicolò Mineo, tra i maggiori studiosi di Dante a livello planetario, ha sottolineato il rischio di adottare schemi interpretativi di questo tipo nella lettura della Commedia.

Se si intende la storia come progresso, secondo un approccio moderno, post-illuministico, si rischia di non capirlo Dante Alighieri. La sua visione del mondo e della vita è legata alla prospettiva metafisica e ideale che egli ha della Storia. La Commedia, dice Mineo, è un’opera “a tesi”, cioè un’opera non comprensibile tramite l’applicazione delle categorie del rispecchiamento del reale: la Divina Commedia non nasce in un momento storico di cui semplicemente riflettere le tendenze in atto a livello congiunturale.

La prospettiva da cui Dante guarda alla realtà è di tipo metastorico e teologico. La sua opera nasce in un contesto concreto, fatto di eventi e di situazioni, ma si proietta in una dimensione superiore, nella quale si sussume, pur senza sovrapporsi al reale. Si tratta dell’opera che, per la sua grandezza, ha dato l’avvio alla letteratura italiana e ne ha rappresentato, al contempo, il momento più alto. Ma non in un’ottica epica e strettamente nazionalistica.

La materia del capolavoro dantesco è religiosa. Mosso da questa ispirazione l’autore si proietta in un’ottica profetica che segna la via del superamento del momento in cui egli vive, oltrepassando i limiti delle società di ogni tempo. È ideale il modello di società a cui punta Dante, sostanziato dei valori della “sobrietà e della pudicizia” (N. Mineo Dante: un sogno di armonia terrena Torino, Stampatori, 2005).

Invero, la visione di Dante è inattuale, guarda al passato piuttosto che al presente, eppure si proietta in un futuro a cui puntare come a un obiettivo di perfezionamento. Ed è allora in un’ottica siffatta che bisogna cogliere la perenne attualità di Dante, in quanto pensatore che individua il modello immutabile e indiscutibile da cui la società umana si è allontanata, anche se non irrimediabilmente, in una prospettiva che accomuna universalmente gli uomini in ogni spazio e in ogni tempo.

Non sarebbe condivisibile nessuna forma di approccio a Dante attraverso parametri valutativi che si limitino a vederlo come un pensatore di un solo momento storico. Men che meno sarebbe pertinente l’errore prospettico di chi voglia assegnargli un ruolo di intellettuale di Destra o di Sinistra, schierato all’interno di raggruppamenti politici dei quali il grande Poeta del Trecento non poteva avere coscienza.

Diversi sono stati gli intellettuali che si sono sentiti in dovere di esprimersi per farsi beffa dell’infelice dichiarazione in merito alla presunta posizione di Dante Alighieri come pensatore di Destra.

Mi si consenta però di denunciare un forte limite di questi interventi che ne svilisce irrimediabilmente il valore e la condivisibilità. Manca evidentemente a molti intellettuali la prospettiva che consentirebbe loro di individuare nella crisi delle democrazie attuali il risultato dell’azione omologante e di appiattimento operata dalla grande finanza speculativa globalizzata. Il potere esercitato da politiche liberiste di stampo capitalistico sovranazionali ha svilito l’approccio di lettura rivolto al mondo attraverso parametri interpretativi che siano quelli della Destra e della Sinistra.

Il consociativismo partitico che da anni caratterizza i governi che si alternano nel nostro Paese ha dimostrato che gli interessi per i quali si amministra la Nazione fanno capo a poteri forti che esulano dalla sovranità popolare. Le banche impongono direttive che hanno annichilito ogni prospettiva ideologica che non sia quella del guadagno economico, riservato, evidentemente, a una ristretta casta oligarchica che regge le sorti del mondo.

Non si tratta più di guardare al mondo secondo una chiave di lettura bipartita, quella della Destra e della Sinistra. Non è coerente con quello che sta succedendo, questa visione oramai anacronistica. La prospettiva è quella della riduzione dell’esistenza a un nuovo ordine unipolare, in cui le peculiarità e le differenze culturali e umane, finanche quelle fisiologiche che caratterizzano uomo e donna, vengono appiattite su un unico modello, che si limiti alla replicazione di uno stesso livello esistenziale basso della vita, povera e senza dignità.

La varietà e l’eterogeneità delle culture e delle tradizioni dobbiamo tornare, tutti, a valorizzarle come un tesoro identitario irrinunciabile. Se questo dovesse significare apparire reazionari e non sufficientemente moderni e al passo con i tempi, ben venga. Accettiamo pure questo bisogno di alcuni di classificarci in precise categorie. Sarà comunque per una ragione più che valida. Dobbiamo resistere nei confronti di queste tendenze degeneri. E il modo migliore per farlo è quello di approfondire e di non limitarsi alla superficie delle cose.

Dante Alighieri non avrebbe potuto avere coscienza di quello che si sta vivendo nella nostra attualità. Ma vederci precipitare a un livello di disumanità bestiale per via di alcune dissacranti tendenze presenti, nel suo tempo e sempre nella storia (che egli, per primo, ha denunciato ed è stato in grado di ribaltare prospetticamente), lo avrebbe reso sicuramente convergente con la proposta alla quale, umilmente, faccio ricorso anche io per rinascere come civiltà locale, nazionale e umana.

 

3 commenti su “DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: ” L’enormità di Dante e la sua attualità senza tempo”

  1. Non mi viene in mente nessun grande o modesto scrittore dopo Dante Alighieri, che abbia provato in un’unica opera a descrivere e giudicare – con sensibilità umana, religiosa e poetica – gli uomini e la società del proprio tempo.
    Dante Alighieri è un monumento della cultura italiana poiché, come pochi scrittori prima e dopo di lui, ha spaziato dalla lirica pura al romanzo filosofico in terzine, agli studi filologici sul volgare.
    La questione di mettere il bollino di Destra o di Sinistra agli artisti del passato è una cosa deprimente e ridicola. Le categorie Destra/Sinistra appartengono alla Storia del Novecento, quando in una stessa nazione convivevano forze e culture antagoniste: la cultura alta e delle classi agiate, contro la cultura bassa di origine contadina. L’omologazione culturale cominciata negli anni Sessanta non solo ha demolito la cultura della tradizione popolare, ma anche la cultura alta o di origine umanistica. Viviamo in un presente culturale deprimente, dominato da una cultura di massa e dei mass media lontana dalle tradizioni popolari e umanistiche, in cui la mediocrità, la volgarità e un certo sconsiderato cinismo sono diventati esempi da imitare.

    1. Concordo, Gualdo. Un’unica postilla a quanto hai detto. Come Dante non c’è nessuno. Ma tutti i grandi hanno guardato alla società e alla natura umana per farne un quadro complessivo del proprio tempo. Per non andare troppo lontani basta accennare a Boccaccio, la cui opera è anch’essa una commedia, umana però non divina. Dante è un monumento a trecentosessanta gradi, è un genio come lo sarà Leonardo da Vinci, ma attenzione alle categorie a cui facciamo riferimento: la Divina Commedia è un poema religioso non un romanzo filosofico. Se ci leggesse il professore Mineo ci maledirebbe!

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