“STEFANIA CELENZA: “Le unioni civili delle coppie omosessuali hanno i diritti ma non i doveri del matrimonio eterosessuale. La realtà dei figli nati in provetta o con l’utero in affitto”

Prima di affrontare l’argomento delle “unioni civili”, voglio fare una riflessione.
E’ davvero bizzarro che, in una società dove i giovani non riconoscono più il matrimonio come un progetto di vita, dove anche la convivenza appare un impegno troppo gravoso e sopratutto dove non si crede più nella procreazione, ci sia stato un così potente movimento ideologico, politico e legislativo che ha fortemente voluto regolamentare, per gli omosessuali, quegli stessi obbiettivi, così in disuso fra eterosessuali: matrimonio e figli.

La legge sulle unioni Civili (cosiddetta Cirinnà) è infatti una nuova fondamentale tappa di quel processo di “ridefinizione” della famiglia iniziato negli anni sessanta del secolo scorso.
Fino al 5 giugno 2016, data dell’entrata in vigore della Legge n. 76 sulle “Unioni civili”, le tipologie di famiglia si identificano in tre istituti: il matrimonio concordatario, il matrimonio civile e la convivenza more uxorio, ovvero la famiglia di fatto.
Con la legge Cirinnà, a tali tipologie di famiglia, se ne sono aggiunte altre due: l’unione civile omosessuale (quasi integralmente parificata giuridicamente al matrimonio) e la convivenza eterosessuale ex legem, ovvero la convivenza di fatto.

È chiaro che ci troviamo di fronte ad un nuovo diritto di famiglia, laddove il concetto stesso di famiglia, così smembrato, si è totalmente impoverito. Prova evidente della tendenza a svalorizzare la concezione di famiglia la fornisce la stessa Legge Cirinnà che ha eliminato, per fare solo un esempio, l’obbligo di fedeltà. Aumentano i diritti e scompaiono i doveri.
Queste riforme, come si può osservare, favoriscono l’autonomia individuale e la realizzazione delle esigenze umane dei singoli membri della famiglia, a dispetto dell’interese superiore del gruppo, come era inteso nella famiglia tradizionale, che appunto trascendeva gli interessi individuali, intrinsecamente divisivi.

Vediamo, in breve, questa legge.
Legge Cirinnà n. 76/2016
Le unioni civili possono essere costituite solo tra persone maggiorenni, dello stesso sesso, che non abbiano tra di loro un rapporto di affinità o di parentela e nessuna delle quali sia incapace o comunque già sposata o unita civilmente con un altro soggetto.
Dall’unione civile, ciascun componente della coppia assume nei confronti dell’altro l’obbligo alla coabitazione e all’assistenza morale e materiale. Più in generale, con un’unione civile i partner acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri.
Al momento della costituzione di un’unione civile la coppia è chiamata a scegliere il regime patrimoniale del vincolo, tra quello della comunione e quello della separazione dei beni. Così come avviene per il matrimonio, il regime ordinario è quello della comunione dei beni e la separazione dei beni resta una possibilità della quale avvalersi in maniera espressa.
A tale proposito, anche i soggetti uniti da un’unione civile possono costituire un fondo patrimoniale, dato che a tale vincolo si applica la relativa disciplina, così come quelle dell’impresa familiare, della comunione legale e della comunione convenzionale.
Alle coppie dello stesso sesso unite con tale vincolo si applicano le discipline relative all’amministrazione di sostegno, all’inabilitazione, all’interdizione e all’annullamento del contratto a seguito di violenza.

Tutta la disciplina della successione legittima è stata estesa, dalla Legge Cirinnà, anche alle unioni civili, cosicché al partner omosessuale del de cuius spetterà l’intera eredità in mancanza di figli, fratelli, sorelle e ascendenti del defunto; i due terzi dell’eredità in presenza di ascendenti, fratelli o sorelle del defunto; metà dell’eredità in caso di concorso con un solo figlio o un suo terzo in caso di concorso con più figli del defunto.
Lo stesso dicasi per la successione ereditaria, per il che il coniuge e la parte di un’unione civile sono interamente equiparati. Di conseguenza, quest’ultima ha sempre il diritto di abitazione sulla casa familiare e di uso sui mobili che l’arredano.
Anche in materia di diritto del lavoro, la legge Cirinnà riconosce, in caso di morte del lavoratore, il diritto del partner, oltre alla reversibilità, al pagamento di tutte le indennità previste dalla legge.
Peraltro, anche se l’unione civile si scioglie, il partner ha diritto al 40% del T.F.R. dell’ex, maturato negli anni in cui il vincolo era in essere, purché non vi sia stato, successivamente, un matrimonio o una nuova unione civile.
Alle unioni civili, si applicano, poi le discipline del congedo matrimoniale e del divieto di licenziamento per causa di matrimonio, nonché le disposizioni in materia di permessi per lutto o per eventi particolari o per assistere il coniuge disabile e quelle in materia di trattamento economico, per massimo due anni, per assistere una persona affetta da disabilità accertata.
Anche il componente di un’unione civile ha, infine, la priorità per la trasformazione del rapporto di lavoro da full time a part time nel caso in cui abbia la necessità di assistere il partner malato oncologico.

Fino a qui, come con il matrimonio. Analizziamo le differenze.
Come già detto, la legge Cirinnà non fa alcun riferimento né all’obbligo di fedeltà, né a quello di collaborazione, che invece scaturiscono dal matrimonio.
Ripetiamo, aumentano i diritti e scompaiono i doveri. Esiste un’altra differenza.
Il cognome di famiglia viene scelto dalla coppia tra entrambi i loro cognomi, dichiarandolo all’ufficiale di stato civile e fatta salva la possibilità di ognuno di anteporre o posporre il cognome dell’altro al proprio, mentre, nel matrimonio civile, invece, è la moglie che aggiunge sempre al proprio cognome quello del marito (non so fino a quando).
Inoltre, se l’unione civile si scioglie, gli effetti sono più immediati, rispetto al matrimonio.
Per poter sciogliere l’unione civile non occorrono 6 mesi di separazione (come per i matrimoni) ma bastano solo 3 mesi (divorzio breve). Se le cose non vanno, basta un colpo di spugna. Aumentano i diritti e scompaiono i doveri.

Stepchild adoption
La nota maggiormente dolente di tutto ciò è stata, come è noto, l’argomento della adozione, non potendosi trattare, per coppie omosessuali, di filiazione naturale.
Con la Legge Cirinnà, tecnicamente, sembra non essere riconosciuta la possibilità che il figlio minore di un componente della coppia (che si suppone nato da fecondazione eterologa o da gestazione per altri) instauri un rapporto di “genitorialità sociale” con l’altro, a seguito di adozione (cd. stepchild adoption, appunto). Ciò asseritamente a causa del presunto “stralcio” del famoso articolo 5, sulla stepchild adoption, del disegno di legge originario.
In vero, questa espressione ha dato adito ad un gioco di parole, che ha prodotto confusione, adulterazione ed errori.
La tendenza ad inglesizzare tutto ha fatto esprimere con una locuzione anglofona ciò che, dal 1983, è ampiamente previsto e regolamentato dall’ordinamento italiano, attraverso l’art. 44, comma 2 e comma 3, lettera b, della legge n.184/83, sull’adozione. Trattasi di adozione in casi speciali, nella fattispecie, dell’adozione del figlio del coniuge, con il consenso dell’altro genitore biologico, se esistente. La procedura si svolge avanti al Tribunale per i Minorenni, preposto a verificare se l’adozione richiesta corrisponda all’interesse del figlio e se vi sia l’idoneità affettiva ed ambientale, la capacità educativa, personale, economica e familiare di colui che chiede l’adozione. L’interesse è sempre stato quello di tutela massima dei diritti del minore.
E’ proprio a causa dell’esistenza di questa precisa previsione normativa, che il fatto che all’interno della legge Cirinnà sia stata eliminata la stepchild adoption, è un falso. L’omosessuale può lo stesso adottare il figlio del partner civile. Ecco perché.
La legge in oggetto, come sopraddetto, ha istituito le unioni civili fra persone dello stesso sesso, parificandole, ad ogni effetto giuridico, al matrimonio. Ne discende che coloro che siano stati uniti civilmente, esattamente come i coniugi, possono regolarmente accedere alla procedura ex articolo 44, comma 2 e 3, lettera b, della legge n. 184/83, ovvero richiedere l’adozione del figlio del partner, senza alcun bisogno di altre precisazioni legislative.
Lo stralciato art. 5 appariva già inutile e pleonastico nel disegno di legge, essendo chiaro il suo puro intento demagogico. Avere cassato l’art. 5, dalla legge Cirinnà, avendolo fatto passare come un grande sforzo diplomatico, equivale a non avere aggiunto, né tolto assolutamente niente al quadro legislativo originario.
In sostanza, ci si è vantati di non avere aperto un varco all’adozione da parte degli uniti civilmente, quando ciò è già perfettamente possibile e legittimo di per sé.

Altro motivo di confusione mentale è lo stretto collegamento, negato dai più, tra unioni civili, stepchild adoption e utero in affitto. Ma la confusione è presto rimossa.
Si è già visto che persone dello stesso sesso, unite civilmente, essendo equiparate a coniugi, possono legittimamente chiedere l’adozione del figlio del coniuge. Bene: non sfugga il dato biologico elementare che persone omosessuali non possano avere figli naturali, nell’ambito del loro rapporto omosessuale.
Se vogliamo pensare, come molti vorrebbero far credere, che, comunque, la stepchild adoption escluda tassativamente il ricorso all’utero in affitto, dobbiamo riferirci ad una vera e propria eccezione. Infatti, c’è solo un caso, molto raro, in cui l’adozione del partner omosessuale riguardi il figlio naturale dell’altro (che sarebbe quella, invece, consentita).
E’ il caso della persona omosessuale che, in una precedente esperienza eterosessuale, abbia avuto figli propri. Ma in questo caso, poiché, per la adozione del figlio naturale del coniuge, occorre l’autorizzazione dell’altro genitore, si deve restringere ulteriormente la casistica, alla fattispecie in cui l’altro genitore sia deceduto. E’ ragionevole pensare, infatti, che il genitore vivente difficilmente darà il consenso all’adozione del proprio figlio. Dunque, il famigerato articolo 5 sarebbe stato espressamente pensato per quei rarissimi casi in cui acceda all’unione civile una persona omosessuale, che, precedentemente, abbia avuto figli naturali, con una persona poi deceduta.
Solo in questo caso il partner può richiedere la adozione del figlio naturale dell’altro.
In tutti gli altri casi, è chiaro, il figlio del partner che si vuole adottare è frutto di pratiche di fecondazione artificiale eterologa e, in caso di uomini, non può che provenire da pratiche di utero in affitto.

A niente valgono le repliche di chi dice che tanto in Italia l’utero in affitto non è consentito. In Italia, purtroppo, è consentito tutto e il contrario di tutto. Basta che lo voglia il regime, la dittatura del pensiero unico. Laddove qualcosa non sia (ancora) consentita dalla legge, lo sarà presto dalla magistratura. Non è stato da meno il Tribunale dei Minori di Firenze che, per primo, riconobbe, anche in Italia, ad una coppia di due uomini italiani, ma residenti nel Regno Unito, l’adozione di due fratellini. Interessante è osservare che in tutti questi interventi, financo nelle sentenze dei Giudici, non ci si dimentica mai di dissertare sul preminente interesse del minore. Flatus vocis. Così i Giudici fiorentini telecomandati si sono arrampicati sugli specchi, appellandosi ad un inverosimile «interesse superiore del minore» a conservare lo status di figlio riconosciutogli da un atto valido in un altro Paese dell’Unione Europea, talchè il mancato riconoscimento, in Italia, del rapporto di filiazione esistente nel Regno Unito, determinerebbe al minore un’ «incertezza giuridica».
Siamo sicuri che sia interesse superiore del minore non avere tale incertezza giuridica? Siamo proprio sicuri che l’interesse preminente che si sta perseguendo non sia quello di adulti i quali, pur avendo fatto (liberamente e legittimamente) scelte sessuali infeconde, pretendono lo stesso di avere un figlio, come se fosse un loro diritto? No, noi non ne siamo sicuri.

Stefania Celenza

3 commenti su ““STEFANIA CELENZA: “Le unioni civili delle coppie omosessuali hanno i diritti ma non i doveri del matrimonio eterosessuale. La realtà dei figli nati in provetta o con l’utero in affitto”

  1. Grazie Stefania Per il bel articolo esplicativo su una materia tanto complessa e tanto stirata da interessi vari e attacchi ideologici alla Famiglia tradizionale naturale. Condivido le tue preoccupazioni e domande cui anche per me la risposta è no.
    La Cirinna’ come dici bene dà sempre più diritti e meno doveri, così che si rischia di sfociare in assurdità illegali. Pensa la tragicommedia se fossero i matrimoni ‘naturali’, uomo-donna a essere parificati alle unioni omosessuali.
    Appunto prendiamo la fedeltà ed assistenza reciproca : per esempio, mettiamo mia moglie (è solo un esempio, ehhhh…..), mettiamo dicevo che mi faccia le corna…. non potrei chiedere la separazione per infedeltà, così dovrei magari tenermela e forsanche mantenerla, chiudendo un occhio.
    E se invece gli ammiratori fossero multipli e reiterati, potrei invocare davanti al giudice la causa di prostituzione, o rimanere come si dice, becco e bastonato??
    O forse manca alla causa, il lucro, per cui potrebbe invocare a giustificazione il suo buon cuore e donazione universale??
    E se poi però ricevesse dallo stuolo di ammiratori costanti regali, di varii valori, si configurerebbe la prostituzione?? Ed io visto che le sue entrate esentasse superassero di molto le mie, dovendo chiudere entrambi gli occhi, potrei essere accusato di favoreggiamento???
    Non rispondermi, non voglio sembrare mettere le mani avanti.
    Ho scherzato e chiedo venia, ma le domande restano serie in questa assurda tragica commedia dei diritti assoluti e personali e doveri ormai assenti. Diciamo che la situazione è tragica, ma non seria.
    Si sta distruggendo la base della Società, del Diritto, della Persona, nell’apatia o peggio collaborazione di politici e Istituzioni.
    Ci vorrà un miracolo a raddrizzare le cose, come dice Magdi, ma la fede e la speranza sono le nostre uniche armi, da imbracciare, con l’unione della Comunità dei combattenti.

      1. Grazie Stefania per aver esposto in modo cosi chiaro un tema complesso e delicato e, soprattutto, ti ringrazio per aver posto in evidenza le storture di questo sistema, volto a distruggere uno dei pilastri della società.
        Personalmente nutro profonda disistima per soggetti come la ex parlamentare (non ricordo nemmeno se fosse deputata o senatrice) che ha dato il nome a questa legge, ritenendola un soggetto al quale non affiderei nemmeno il gatto quando vado in vacanza.
        Concordo con le tue conclusioni: hanno mascherato quello che è un desiderio parossistico di soggetti che hanno compiuto scelte infeconde con il diritto alla certezza di un rapporto filiale.
        Io continuerò a dire quello che penso e cioè che il matrimonio è tra uomo e donna, e che se proprio due persone omosessuali vogliono unirsi civilmente esistono anche doveri, non solo diritti.
        Almeno finché ce lo permetteranno

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