STEFANIA CELENZA: “Sono state davvero le donne ad inventare il femminismo?”

So che quello che sto per scrivere scandalizzerà i più (anzi le più). Ma scandalizzarsi fa bene, perché insinua il dubbio. Dubitare di certezze granitiche su cui abbiamo fondato gran parte della nostra vita, crea sofferenza. Per questo ci si scandalizza. Ma il dubbio è un elemento indispensabile della conoscenza e la conoscenza è un elemento indispensabile della libertà. Dunque conviene soffrire un po’.

Convinta, come sono sempre stata, che il Femminismo, fondamentalmente, non abbia fatto del bene alle donne, ma che, anzi, ne abbia mortificato il ruolo umano e svilito la funzione sociale, ho voluto pormi una domanda cruciale. Ma sono state davvero le donne ad inventare il Femminismo? Quando insorgono tali dubbi, l’investigatore si deve sempre chiedere: cui prodest?
Per rispondere, seguiamo alcuni passaggi logici, partendo dall’origine di due fatti storici decisivi. Il suffragio femminile e il movimento femminista. I due concetti devono essere senza dubbio collegati. Proviamo, allora, a fare una prima ipotesi di questo collegamento.

Voto alle donne → vasta ed interessante fonte di elettorato → nuova opportunità di approccio politico necessità di innovazione del messaggio politico ideologia femminista. Vediamo se l’esame storico può aiutarci a confermare questa ipotesi. Il movimento politico avente come obiettivo quello di estendere il suffragio, ovvero il diritto di voto, alle donne è stato storicamente quello delle cosiddette suffragette. Le origini moderne del movimento vanno ricercate nella Francia del XVIII secolo. Tra i primi Paesi a concedere tale diritto vi furono la Repubblica Corsa (nel 1755), il Granducato di Toscana (1849), la Repubblica Romana (1849), anche se durò pochi mesi. Le donne inglesi ottennero il diritto di voto nei consigli municipali e nei consigli di contea, nel 1880. Ma fu nel 1903 che sorse il vero e proprio movimento politico femminista che aveva lo scopo di ottenere il diritto di voto, per le donne. Il diritto di voto alle donne fu introdotto ufficialmente nella legislazione internazionale solo nel 1948, quando le Nazioni Unite adottarono la Dichiarazione universale dei diritti umani. Il suffragio femminile venne, poi, ormai, esplicitamente considerato un diritto sotto la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, adottata sempre dalle Nazioni Unite nel 1979.

Ottenuto il diritto al voto delle donne e costituitasi così una nuovissima platea di elettorato, occorreva trovare una comunicazione politica appropriata. Cosa di meglio che propugnare l’obbiettivo della “liberazione della donna”? In altre parole: per attirare l’interesse femminile alla politica si è patrocinata la necessità della lotta per la sua liberazione. Ecco che si sono venute formando, allora, generazioni di donne convinte di battersi per tutti quei diritti che pensavano fossero contenuti nel concetto di liberazione della donna.
Ma la premessa storica del femminismo nasce ancora prima della conquista del voto. La si trova, infatti, nella “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”, voluta dalla femminista ante-litteram Olympe de Gouges, nel 1791, in piena Rivoluzione Francese.

La Rivoluzione Francese, appunto. Indubbiamente questo è stato l’evento più clamoroso della storia umana, perché ne ha davvero modificato il percorso, in maniera irreversibile, per sempre. Con l’abbattimento della secolare monarchia francese, infatti, cominciò il processo che portò alla sostituzione del sistema politico dell’Ancien Régime, con un ordine sociale deltutto nuovo che, nei decenni successivi, condizionerà tutta l’età contemporanea, per certi versi, fino ad oggi. Sappiamo che nel contesto ispiratore della Rivoluzione, avverso il centenario assolutismo aristocratico e monarchico, fu la media e alta borghesia, fortemente influenzata dai principi dell’Illuminismo, ad introdurre, nella realtà politica, le idee di uguaglianza, tolleranza e libertà.
Ecco, qui facciamo attenzione.
Per ovviare alla drammatica situazione di crisi sociale e finanziaria della fine del XVIII secolo, re Luigi XVI (nipote del “Re Sole”), decise di convocare gli Stati Generali, ovvero i rappresentanti degli Stati che componevano la società francese, fra i quali appunto la borghesia (detto Terzo Stato). Si trattava di un evento storico, perché gli Stati Generali non venivano riuniti in assemblea dal 1615. Sebbene il Terzo Stato rappresentasse il 98% circa della popolazione francese, la votazione “per ordine” e non “per testa” ne limitava il potere decisionale. Ogni stato infatti poteva esprimere un solo voto e dunque gli altri due Stati, la nobiltà ed il clero, potevano facilmente battere, due a uno, il Terzo Stato, in ogni disputa. All’alba di un nuovo modo di professare le idee politiche, si scopriva la grande potenzialità del voto. Attraverso il voto, l’idea avrebbe potuto trasformarsi in realtà. Il voto conferiva la vera nuova forma del potere. Ecco perché, in occasione della convocazione degli Stati Generali, nacque, per la prima volta, il problema della diseguaglianza, al momento del voto. Il voto è fondamentale, il voto conta. Più sono i voti e più il timone del potere resta saldo. Fu compresa l’importanza dei numeri. Ed allora bastò guardarsi intorno e scoprire che questi numeri avrebbero potuto essere triplicati se al voto avessero potuto partecipare anche le donne … per questo, all’interno del pieno periodo rivoluzionario, ebbe facilmente luogo la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”.
Una volta ottenuto e consolidato il suffragio femminile, per costituire il programma politico idoneo al novello elettorato, è nell’Ottocento che viene coniato il termine “femminismo”, riferito al suddetto movimento per l’emancipazione delle donne. Nondimeno, il suffragio sarà esteso alla popolazione femminile solo nel ‘900. Nei tanto evoluti e democratici Stati Uniti le donne hanno ottenuto il diritto al voto, soltanto nel 1920. Forse per la legge del contrappasso, è proprio negli Stati Uniti che il movimento femminista si rivitalizza negli anni ‘60 del Novecento. I temi cari alle femministe di questa seconda ondata (non più occupate a conquistare il diritto al voto) sono nuovi, provocatori e scandalosi: si parla di sessualità, di violenza domestica (divorzio), di diritti riproduttivi (pillola contraccettiva, aborto), di parità con gli uomini. Anche in Italia il movimento femminista prende forma e per la prima volta assume dimensioni di massa, negli anni ‘70.
Il resto lo conosciamo bene.
Al termine di questo più che sintetico excursus storico, possiamo tornare alla domanda iniziale. Sono state davvero le donne ad inventare il Femminismo? L’ingresso e la permanenza delle donne in politica cui prodest?
Io tendo a rispondere: agli uomini.
Il fatto che poi questo gioco sia loro completamente sfuggito di mano è tutta un’altra storia.
Si sa, gli uomini non hanno mai capito nulla delle donne.

Stefania Celenza

Firenze, 28.01.2023

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