DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “Il nuovo clima culturale e un leopardismo “elegiaco””

La stretta integrazione, il legame d’indissolubile continuità tra attività e impegno critico-letterario, da un lato, e dimensione privata e intimamente autobiografica dell’esistenza, elevato già da De Sanctis a principio conduttore di tutto il proprio lavoro di studio, di ricerca, di produzione in genere, sia in poesia che in prosa, è da tenere in considerazione per valutare in che senso, nel periodo di permanenza del critico a Zurigo, Leopardi è presente nella sua coscienza.

 

Il condizionamento della sfera sentimentale di De Sanctis sui suoi giudizi, le sue osservazioni e le sue idee è determinante per capire perché il critico, in questo periodo, tende ad assumere letterariamente le forme di un leopardismo dai toni morbidi ed elegiaci, tutto “votato” a esprimere uno stato d’animo di sofferente e malinconica disillusione e angoscia.

 

Il fatto è che il critico, in questi anni, vive una situazione esistenziale difficile. Si registra un forte squilibrio, in lui, tra le proprie ambizioni e speranze personali e la realtà in cui si trova ad agire.

 

La crisi in cui si trova De Sanctis in questi anni si spiega con la mancanza effettiva di un rapporto con gli altri e con la società. Egli vive in una condizione di solitudine, che gli rende impossibile, nonostante ne senta il bisogno, svolgere un’esistenza privata e familiare appagante e una concreta e fattiva attività pubblica e professionale. La situazione generale della città di Zurigo è ben diversa da quella della cultura napoletana del decennio ’40-’50.

 

A Zurigo De Sanctis opera in un clima culturale influenzato dagli orientamenti ideologici che hanno origine in Europa a partire dal ’40, in seguito alla dissoluzione dell’hegelismo. L’esistenza a Zurigo di un circolo di schopenhaueriani convinti, fanatici, dà l’idea di un ambiente filosofico caratterizzato in senso idealistico. Proprio all’interno di quest’ambiente nasce e si configura la coscienza “realistica” desanctisiana.

 

Questa è una condizione ampiamente documentata dalle lettere desanctisiane scritte in questo periodo. In esse si riflette, in particolare, uno stato psicologico ed emotivo, rappresentato da una costante condizione di dubbio, da uno sconforto apparentemente disperato e senza soluzione, da una incapacità di dare significato alla vita stessa. Condizione, questa, che il critico d’altronde riuscirà a superare ben presto e in maniera definitiva.

 

Ma proprio in questa realtà emotiva ed esistenziale, De Sanctis trova gli spunti per identificarsi con Leopardi. E lo fa, nelle sue lettere e in alcuni suoi scritti di questo periodo, attraverso un processo di trasfigurazione in chiave leopardiana dei propri sentimenti.

 

Si tratta comunque di un “leopardismo” che non resterà limitato a lungo al pessimismo e alle tonalità negative con cui sembra individuarsi qui, ma che, anzi, cambierà radicalmente di segno.

 

Una grande speranza è al fondo del cuore del De Sanctis: Teresa. L’episodio della sua vicenda sentimentale con questa ragazza è forse il movente più tipico di quello stato generale di disperazione che il De Sanctis scorge e osserva in se stesso. È possibile che la bruciante delusione che dal rapporto con questa ragazza egli ricava, abbia su di lui un effetto catartico: passato il momento iniziale, il reale riacquista i suoi diritti sul vagabondaggio della fantasia e un nuovo equilibrio sembra delinearsi. Lo scopo della vita che il De Sanctis a Zurigo sente di non avere, lo ritrova, poi, sul piano storico-politico e non su quello privato, sul quale l’aveva vagheggiato al tempo della passione per Teresa.

 

De Sanctis recupera l’immagine di un Leopardi patologicamente sofferente, perché afflitto da mali fisici o perché “incurabilmente” desideroso d’amore, non corrisposto dalla donna che ama, e la fa propria trovandovi diretta corrispondenza e ideale conforto alla sua stessa situazione.

 

È vero che l’immagine, in negativo, di un Leopardi “sofferente” e continuamente in pena sembra apparentemente non rientrare nella mentalità del critico, il quale s’è configurato solitamente una fisionomia diversa della personalità del Poeta.

 

Ma il fatto stesso di ricorrere a Leopardi anche in questi termini, vale al critico la possibilità di arricchire le proprie potenzialità espressive di soluzioni dalla tonalità e dalla accentazione più morbida, sentimentalistica, tipicamente leopardiane, e soprattutto vale ad amplificare di ulteriori suggestioni il rapporto di intima compenetrazione poetico-esistenziale che il critico ha con il “suo” poeta, illumina sulla sensazione di profonda vicinanza e affettiva corrispondenza che De Sanctis sente nei confronti di Leopardi.

 

Il grande travaglio emotivo, ideologico, personale che il critico affronta negli anni in cui vive a Zurigo instaura un diretto parallelismo con la vicenda di Leopardi e accresce in De Sanctis, di conseguenza, l’esigenza d’approfondimento e chiarimento del mondo interiore, della natura e dello sviluppo della poesia del Recanatese.

 

È certo che questa esigenza nasca anche come stimolo a una più profonda e puntuale indagine su di sé, come istanza, che De Sanctis persegue, di una precisazione dei propri stessi moventi ideologici e sentimentali alla base del proprio agire umano e professionale.

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