DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “L’ideologia e la testimonianza letteraria: la dissoluzione del mondo antico nei Malavoglia”

I presupposti ideologici che muovono Verga alla stesura del romanzo I Malavoglia sono quelli di un uomo il cui punto di vista coincide con lo sguardo attento di chi, nell’Italia postunitaria, guarda alla situazione socio-politica ed economica della Sicilia cercando le cause dei mali che la attanagliano. Nel 1878 Giovanni Verga viene incaricato da Sidney Sonnino, allora giornalista fondatore della rivista “Rassegna settimanale”, di collaborare con lui al fine di studiare i problemi reali dell’Italia di allora, ampliando la conoscenza della situazione delle campagne e del Meridione del Paese.

Verga ritiene che il male principale di quei tempi si debba riconoscere nel progresso; e la sua proposta è quella di rifiutare la tesi secondo cui la causa sia proprio quella di un basso livello di “modernizzazione” del Sud.

I caratteri che assume il romanzo I Malavoglia non sono però affatto quelli di un’opera in cui si elabori una tesi che dimostri questa teoria. Al contrario, Verga considera inevitabile il progresso.

Il vecchio mondo, del quale si sente una non troppo dissimulata nostalgia nelle opere di Verga, è destinato a sparire definitivamente e per sempre.

Intellettuale conservatore, di orientamenti politici affini a quelli delle classi dirigenti, Giovanni Verga è uomo dalla trasparente onestà intellettuale che gli consente di evidenziare degli umili meridionali il carattere di vittime principali di una modernizzazione improntata a un progressismo solo ammantato di egualitarismo sociale.

È proprio il suo non condividere alcuna forma di progressismo democratico che gli permette di fornire una rappresentazione letteraria obiettiva e artisticamente neutra degli umili. La motivazione alla base della scelta di rivolgere la sua attenzione al mondo dei poveri, viene all’autore dei Malavoglia da istanze prettamente artistiche.

Nelle basse sfere del mondo umano, la «fiumana del progresso» la si può cogliere nei suoi aspetti più essenziali, evidenziandone meglio i risvolti più drammatici. Gli effetti dell’arrivo dell’onda del progresso, che travolge tutto, sono più facilmente raffigurabili nelle forme di vita più umili, quelle degli ultimi della scala sociale, in cui si sviluppano a un livello elementare. Chi viveva una vita moderatamente felice, nella sua incoscienza, subisce uno sconvolgimento tanto forte da rivelare inattuabile, per lui, ogni forma di perpetuazione dell’antico.

Non c’è in Verga alcuna inclinazione filantropica alla base della scelta del tema a cui rivolge il suo interesse. È l’impersonalità dell’autore a dare conferma del bisogno di rispettare un’obiettività che permetta di accertare la dignità della materia umana rappresentata al fine di fornire una validità documentaria alla ricerca.

La contraddizione tra l’avvento della modernità e il mondo arcaico-rurale che ne viene investito rappresenta la materia estetica della rappresentazione letteraria, che assurge così al magistero elevato di opera che indaga l’annientamento del mondo arcaico da parte del moderno e del progressivo prenderne coscienza da parte dei personaggi.

I Malavoglia è un romanzo impossibile da leggere secondo i criteri interpretativi di un approccio tradizionale. L’operazione di Verga è sperimentale e l’impronta che ne dà l’autore è volutamente antiromanzesca. Se è vero che i protagonisti del racconto sono i componenti della famiglia di pescatori Toscano, detti Malavoglia appunto, abitanti ad Aci Trezza, la vicenda si articola coinvolgendo una moltitudine di personaggi secondari, invischiati in fatti ed eventi di minore entità, che disorientano il lettore, perché introdotti nel racconto senza alcuna presentazione.

Specialmente nella prima parte, il sistema complicatissimo di relazioni sociali che Verga costruisce come risultato di una vera e propria indagine sociale, rende l’intreccio svilupparsi a fatica. L’opera acquista i caratteri di un affresco dettagliatissimo del villaggio di Aci Trezza, che viene presentato illustrandone fatti minuti e piccoli eventi abitudinari.

I personaggi che irrompono sulla scena senza preavviso sono legati tra loro da relazioni filtrate attraverso pettegolezzi, chiacchiere e impressioni parziali. Il lettore viene catapultato all’interno di questo affresco nel quale il proposito dello scrittore è che egli abbia l’illusione della realtà. Nessun artificio letterario che alteri l’immediatezza della materia del narrato viene impiegato da Verga, il che consente al contenuto del racconto di presentarsi agli occhi dello spettatore da sé, senza alcun tramite.

La realtà del paese di Aci Trezza descritta da Verga assume valore esemplare delle condizioni sociali di tutta la Sicilia. Le caratteristiche sociologiche di questo paese della riviera ionica, così come ce lo presenta Verga, lo rendono più simile a un comune in cui vige una filosofia dei legami con la terra più che l’apertura mentale tipica dei luoghi di mare.

L’articolato insieme di elementi irrilevanti e di insensatezze che si susseguono intrecciandosi nel corso della lettura del romanzo verghiano, lo rende un testo estremamente moderno. L’insistenza sulle casualità delle vicende fa sì che l’opera dia volutamente al lettore la sensazione di disperdervisi dentro (non a caso lo stesso Pirandello sottolineerà le qualità del testo verghiano esprimendo un suo elogio nei riguardi dello scrittore catanese).

Lo scrittore vuole dunque essere testimone nei confronti del mondo che egli rappresenta. Anzi, che si autorappresenta. E valore di testimonianza letteraria ha appunto il suo capolavoro nei confronti dell’ineluttabilità della forza inarrestabile del progresso e della modernità.

Verga compartecipa anch’egli di questo nuovo fenomeno culturale che annichilisce il passato. Il suo atteggiamento, però, non è ottimistico. Manca del tutto, lo scrittore, di condividere le istanze positivistiche di fine Ottocento. Piuttosto ne svela le contraddizioni nascoste, rivelandone il dramma tutto umano.

Carattere di ribaltamento antifrastico ha l’operazione di Verga, il quale sottolinea il peccato di irrequietezza e di egoismo del quale si macchiano i Malavoglia, rei dell’aver voluto intraprendere l’affare dei lupini per arricchirsi quel tanto in più da poter fornire una dote matrimoniale alla giovane Mena, figlia maggiore di Bastianazzo. Anziché virtù, la loro piccola ambizione diventa il “vizio” che conduce alla rovina la famiglia, e che renderà tutti i suoi componenti fautori e vittime della logica perversa del progresso, trasformandoli in “vinti”.

La scrittura verghiana si rivela dichiaratamente, come lo stesso Verga afferma nella sua Prefazione all’opera, come atto di rivelazione scientifica e documentaria del meccanismo perverso di decostruzione del mondo “antico”.

5 commenti su “DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “L’ideologia e la testimonianza letteraria: la dissoluzione del mondo antico nei Malavoglia”

  1. E’ incredibile come la situazione della Sicilia da te evidenziata nella interpretazione realistica di Verga sia abbastanza sovrapponibile alla situazione creata dalla minaccia del Grande Reset e per certi versi rischia di percorrere la logica vichiana del ricorso. Tu, caro Davide, scrivi quanto Verga sostenga con l’amico Sonnino che il male e il torbido della situazione economica non debba tanto addebitarsi alla modernizzazione in atto nel Sud dell’Italia quanto ai fumi e all’incertezza introdotti dal progresso stesso. Io sto preparando una presentazione sul Grande Reset che sviluppa la stessa tesi e cioè che non sono gli agenti tecnologici della modernizzazione quanto l’uso che se ne darà della modernizzazione stessa. Bella metafora che Verga nella sua epoca aveva saputo articolare per descrivere quanto il progresso avrebbe inciso nei valori . E’ vero che parliamo anche con Verga della forza inarrestabile della modernità ma è altrettanto vero che il ritmo di vita imposto dalla modernizzazione stessa del Grande Reset porterà l’uomo a dover rinunciare a quei principi non negoziabili che costituiscono ancora i pilastri della nostra vita terrena. Un vero e proprio suicidio delle prossime generazioni: proprio la “rovina” dipinta in modo magistrale dei Malavoglia. L’unica differenza è che Verga lo ha dimostrato in una narrazione unica e suggestiva mentre qui abbiamo una serie di grafici e statistiche che anche se stupidamente ignorati confermano assolutamente la stessa perniciosa diagnosi.
    E dalla caduta dell’Impero Romano in poi la storia , come dice G.B. Vico non ha fatto altro che ripetersi.
    Grazie Davide di questo lucido quanto accurato approfondimento.

    1. Grazie a te, Giorgio, per la tua lettura delle cose condotta come sempre nella direzione giusta e capace di coglierne i segnali rivelatori. Mi sto rendendo conto del fatto che i grandi ci hanno già detto tutto. Basta saperli rileggere, chiedendo loro di rispondere alle nostre domande. Verga ha rivelato quello che noi stiamo capendo tardi. Spero non troppo.

  2. Bellissimo e penetrante articolo su uno dei massimi scrittori italiani di tutti i tempi. Verga con “I Malavoglia” ha scritto davvero un grande romanzo corale, volutamente privo di una tesi concettuale. È un quadro, un affresco di un mondo arcaico che nel breve volgere di qualche decennio si sarebbe inabissato per sempre. Ma la genialità di quest’opera è nella sua originalità linguistica, che ricalca la sintassi popolare, fatta di ancacoluti, espressioni idiomatiche e proverbi, arricchita peraltro dai continui asindeti, che rendono la narrazione incalzante. E il racconto viene impreziosito con la mutazione dei dialoghi diretti in una lunga e frastagliata narrazione indiretta.

    1. Grazie Gualdo. Hai proprio ragione. Il capolavoro di Verga ha come elemento di originalità più evidente proprio la componente linguistica. Straordinario. Ed è un romanzo per noi estremamente significativo per come questo grande scrittore ci faccia proprio vedere il disfacimento dell’antico e l’arrivo del nuovo.

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