BURAK BEKDIL: “Erdogan alla vigilia delle elezioni presidenziali in Turchia conferma di essere un alleato inaffidabile della Nato”

Gatestone Institute, 5 marzo 2023 – La Nato è essenzialmente un’alleanza per garantire la sicurezza. Tuttavia, il suo preambolo afferma che l’organizzazione si fonda sui principi della democrazia, sulle libertà individuale e sulla preminenza del diritto. Il recital decisamente autocratico in scena in Turchia, un Paese membro della NATO, non presenta nulla di tutto ciò. Secondo il Democracy Index 2021 dell’Economist Intelligence Unit (EIU), la Turchia si classifica al 103° posto tra 167 Paesi. La valutazione si è basata su cinque parametri: processo elettorale e pluralismo, funzionamento del governo, partecipazione politica, cultura politica e libertà civili.

Nel suo rapporto Freedom in the World 2022, Freedom House, un’organizzazione con sede a Washington, D.C., finanziata dal governo degli Stati Uniti, ha inserito la Turchia nella categoria dei Paesi “non liberi”, insieme ad Afghanistan, Angola, Bielorussia, Cambogia, Cina, Cuba, Etiopia, Haiti, Iran, Iraq, Libia, Nicaragua, Russia, Arabia Saudita, Somalia, Sudan, Siria e molti altri regimi canaglia del Terzo Mondo. Si potrebbe, secondo i criteri della democrazia, immaginare che qualcuno di quei Paesi sia uno Stato membro della Nato? Ma la Turchia lo è.

Anche dal punto di vista della sicurezza, la Turchia è l’intrusa dell’Alleanza Atlantica. Nel 2012, la Turchia è entrata a far parte dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) come “partner di dialogo”. (Altri partner di dialogo sono la Bielorussia e lo Sri Lanka; membri osservatori sono Afghanistan, India, Pakistan, Iran e Mongolia). Nel 2022, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha detto che sperava di ottenere la piena adesione alla OCS.

Già nel settembre 2013, la Turchia aveva annunciato di aver scelto un’azienda cinese (una società colpita da sanzioni da parte degli Stati Uniti) per costruire la sua prima architettura di difesa aerea e missilistica a lungo raggio. Nel 2019, Ankara ha deciso di acquistare i sistemi di difesa aerea S-400 di fabbricazione russa. La Turchia è l’unico membro della NATO sanzionato dagli Stati Uniti ai sensi del Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act.

Nel maggio 2022, il partner della coalizione ultranazionalista di Erdogan, Devlet Bahçeli, ha affermato che la Turchia dovrebbe prendere in considerazione l’idea di lasciare la NATO. Forse ha ragione. Purtroppo, quanto dichiarato si è rivelato un bluff.

Erdogan ha bisogno della Nato, specialmente in questi giorni, che necessita di munizioni per la sua retorica anti-occidentale, anti-Nato, il cui slogan è «Noi contro gli infedeli», in vista delle elezioni turche del 14 maggio. E sta trascinando nella sua campagna elettorale la questione della prevista espansione verso nord dell’Alleanza Atlantica con l’ingresso di Svezia e Finlandia.

Due episodi provocatori avvenuti a Stoccolma nel gennaio scorso, l’effigie di Erdogan appesa a un lampione e un esponente politico danese che ha bruciato una copia del Corano davanti all’ambasciata turca, hanno offerto al presidente turco un’opportunità perfetta per ottenere sostegno e distrarre i suoi elettori da un’economia sofferente. Per inciso, entrambi gli episodi sono stati stigmatizzati dalle autorità governative svedesi.

Fortemente applaudito dai suoi elettori conservatori e nazionalisti, Erdogan ha affermato che la Svezia non può aspettarsi il sostegno della Turchia per la sua adesione alla Nato (ogni membro dell’Alleanza Atlantica ha potere di veto). Il 21 gennaio, il ministro della Difesa turco Hulusi Akar ha annullato una visita programmata del suo omologo svedese, Paul Jonson. Ankara ha altresì annullato un incontro trilaterale con Svezia e Finlandia sull’espansione verso nord della Nato.

Özer Sencar, presidente dell’agenzia di sondaggi Metropoll, ha dichiarato che amplificare le questioni di sicurezza della politica estera prima delle elezioni consente a Erdogan di consolidare la sua base elettorale. Egli «crea in seno alla Turchia la percezione di un “leader forte”», ha aggiunto Sencar. «Se si riesce a trovare una soluzione a una questione di sicurezza allora la gente va dietro al leader forte».

Cosa fare? John R. Deni, professore di ricerca presso lo Strategic Studies Institute dell’US Army War College, scrivendo su The Hill, consiglia di avere «pazienza strategica».

«Ci sono alcune misure che Washington potrebbe almeno segnalare che vengano prese in considerazione, se Ankara non cambiasse posizione in merito alla Finlandia e alla Svezia entro la tarda primavera. Tali misure potrebbero essere: indebolire la lira turca esternando il dispiacere e la volontà di agire di Washington; applicare un’altra serie di sanzioni alle principali esportazioni turche, ai ministri e ai leader turchi; reintrodurre restrizioni sulla vendita di armamenti militari americani alla Turchia; e manifestare la volontà di riconsiderare la posizione militare della Nato in Turchia, nonché la presenza americana lì. C’è il rischio che tali misure potrebbero avere un ruolo nella narrazione politica interna di Erdogan, ma potrebbero anche raggiungere l’obiettivo più importante di consolidare l’adesione di Finlandia e Svezia alla Nato. In ogni caso, al momento, la pazienza strategica sembra la scelta politica più prudente».

Deni ha ragione. Qualsiasi insensato confronto pubblico fra la Turchia e l’Occidente a pochi mesi dalle elezioni turche aggiungerebbe voti a favore di Erdogan. Molti turchi credono ancora a ciò che è stato loro insegnato alla scuola elementare: l’unico amico di un turco è un altro turco. Vivono ancora in un irreale mondo xenofobo in cui ogni altra nazione è nemica della loro terra e complotta contro la Turchia. Quel sentimento puerile, per quanto concerne la psicologia collettiva, li costringe a unirsi a sostegno del leader. Problemi con l’Occidente ed Erdogan vincerà ancora.

Burak Bekdil, uno dei maggiori giornalisti turchi, è stato di recente licenziato da un importante quotidiano del paese dopo 29 anni di lavoro, per aver scritto sul sito web del Gatestone ciò che sta accadendo in Turchia. È membro del Middle East Forum.

Traduzione di Angelita La Spada

https://it.gatestoneinstitute.org/19456/turchia-cavallo-troia

1 commento su “BURAK BEKDIL: “Erdogan alla vigilia delle elezioni presidenziali in Turchia conferma di essere un alleato inaffidabile della Nato”

  1. Ho letto con interesse l’articolo di Burak Bekdil a cui fa riferimento il Presidente Magdi <> e che è costato il posto di lavoro al bravo giornalista.

    Perché spero e mi auguro che Erdogan termini il suo mandato di Presidente della Turchia e non venga più rieletto? Per mille ragioni.
    Non che l’alternanza con il candidato secondo arrivato Kemal Kilicdaroglu con cui il Sultano dovrà vedersela al prossimo ballottaggio mi riempie di gioia in caso di vittoria.
    La ragione è che oggi, dietro molte delle costanti politiche aggressive della Turchia, come le sue attività anti-armene, anti-greche, anti-cipriote, anti-ebraiche, anti-curde, anti-occidentali e anti-israeliane, fanno capolino le idee razziste di Hüseyin Nihal Atsiz.
    Ho letto un interessante articolo a riguardo di Nihal Atsiz che voglio solo un poco accennare perché rafforzano il mio giudizio sul popolo turco e può spiegare perché ho poca fiducia che dopo le elezioni poco o nulla possa cambiare nella testa dei turchi.
    Il sig. Hüseyin Nihal Atsiz nella sua rivista Rivoluzione Nazionale del 1934 soleva dire:<< Come il fango non sarà ferro anche se viene messo in un forno, l'ebreo non può essere turco, per quanto ci provi. L'identità turca è un privilegio, non è concessa a tutti, soprattutto a quelli come gli ebrei. (…) Se ci arrabbiamo, non solo stermineremo gli ebrei come fecero i tedeschi, ma andremo oltre…" –
    Atsiz fu il promotore del panturanismo, noto anche come turanismo, turchismo o panturchismo, un'ideologia nazionalista ed espansionista che emerse nella Turchia ottomana durante l'era dei Giovani Turchi (1908-1918). Il turanismo crede nella supremazia dei turchi e mira a unire sotto lo stesso tetto tutto "il popolo turco" dall'Ungheria al Pacifico.
    Anche il Comitato Ottomano di Unione e Progresso (CUP), che organizzò la prima fase del genocidio cristiano del 1914-1923 nella Turchia ottomana, fu panturchista-turanista.
    La continua aggressività da parte di Ankara nei confronti dell'Armenia, di Israele, di Cipro, della Grecia e di altre nazioni della regione, oggi è altresì motivata dal turchismo, tra le altre ideologie estremiste.
    Arrivo adesso alla Turchia dei nostri tempi.
    A quanto pare, le opinioni di molti membri dell'opposizione turca non sembrano così diverse dalla mentalità violenta e suprematista del presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
    Fino a quando i leader e i politici dell'opposizione turca non affronteranno con onestà e non criticheranno la Storia turca fatta di crimini, di massacri e di razzismo sistematico, la vera democrazia rimarrà solo un sogno.
    Ritornando al ballottaggio dobbiamo dire che esso rappresenta una incognita anche dal punto di vista geopolitico.
    Erdogan si è ritagliato il ruolo di principale mediatore tra Kiev e Mosca e qualche risultato è riuscito a conseguirlo: mi riferisco all'accordo per fare uscire il grano dall'Ucraina.
    Accordo appena rinnovato recentissimamente seppur per due soli mesi.
    Il "duello" elettorale non può non tenere conto che la Turchia esercita una notevole influenza politico militare sull'ovest libico con la presenza di truppe in loco.
    Kilicdaroglu non è d'accordo sull'interventismo libico del Sultano. Questo potrebbe creare instabilità in Libia e i russi potrebbero rafforzarsi in quanto già presenti in Libia con i mercenari della Wagner.
    Putin ovviamente "tifa" per Erdogan.
    Dal 2017 la Turchia di Erdogan si è avvicinata alla Russia sul piano energetico e della difesa.
    Penso che se anche vincesse Kilicdaroglu in Turchia ci sarà conseguentemente una instabilità politica, visto l'eterogeneità della coalizione che lo sostiene.
    Di questa instabilità potrebbe approfittare Putin su alcuni fronti internazionali.
    Allo stesso tempo però Putin sarebbe privato di un solido punto di riferimento politico nel complicato quadro della crisi ucraina.

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