DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “La Voce, l’antiscientismo prezzoliniano e i propositi di una ridefinizione dell’identità dell’intellettuale di fronte al mondo moderno e alla guerra”

Prezzolini è un intellettuale realista. Il suo approccio ai fatti del mondo è un incontro tra pragmatismo e pessimismo. Egli ottempera al bisogno di realizzare azioni pratiche nel mondo, da una parte, dall’altra matura un rifiuto dell’azione, di cui, per converso, riconosce la fallibilità e l’inutilità.  Il giovane Prezzolini si inserisce nella disputa tra idealisti e positivisti schierandosi naturalmente con i primi: le teorie della praxis non lo seducono. Rimane positivamente impressionato dalla lettura di Matière et mémoire di Henri Bergson, che, sostiene Prezzolini, «più di ogni altro mi tolse dai legami e dalle superstizioni del materialismo».

Bergson si pone contro lo scientismo positivistico, pur riconoscendo le esigenze della scienza, che tuttavia rimane per lui una «conoscenza preparatoria» al mondo.

La Voce, importantissimo periodico primonovecentesco, di cui Giuseppe Prezzolini è fondatore assieme a Giovanni Papini, è il luogo letterario che fa da teatro alle vicende intellettuali del giovane scrittore perugino e che rappresenta forse il contesto formativo più emblematico della cultura del tempo.

La rivista La Voce e il movimento culturale al quale dà avvio, definiscono l’ambito in cui si perpetua la lotta per la maturazione di un nuovo modo di vivere e riflettono le notevoli antinomie del pensiero prezzoliniano. La rivista si fa specchio e, allo stesso tempo, promotrice di indirizzi ideologici e artistici innovativi e all’avanguardia.

Antonio Gramsci, la cui speculazione storico-filosofica si confronta in parte anche coi saggi di Prezzolini e col pensiero gentiliano, riconosce alla rivista di Prezzolini un merito e un limite. Il merito: l’impegno di Prezzolini (comune ad altri innovatori come Enrico Thovez) finalizzato a realizzare «una riforma intellettuale e morale nel periodo prima della guerra», ossia lo sforzo per svecchiare e sprovincializzare la cultura e per avvicinarla al popolo, cioè per nazionalizzarla. Il limite: la lotta «solo per la divulgazione» della cultura nazionale, «contro il provincialismo», cercando di «democratizzare ciò che necessariamente era stato “aristocratico” nel De Sanctis e si era mantenuto “aristocratico” nel Croce».

Quella degli intellettuali è una categoria di individui che ha occupato una posizione elitaria nella società, configurandosi, in genere, come una nicchia aristocratico-borghese di privilegiati, economicamente esclusa dal sistema produttivo. La modernizzazione che investe il neonato stato dell’Italia all’inizio del Novecento, si accompagna a uno sviluppo industriale che abbraccia anche i settori relativi agli apparati pubblici e agli impieghi statali.

La piccola borghesia rappresenta un bacino sempre più ampio a cui cominciano ad appartenere anche letterati e intellettuali, pienamente integrati nel mondo del lavoro e nella società. Quasi tutti sono insegnanti, giornalisti o impiegati. Questo fenomeno di proletarizzazione degli intellettuali non è di portata irrilevante. Si tratta di un cambio di prospettiva che si evidenza proprio nel bisogno di riformare la cultura italica per renderla più accessibile alle masse popolari piccolo-borghesi che rappresentano un bacino sempre più ampio.

Una nuova generazione di scrittori si affaccia sul panorama letterario, mossa da istanze di ridefinizione della propria identità e protesa al rinnovamento della funzione intellettuale svolta nella nuova società di massa.

Ed è questo il proposito che si pone Prezzolini quando fonda La Voce. L’intento di riformare la società in chiave borghese, nella ricerca di una nuova prospettiva di ridefinizione civile al fine di accorciare la distanza tra classi dirigenti e classi subalterne, si interseca, però, con il dibattito in merito ai propositi di partecipazione, o meno, alla Prima Guerra Mondiale.

La direttiva che risulta predominante nella Voce è quella che segue le linee dell’antigiolittismo, cioè di un interventismo che appoggia gli interessi di una borghesia industriale che ha scelto la strada degli armamenti. La Voce viene a intonarsi più alla posizione di Giovanni Papini, che ne assume il ruolo di direttore, che a quella di Giuseppe Prezzolini.

Proprio questa prospettiva diametralmente diversa di Papini lo induce ad allontanarsi nel 1913 dalla Voce per fondare Lacerba.

Prende piede, quindi, la scelta più nefasta, quella del rovesciamento degli equilibri, della rivoluzione violenta. Si esprime con forza la componente ribellistica, quella che si intona alla frustrazione del mondo della cultura che, da ambiente affiliato al potere o che ambisce alla posizione di reggenza nella società, si trasforma in una forza che esprime la polemica generazionale dei figli contro i padri.

Individuare una nuova funzione sociale dell’intellettuale è il proposito da cui muove l’atteggiamento di tutti gli scrittori che hanno maturato la necessità di accordare al nuovo mondo e al nuovo modo di vedere le cose la propria posizione e il proprio ruolo istituzionale di comunicatori e di rivelatori della verità.

Lo scoppio della guerra appiattisce ogni ambizione, azzera ogni proposito e pone l’alternativa se accoglierla con entusiasmo o se invece accettarla nonostante tutto.

Anche chi aveva riconosciuto nella guerra l’occasione per lottare per un obiettivo valido e condivisibile, dopo alcuni mesi assume una posizione di rassegnazione. È il caso della stessa Lacerba che, da rivista che era nata per riaffermare la libertà artistica e letteraria, si era trasformata in organo di esplicita trattazione di temi politici per poi chiudere definitivamente i battenti proprio in corrispondenza con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915.

È il caso di Scio Slataper, altro intellettuale anch’egli aderente inizialmente alla Voce, il quale se ne allontana perché non condivide, anche lui, la prudenza di Prezzolini. Slataper vuole “vivificare” la funzione sociale dell’intellettuale e renderlo in grado di uscire dall’ambito della sua ideale inazione.

Slataper sostiene che per adattarsi alle esigenze del mondo moderno la funzione dell’intellettuale debba essere anche quella di sapersi più opportunamente relazionare con il mondo della borghesia commerciale, calandosi direttamente nel vivo di una realtà politica ed economica che, a suo modo di vedere, richiede un rinnovamento.

Anche le prospettive progressiste di Slataper sono condannate a spegnersi inesorabilmente di fronte all’ineluttabilità della guerra.

In realtà, l’atto più rivoluzionario che un intellettuale possa compiere di fronte all’ipotetica ridefinizione dell’assunto istituzionale del proprio ruolo e, nello specifico, di fronte alla guerra, è quello di riaffermare la propria tradizionale identità.

Prezzolini matura una profonda disillusione che lo induce a non prendere posizione. Le sue convinzioni possono essere assunte in termini di metodo generale. Egli capisce che la violenza è aliena dallo spirito che necessariamente bisogna mantenere, in vita, al fine di condurre un’esistenza che eluda il rischio di incoerenza.

E anche dopo la fine della Prima Guerra Mondiale e dopo aver abbandonato la direzione della Voce, lo scrittore ribadirà le proprie convinzioni. Prezzolini persegue la seguente finalità: essere libero nell’osservazione e nell’indagine, fuori d’ogni conformismo ideologico e oltre ogni schema.

Con queste parole Piero Gobetti parla di Prezzolini in una sua lettera inviata alla fidanzata: «Al disopra di tutti i suoi limiti, al disopra delle sue debolezze dobbiamo riconoscere in lui un uomo che ha realizzato il bisogno nostro moderno di individualità e di concretezza di valori personali. Questo è il suo idealismo pratico assai più fecondo di tutte le teorie: il culto dei valori morali, il culto per ciò che è sforzo di una persona, integrale attuazione di individualità».

4 commenti su “DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “La Voce, l’antiscientismo prezzoliniano e i propositi di una ridefinizione dell’identità dell’intellettuale di fronte al mondo moderno e alla guerra”

  1. Il periodo del primo Novecento italiano fu vitale e fecondo. Si poterono affermare e diffondere cultura al di fuori delle istituzioni e nelle istituzioni personalità “nate dal nulla
    ” come Prezzolini, Papini, Gobetti, e poeti come Cardarelli, Saba, Ungaretti, che non avevano mai messo piede in una Università e si erano fatti conoscere scrivendo per le riviste letterarie dell’epoca.
    Quando si affermò il fascismo quasi tutti gli artisti e intellettuali furono simpatizanti fascisti, salvo poi prenderne lentamente le distanze. Gobetti, Gramsci, Croce, Moravia, più che anti-fascisti furono inizialmente a-fascisti. I provvedimenti legislativi presi dai ministri Gentile e Bottai non avevano il fine di irregimentire gli italiani ma di dare modo ad essi di poter espandere la loro creatività,
    Come scrisse acutamente P.P.Pasolini, riferendosi all’anima del popolo, il fascismo non fu un’arma di corruzione morale del popolo come invece lo fu la classe politica antifascista del dopoguerra.
    La decadenza culturale cominciò nei primi anni Settanta. Man mano che si inabissava la millenarria civiltà contadina emergeva alla luce del sole una classe di intellettuali, connotati e targati a Sinistra. il cui comune denominatore fu la mediocrità e il conformismo. Non che a Destra furono e sono migliori. il male non è la posizione politica ma il fatto che le istituzioni partitiche dominano e addomesticano le istituzioni culturali, e soffocano i liberi spiriti.

  2. Abbiamo da imparare dall’esperienza di Prezzolini, giornalista, scrittore, accademico ma essenzialmente intellettuale inquieto. Dalla testimonianza, come sempre magistrale, di Davide Ficarra emerge la dicotomia tra uno spirito ribelle e un uomo limitato sul piano dell’azione, che lo portò a emigrare laddove non ci fosse corrispondenza con una sua visione integerrima della vita. Apprezzabile per la sua coerenza, lodevole per la sua testimonianza, Prezzolini fece la scelta di non impegnarsi, di non tradurre la denuncia in una proposta, di non passare dalle parole ai fatti. Come per tutti gli intellettuali inquieti, anche Prezzolini va compreso e accettato per ciò che è stato.

    1. Prezzolini è un modello soprattutto per la sua coerenza e per la sua condotta integerrima. Non agì molto ma scrisse molto, anzi moltissimo. Credo che gli spazi d’azione, per lui e per altri grandi, si fossero pressoché annullati. Ammiro la sua pertinacia nel continuare a coltivare, a livello intellettuale, un proposito di cambiamento che, però, egli rinunciò a tentare di realizzare. Se noi, oggi, abbiamo modo di aprirceli quegli spazi d’azione di cui lui non godette, è il caso di affrettarci a sfruttarli. Proviamoci noi a passare dalle parole ai fatti, se non è già troppo tardi.

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