ISABELLA MECARELLI: “VIAGGIO IN EGITTO – Nella Valle dei Re – (capitolo 1 – segue) – >vedi galleria fotografica

“L’anatra egizia è un animale pericoloso: con un colpo di becco vi inocula il suo veleno e voi sarete egittologi per tutta la vita” (Mariette)


 
All’autogrill durante la sosta in autostrada ho telefonato a Magdi: mi era venuto in mente che non lo avevo ancora informato del nostro viaggio nella sua terra, in cui purtroppo non potrà più tornare perché minacciato di morte dai Fratelli Mussulmani. Data la sua conversione al cristianesimo, è considerato un infedele e secondo i principi del fondamentalismo islamico chiunque alzasse la mano su di lui sarebbe benemerito. Perciò è costretto a vivere sotto scorta, e questo accade nella nostra “libera” democratica Italia, sempre generosa nell’accogliere tutti, anche esponenti di formazioni eufemisticamente equivoche. Parlando del suo paese, mi ha più volte raccomandato calorosamente di visitarlo per la sua unicità.
“Dunque vai in Egitto? A quando la partenza?”
“Proprio adesso, siamo diretti alla Malpensa, volevo dirtelo perché penso ti faccia piacere”.
“Certamente! Sarà una bellissima esperienza, vedrai. Divertitevi.”

Ero emozionata. L’Egitto era l’anello mancante, e fra i più importanti, della lunga catena di paesi che circonda il Mediterraneo. Era stato sempre rimandato, vuoi perché da giovani io e mio marito Rolando non potevamo permetterci viaggi organizzati (i nostri sono stati quasi sempre economici tour faidaté), vuoi per i fatti politici degli ultimi decenni che hanno condizionato fortemente la circolazione delle persone in zone dove un tempo invece non era difficile recarsi.
Stavolta si trattava di un bagno di archeologia, e che archeologia! Inusitata, diversa dagli schemi classici occidentali. Le illustrazioni diffusissime dei monumenti egizi non rendono la loro visione reale, chiunque se ne può accorgere al primo impatto.
La crociera avrebbe toccato i siti più notevoli del Nuovo Regno, il periodo più ricco dal punto di vista artistico e anche politico, durato dal 1550 al 1075 a.C., una somma di secoli ancora lontani dai primi vagiti della nostra civiltà classica.

La notte del 2 marzo siamo atterrati a Luxor per imbarcarci subito sulla motonave Maharousa. Ma il sonno sarebbe stato breve, perché il mattino dopo era già in programma la prima visita. Avremmo cominciato dalla “terra dei morti”, inizio quanto mai significativo: per gli Egizi tutto ruotava intorno al futuro che attende ogni uomo. Finita la vita terrena, una fase solo di transito, iniziava quella “vera” nell’aldilà, così pensavano, e la collocazione della necropoli sul lato occidentale del Nilo, non è un caso: è il lato dove Osiride dirigeva il suo carro al tramonto. E “occidentali” erano definiti pertanto i defunti.
Proprio di fronte alla terra dei morti, sulla sponda opposta del Nilo, quindi a oriente, giaceva l’antica Tebe, la Città dalle Cento Porte, come Omero la definì. I suoi edifici civili sono oggi del tutto scomparsi, mentre rimangono nel territorio a margine dell’antica capitale i maestosi  templi di Luxor e Karnak.
Alzarsi prestissimo, ancor prima dell’alba, per visitare i siti egizi, è doveroso, date le forti escursioni termiche fra il giorno e la notte, che presenta ancora il tardo inverno: la differenza di gradi oscilla fra i 15 e i 35. Occorrendo sfruttare al massimo le ore fresche, la sveglia si deve caricare prestissimo.

Entrare nella Valle dei Re è come entrare in un museo a cielo aperto, ci avvertì Yasser, la nostra amabile guida, che al momento delle presentazioni ha tenuto a precisare di portare lo stesso nome di Arafat. Traversato il Nilo, oltre una sottile fascia verde, è subito deserto e si entra presto in una gola incassata tra aspre colline calcaree, costellate da numerose aperture che consentono l’accesso ai sepolcri. Questo ambiente scabro, lunare, si conforma perfettamente all’uso che ne è stato fatto. Naturalmente le tombe non sono state scoperte tutte, tante altre si suppone siano ancora nascoste. Gli archeologi lavorano in continuazione, per cui tutta la zona è come un grande cantiere, dove opera un brulichio di persone.
Se si eccettua la celeberrima tomba di Tutankamon, trovata intatta coi suoi tesori dagli scopritori Carter e Carnarvon (fortuna che, come si sa, fu seguita da conseguenze così nefaste da suscitare il sospetto di una maledizione del faraone, superstizione tuttora affascinante), le altre sono risultate perlopiù vuote ai visitatori occidentali che hanno cominciato ad affluire in Egitto fin dai tempi di Napoleone.
Tutankamon è stato un caso unico, perché praticamente tutte le tombe venute alla luce in tempi moderni erano state esplorate nel corso dei millenni da persone meno interessate alla storia che ai guadagni ottenuti dalla vendita delle ricche suppellettili. Ladri espertissimi del ramo, avvalendosi di un’esperienza tramandata di padre in figlio fin da tempi immemorabili, riuscirono ad aggirare qualsiasi espediente usato dagli architetti per salvaguardare il corpo del faraone e i suoi beni. A nulla valsero stratagemmi, trucchi, trabocchetti. I saccheggiatori riuscivano sempre, dopo ripetuti sforzi e tentativi, a penetrare nei sepolcri. Asportavano tutto quanto vi trovavano di trasportabile, lasciando naturalmente ciò che non era possibile rubare con i mezzi del tempo, ossia le ricche decorazioni che ornavano i sepolcri, gli affreschi e i bassorilievi dipinti.
Quanto fu trovato dagli archeologi, che costituisce pertanto un’infima parte delle immense ricchezze dei faraoni, giace nei musei del Cairo, di Torino (secondo per importanza), del Louvre, di Berlino, e di altri nel mondo, come il Metropolitan di New York, o la National Gallery di Londra. Se rimaniamo stupiti dalla bellezza e dall’originalità dei manufatti degli antichi Egizi, dobbiamo anche tener presente che si tratta solo di una parziale rassegna della loro produzione che ha attraversato millenni.

Nella zona di Tebe non si trovano le famose piramidi, la cui costruzione risale all’Antico Regno, e quindi al periodo in cui era capitale Menfi, situata a nord, nel Basso Egitto, dove dominava l’ingresso del Delta.
A partire dalla XVIII dinastia (1548-1292 a.C.) i sepolcri furono costruiti lontano dalla capitale, in pieno deserto. Questo per convenienza economica. Era troppo dispendioso continuare ad erigere giganteschi edifici come quelli di Giza. La costruzione delle grandi piramidi di Cheope, Chefren e Micerino era risultata talmente impegnativa e cara, da divenire motivo di forte malcontento fra i nobili, tanto da indurli a una sollevazione contro l’autorità del faraone. Fra le cause della crisi dell’Antico Regno pare che questo aspetto sia stato determinante.
Nella Valle dei Re invece furono adottate vere e proprie novità. Non più piramidi dunque, ma sepolcri sotterranei, scavati direttamente nella montagna, sistema ben più economico. Anche la pratica di sistemare addossati alle tombe i templi adibiti alle cerimonie sacre destinate al culto dei faraoni, fu abbandonata. Ora questi erano separati e collocati distanti.
All’imboccatura della valle, oltre la biglietteria, pulmini elettrici accolgono i turisti per trasportarli con un breve tragitto nella necropoli. Gli ingressi delle tombe sono stati costruiti ad hoc naturalmente, dato che nessun elemento poteva indicarne l’accesso, che veniva ostruito da una grossa pietra e nascosto poi da mucchi di materiale con l’intento di salvarle dai furti.

La prima tomba visitata era quella di Ramsete IV (KV2), appartenente alla XX dinastia, morto nel 1149, la bellezza di ben dodici secoli prima di Cristo. Lo schema di questi sepolcri si ripete con poche varianti: varcata la soglia, si presenta un corridoio più o meno lungo, dalle pareti ornate di bassorilievi dipinti; il percorso avviene in discesa fino alla camera del sarcofago. Le immagini che compaiono sui muri rappresentano il viaggio del faraone sulla barca che lo conduce nell’aldilà. Il colore rosso che compare nelle decorazioni sta a significare i pericoli del suo viaggio.
Il sole, RA, è onnipresente in quanto il dio più importante. Dà vita al mondo, sorgendo a oriente, e navigando sul Nilo durante il giorno, scompare a occidente per illuminare dall’altro lato il regno dei morti. E’ rappresentato in varie forme a seconda dei momenti della giornata, pertanto assume anche nomi diversi: KHEPRI è il sole del mattino e ha sembianze di scarabeo; RA, il sole di mezzogiorno, appare come un uomo con testa di falco che sorregge il disco solare attorniato da un cobra, animale che per gli Egizi era simbolo di regalità; ATUM viene chiamato il sole alla sera, rappresentato come un faraone che porta sul capo la corona doppia che unisce la bianca dell’Alto e la rossa del Basso Egitto. Il suo culto pertanto si può considerare una sorta di trinità.
Scendendo nella tomba di Ramsete IV attraverso corridoi fittamente ornati con immagini che raffigurano Ra, il faraone e il suo viaggio nell’aldilà, si arriva alla camera funeraria occupata da un enorme sarcofago di granito rosso, la cui forma ovale ricorda il cartiglio che circonda sempre il nome dei re. Ma la mummia del faraone fu spostata nella tomba KV35, di Amenhotep II, che fu utilizzata come deposito.
Il soffitto della stanza è decorato con una grande immagine alata di Nut, dea del cielo e grande madre, immaginata con il corpo di una donna che forma un arco sulla terra, toccandola con la punta delle mani e dei piedi. Secondo il mito ingoiava il sole la sera per partorirlo la mattina seguente in un eterno ciclo di morte e di rinascita. Questo fece di lei il simbolo per eccellenza della rigenerazione eterna. Le pareti intorno, molto ben conservate, sono decorate sontuosamente con scene dalle Litanie di Ra, dal Libro dei Morti, e da altri testi.
Teorie di cobra si dispiegano lungo le pareti: l’animale, rappresentato dall’ureo nei copricapi dei faraoni, era antichissimo simbolo di regalità. Il faraone portava sulla fronte il cobra eretto pronto ad attaccare poiché si riteneva che lo avrebbe protetto dai nemici. Numerose si susseguono anche le raffigurazioni del dio dei morti, Anubi, rappresentato come un uomo dalla testa di sciacallo; era lui che presiedeva alle operazioni di imbalsamazione e quindi la sua immagine è ripetuta più volte nei sepolcri.

La tomba di Ramsete IV è conosciuta fin dall’antichità, e da sempre frequentata da visitatori, non solo greci e romani, che attraverso i secoli non hanno esitato ad aggiungere graffiti incidendo le proprie firme. Lasciare segni sui monumenti dell’antichità anche da parte di gente istruita è stata una pratica molto diffusa fino a tempi molto recenti. Senza contare che questa tomba in particolare è stata anche adibita a ricovero durante la prima fase dell’era cristiana da parte di monaci copti che hanno lasciato numerosi segni sulle pareti, come croci e icone di santi.

 Isabella Mecarelli, Viaggio in Egitto, Capitolo 2 (Segue)

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