DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “La canzone petrarchesca Italia mia, benché il parlar sia indarno: uno spirito patriottico dettato dalla cultura e dalle emozioni e un senso identitario in chiave morale ed etica”

La canzone numero CXXVIII, dedicata all’Italia, è un componimento di tematica politica incluso nella raccolta Rerum vulgarium fragmenta. Nei confronti dell’Italia, individuata come una patria culturale, non certo come un’entità statale già costituita, Petrarca prova un sentimento di tristezza. Il bel corpo dell’amato Paese si presenta, agli occhi di chi lo guarda, deturpato da piaghe mortali.

L’Italia è afflitta da terribili guerre, mosse da futili motivi. Il poeta rivolge quindi un’invocazione a Dio, affinché la pietà che un tempo Lo mosse a discendere su questa terra, possa ora nuovamente volgere il Suo sguardo nei riguardi di questa regione geografica del mondo, da Lui tanto amata, al fine di prenderne a cuore le sorti e il futuro destino. Il proposito di Petrarca è quello di affidare alla Facoltà superiore e trascendente della divinità il compito di dirimerne i conflitti e di consentire alla pace di tornare a regnare nel nostro Paese.

In particolare, due sono i temi attorno ai quali il poeta formula il suo malinconico disappunto: la riconosciuta inutilità dei rapporti di rivalità interna tra i signori delle regioni settentrionali dell’Italia e la propensione dei signori a ricorrere alle truppe mercenarie di origine germanica, impiegate negli scontri militari che vedono opporsi le diverse fazioni in lotta.

La posizione che occupa Petrarca è quella dell’intellettuale consapevole che sia inutile indirizzare appelli al popolo per mobilitarlo al fine di cambiare la realtà attuale. Egli sa che la maggiore saggezza individuale dell’uomo di cultura e la sua superiore consapevolezza della realtà non si rivelerebbero comunque sufficienti a indurre gli uomini a cambiare il loro modo di agire nel mondo, in quanto non più timorosi di un futuro giudizio divino. Petrarca è distante da quel Dante che auspicava una restaurazione in chiave universale della Chiesa e del Papato, al fine di perpetuare quel governo umano che aveva nel potere dei due Soli l’incarnazione contingente della superiore prospettiva divina della vita e della felicità.

Petrarca è un uomo più “moderno” di Dante: il suo percorso esistenziale, politico e letterario si inquadra all’interno della realtà della nuova struttura organizzativa delle Signorie. La formazione intellettuale del poeta aretino manca di quel solido senso di appartenenza municipale e locale da cui si originavano gli orientamenti del pensiero dantesco.

In quanto intellettuale spinto dal bisogno di viaggiare, di variare i propri soggiorni e di muoversi, egli incarna in sé una prospettiva che esula dal contesto locale in quanto dettata da istanze più spiccatamente individuali che orientano il suo pensiero verso la direzione più ampia di un’identità quasi cosmopolitica.

Petrarca è più “nazionale” e “italiano”. Finanche la sua indole poco si confà a quella dell’uomo impegnato e coinvolto nell’attività della vita politica del Comune. Il suo prestigio intellettuale e il suo credito sociale sono incentrati prevalentemente sulla sua posizione di uomo di cultura. Sulla base dei suoi pregi culturali si definisce la funzione pubblica che egli svolge attraverso gli incarichi e negli impieghi che gli vengono assegnati.

Già anticipatore delle tendenze che saranno ampiamente in atto nella cultura italiana quattrocentesca, figura di rilievo in quanto intellettuale cortigiano, Petrarca è un umanista, ed è convinto del valore prevalentemente culturale dei principi intorno ai quali si incentra il carattere identitario della nostra tradizione.

La versificazione petrarchesca si impronta su tonalità espressive elegiache e dolenti. Il timbro poetico è dettato da un moto sentimentale commosso in tutte le strofe della canzone, che sostanzia il valore profondo dei legami affettivi e familiari sottesi a ogni slancio poetico. Quando il poeta si riferisce alla patria, la sua invocazione implica un’istanza emozionale che ispira l’appello da lui rivolto ai signori.

Le motivazioni prettamente politiche passano in secondo piano rispetto al richiamo di un’emergenza incombente legata ai motivi esistenziali che sostanziano tutta la canzone del Petrarca. Di fronte alla labilità della vita, al senso della morte e in nome del bisogno di attingere a un’eternità al di là della finitezza della vita stessa, Petrarca invita i potenti a deporre le armi e a metter da parte ogni odio. L’esigenza di concordia e di pace si richiama ai temi a lui cari di un’esistenza in cui vettore trainante sia la grandezza della cultura che caratterizza la superiorità della nostra tradizione.

L’altro motivo che anima il dolore del poeta è quello dell’invasione del suolo italiano da parte delle milizie mercenarie germaniche, esempio emblematico dell’annichilimento a cui è andata incontro la materia ideale delle lotte e dei combattimenti perpetrati sul nostro suolo.

Petrarca allude a una sfiorita nobiltà di sangue latino, esaltata da un passato contraddistinto dalla gloria della potenza romana, a cui si è sostituita la barbarie e la rozzezza dei popoli tedeschi i quali, con la loro avidità di denaro, sono rappresentativi di un’inciviltà e di un decadimento morale avvilente.

Il clima culturale di quel tempo, all’interno del contesto geografico delle regioni della nostra penisola, si configura come una proiezione nel presente di quello scontro tra la civiltà e le barbarie, tipico del passato. Petrarca ritiene percepibile una linea di continuità tra la grandezza romana e l’attuale civiltà italiana, destinata a perpetuare quella potenza politica e guerriera del passato che oggi manca.

La superiorità culturale delle manifestazioni artistiche e letterarie italiane nell’attualità, rispetto a quelle di ogni altra matrice e origine geografica, è la dimostrazione del bisogno di attivarsi al fine di realizzare un ritorno alla grandezza della civiltà romana anche dal punto di vista politico e civile. La decadenza italica risulta deprecabile al punto che l’unica scelta da fare è quella di rifondare il prestigio dell’antichità lottando contro i barbari.

Lo spirito patriottico che anima lo slancio poetico di Petrarca inquadra l’ottica del poeta all’interno di una prospettiva di ampio raggio. Non certo di tipo nazionalistico né di carattere statuale l’aspirazione da cui prende le mosse il pensiero del grande poeta aretino, ma tale da non porre dei confini circoscritti e limitanti rispetto a quella che è per lui e che in parte sarà, anche nei secoli successivi, una proiezione identitaria in chiave morale ed etica.

È necessario deporre ogni odio e invocare una condizione di pace e di equilibrio, affinché si punti a una più costruttiva serenità, foriera di cose grandi e nobili. Il tempo impiegato, in questa vita, nel nutrimento delle inutili rivalità è da convertire […] in qualche atto più degno / o di mano o d’ingegno in modo che così qua giù si gode, / e la strada del ciel si trova aperta.

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