ISABELLA MECARELLI: “VIAGGIO IN EGITTO – Il romanzo dell’Egittologia – (capitolo 4 – segue) – “vedi galleria fotografica

Le storia delle scoperte archeologiche in Egitto costituisce di per sé un romanzo. Risale alla notte dei tempi rispetto a noi, ma riguardo agli Egizi, inizia in un’epoca addirittura moderna, ovvero l’età dei grandi viaggiatori greci. Furono dapprima Erodoto nel V sec. a. C. e poi Strabone, vissuto a cavallo dell’anno zero, che “scoprirono” la civiltà del Nilo, nel senso non che non fosse già nota nel mondo mediterraneo, ma perché essi condussero per la prima volta un approccio di tipo storico e geografico.
Certo i loro resoconti furono anche superficiali ed erronei, dato che non sapevano interpretare i geroglifici e le notizie acquisite si basavano su racconti a voce, perché in quell’epoca le prime forme di scrittura erano già state abbandonate per sistemi più semplici e rapidi. Solo una ristretta casta di sacerdoti e scribi conosceva ancora i segni antichi.
Sta di fatto che al ritorno dai loro viaggi riportarono il racconto delle meraviglie che avevano osservato e alimentarono anche un’interpretazione non proprio attendibile, anzi per molti versi addirittura fantastica di quella civiltà, arrivando a stabilire collegamenti errati, come l’identificazione degli dei egizi con quelli del loro pantheon, ipotizzando perfino che questo derivasse da quelli.

Sta di fatto che sia i Greci che i Romani furono grandi ammiratori della civiltà del Nilo. Rimasti incantati dalla sua grandezza e originalità, ne subirono il fascino, tanto che anche quando sottomisero il paese, Alessandro Magno prima, Augusto dopo, si attennero alle usanze locali, rispettandone le tradizioni millenarie per non urtare la suscettibilità di un popolo tanto fiero.
Perfino l’arte fu riproposta dai conquistatori attenendosi allo stile locale. Yasser, la nostra guida, teneva molto a rimarcare che nei templi che furono ampliati o costruiti nuovi sia dai Tolomei, i faraoni di stirpe macedone, sia dagli imperatori romani, erano stati mantenuti rigorosamente gli stilemi artistici originali.
Questa sottolineatura da parte di un egiziano di oggi, appassionato di arte e guida pertanto attendibile e coinvolgente, mi pare metta in evidenza quanto la cultura islamica che si sovrappose in seguito, non sia riuscita a spegnere il senso di fierezza che questo popolo prova per il proprio passato glorioso. La cura che le autorità pongono nel valorizzare al meglio il patrimonio storico e archeologico lo dimostra. È impensabile che in una nazione come questa, nonostante vi serpeggino ideologie fondamentaliste, possa sorgere un qualsiasi movimento iconoclasta. Perlomeno questa è stata la mia impressione.
L’orgoglio del loro passato si è tramandato attraverso i millenni nonostante le devastazioni dovute a guerre, ruberie, guasti causati inevitabilmente dall’incuria o dal trascorrere del tempo. Ma è stato soprattutto il clima favorevole, in quanto particolarmente asciutto, a salvaguardare il patrimonio ereditato che è giunto, anche se non integro, fino a noi.

Il Tempio di Ramsete III
Ma torno al nostro itinerario con un “Adnat” (= Adunata), come gridava con voce stentorea Yasser invitandoci a raccolta per ascoltare le sue spiegazioni prima di accedere a un altro sito.
La mattinata infatti non si era esaurita con la visita della Valle dei Re. In zona c’erano altre attrazioni imperdibili. Una di queste era ennesima testimonianza del lavoro attento e scrupoloso degli archeologi: il tempio di Medinet Habu. Il sito, chiuso da anni per restauro, per un colpo di fortuna era stato aperto proprio in quei giorni. Stavolta si trattava di un monumento a dir poco strepitoso: il tempio funerario dedicato a Ramsete III.
Questo complesso racconta le imprese del faraone, con lo scopo di esaltarne la grandezza. Si tratta ancora del “Napoleone egizio”, ha rimarcato Yasser, quello di cui abbiamo appena visitato la tomba nella valle dei Re. Questo monarca ha lasciato tracce di sé in diversi luoghi e monumenti, contrassegnando indelebilmente la sua epoca.
In quest’area, agli inizi della XVIII dinastia, nacque il culto di Amon, in base alla credenza che proprio lì fosse apparso il dio intorno al 2100 a.C. Il tempio, eretto già ai tempi della regina Hatshepsut e del suo successore Thutmose III, fu scelto da Ramsete III per trasformarlo nel suo monumento funerario, che volle grandioso, e ci riuscì al punto che risulta il più imponente del suo genere. Veramente più maestoso ancora era il Ramesseum, il mausoleo del predecessore Ramsete II, collocato nella Valle dei Re, ma questo è andato quasi completamente distrutto.
Il tempio di Medinet Habu fu terminato nel 1156 a.C. e calcolando che il re visse dal 1184 al 1153 a.C., i lavori devono essere durati poco più di un ventennio. Questo fa riflettere sulle enormi capacità di questo popolo, soprattutto in relazione ai mezzi che aveva a disposizione, di erigere molto rapidamente costruzioni colossali.
Ramsete III non si si limitò a edificare il suo monumento, perché con lo scopo di renderlo ancor più rappresentativo, volle cingere il complesso entro un massiccio muro di cinta, inserendovi vari altri edifici (una dimora personale, magazzini ecc…) così da creare addirittura una città, che rimase centro politico ed economico di Tebe per alcuni secoli. E occorre aggiungere che i rimaneggiamenti continuarono anche dopo di lui fino agli ultimi tempi della storia egizia.
Le mura furono erette a scopo difensivo: erano tempi in cui il paese era bersaglio degli assalti di Libi e Siriani, contro cui il re aveva condotto frequenti e vittoriose campagne spingendosi molto lontano soprattutto in Asia. Queste escursioni avevano anche offerto l’opportunità di venire a conoscenza di modelli che ispirarono il sovrano per lo stile delle costruzioni: l’edificio che dà adito al suo tempio si rifà infatti all’architettura classica delle fortezze del Vicino Oriente, indicate col termine “migdol”.
Una volta oltrepassato questo muro fortificato, si para in lontananza il pilone d’ingresso del mausoleo, che si presenta come un’imponente muraglia in pietra arenaria, lunga la bellezza di 62 metri. Man mano che ci si avvicina, risultando sempre più nitidi i rilievi che la istoriano, si rimane sbalorditi da tanta grandiosità.
Il termine “pilone” in uso nell’architettura egizia va inteso nel senso di “grande porta” ed è derivato dalla nomenclatura proposta dai Greci che coniarono nomi appositi nella loro lingua per indicarne i vari elementi. Furono Erodoto e Strabone a diffondere parole come “pilone” o “sala ipostila”, intendendo con quest’ultima un ambiente il cui soffitto poggia su colonne. Coniarono questi termini allo scopo di farsi comprendere dai connazionali per descrivere forme architettoniche loro ignote e tale lessico è rimasto tuttora in uso nell’egittologia moderna.
Quando si arriva a distinguere meglio i rilievi che decorano la muraglia, colpisce soprattutto la scena di sinistra, rimasta quasi integra, i cui personaggi appaiono di dimensioni gigantesche. Il faraone, reduce dalle campagne militari, assume al cospetto del dio Amon la posa tradizionale del vincitore che ha sottomesso il nemico: afferra i guerrieri sconfitti per i capelli colpendoli con la mazza. La stessa scena si ripete a specchio nella parte destra, ma mentre nella prima indossa la corona conica bianca, la “khedyet” che indica la sovranità dell’Alto Egitto, nella seconda il faraone al cospetto di Horus porta la corona rossa del Basso Egitto, il “desheret”. Il resto del muro è ricoperto fittamente di geroglifici.
Questi rilievi, come gli altri che compaiono nei muri esterni dei templi, li vediamo oggi del colore della pietra, ma un tempo erano dipinti a tinte molto vivaci: l’uso di una policromia accentuata soprattutto all’aperto era dovuto all’esigenza di evitare che la luce violenta del sole, che di giorno in Egitto dardeggia senza tregua, offuscasse le figure rendendole poco visibili.

Isabella Mecarelli, Viaggio in Egitto, Capitolo 4 (segue)

2 commenti su “ISABELLA MECARELLI: “VIAGGIO IN EGITTO – Il romanzo dell’Egittologia – (capitolo 4 – segue) – “vedi galleria fotografica

    1. Non sono un’eggittologa, ma dal poco che ho studiato su questa civiltà antica ricavo una considerazione che secondo me è interessante per capirne l’esaurimento.
      E’ stata una civiltà che ha proceduto nel corso di millenni con pochissimi cambiamenti, penso sotto tutti i punti di vista: economia, regime politico, arti ecc..,
      A un certo puntosono arrivati i Romani che, come spiegherò in seguito, erano affascinati da essa e addirittura gli imperatori si travestirono da faraoni, attratti com’erano da quella cultura millenaria.
      Però con l’avvento del Cristianesimo pian piano negli Egiszi si affievolì il loro credo negli dei e con esso cominciò a spegnersi anche il resto.
      Probabilmente avevano già dato tutto. Poi arrivò l’islam ma molto dopo e pure gran parte dei Copti fu sopraffatta.
      Certo che è un tema importante su cui interpellare gli esperti. Grazie del riscontro, Gianni!

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