ISABELLA MECARELLI: “VIAGGIO IN EGITTO – Il sacrario di Edfu – (capitolo 13) – vedi galleria fotografica

I vari passaggi del tempio di Edfu, pilone, cortili, sale ipostili, erano tutti elementi preparatori alla destinazione finale, il cuore del santuario. Ma all’esterno era situato un altro edificio particolare che si era diffuso nel periodo greco-romano, la casa natale del dio, il “mammisi”, ovvero “luogo del parto” in lingua copta. Il termine fu proposto da Champollion, il decifratore dei geroglifici, convinto assertore della derivazione del copto dall’antico egiziano. Era un piccolo tempio in parte distrutto, cinto da un peristilio, di cui rimanevano in piedi alcune colonne con capitelli sormontati da dadi, ognuno dei quali portava scolpita una testa di Bes, il dio protettore del parto. I muri raffiguravano storie della nascita e dell’infanzia di Horus.

Ciascun’area del santuario aveva dunque la sua specifica funzione: poteva essere destinata all’accoglienza, alla pratica del culto, oppure alla funzione pedagogica di mostrare le gesta del dio tramite le scene dei rilievi, come avveniva nelle grandi cattedrali europee.

Era interessante anche notare come in età greco-romana, in un tempio di faraoni non egizi come questo, la struttura e gli elementi caratteristici locali non fossero stati trasformati, ma rispettati rigorosamente. Davanti alla cultura nilotica una dinastia straniera come la tolemaica, manteneva le usanze dei sudditi e i suoi re si facevano rappresentare secondo l’iconografia tipica, ossia nelle sembianze di faraone-dio.

Dopo aver attraversato i vari ambienti, si arrivava dunque al cuore del complesso: il sacrario. La camera, di forma rettangolare, fittamente decorata, ospitava una sorta di slitta che serviva da supporto alla barca sacra utilizzata per la navigazione del dio. La statua d’oro di Horus era contenuta in un tabernacolo, un monolito in granito, molto più antico rispetto al tempio tolemaico. Il simulacro del dio naturalmente non c’era più, ma il sacrario, il naos, si poteva vedere ancora dietro la slitta. Era appartenuto a Nectanebo I, capostipite della XXX dinastia, il fondatore del vecchio tempio su cui era stato edificato il nuovo. Quel re, vissuto nella prima metà del IV sec. a.C., era stato l’ultimo dei sovrani nativi dell’Egitto. Il suo naos era dunque il reperto più antico del luogo insieme al supporto.

Il muro che circondava il santuario correva proprio a ridosso dell’edificio, formando un lungo corridoio. Si trattava di una zona importante del complesso, definita Passaggio della Vittoria, le cui pareti, fittamente istoriate, rappresentavano scene mitologiche riguardanti il dio dedicatario del tempio. Purtroppo molte delle figure avevano subito l’onta dello scalpello da parte dei monaci cristiani, risultando danneggiate soprattutto nei volti.

Fra i tanti rilievi che mostravano miti e processioni di dei e faraoni, Yasser si è soffermato su quello più significativo, che raccontava la battaglia di Horus contro il malvagio Seth, il dio da lui sconfitto, lì rappresentato sotto forma di maiale. Questa raffigurazione si deve al fatto che gli Egizi credevano che tutto quanto producevano nell’arte potesse pure succedere nella realtà e quindi dare le sembianze di animale a quel dio crudele equivaleva a diminuirne il potere malefico, un atto scaramantico insomma.

Il mito di Osiride
A questo punto occorre rispolverare il celebre mito di Osiride, che tutti si può dire abbiamo appreso nella prima infanzia alle elementari. Questo dio, che considerando la sua valenza benefica era identificato con la terra nera resa feconda dal Nilo, aveva come acerrimo nemico il fratello Seth, divinità negativa, collegata alla sabbia del deserto, rossa come i suoi occhi e i suoi capelli; pertanto il colore rosso era ritenuto dagli Egizi simbolo di malvagità. Questi era sposato con Nefti, dea della morte, malvagia come lui.

Seth, invidioso di Osiride, lo uccise per usurparne il trono. Non contento, lo mutilò in ben quattordici pezzi spargendo poi le sue membra in diversi luoghi. La sposa Iside, disperata per la sorte del marito, e affranta per non aver potuto ancora generare un figlio da lui, decise di farlo tornare in vita. Pertanto intraprese un lungo viaggio, recandosi nelle varie località a recuperare le parti del corpo per poterle ricomporre.

A questo punto Yasser ci ha reso edotti di un particolare su cui la maestra delle elementari avrà certo sorvolato: la dea non riuscì a trovare proprio il membro cui teneva di più, ossia quello necessario alla riproduzione. Apprese costernata che il fallo era stato mangiato dall’ossirinco, un pesce del Nilo (da tale disgrazia dipendeva pertanto il divieto per gli Egizi di cibarsene).

Ma Iside non si perse d’animo: ne fabbricò uno artificiale di argilla, cui dette vita con un incantesimo. Assunte poi le sembianze di un nibbio, si pose sul corpo inerte dello sposo che all’improvviso, grazie a una brezza rigeneratrice, si risvegliò e con il membro eretto la fecondò. Fu così che Iside poté partorire un bambino, Horus, che educò fin da piccolo al grave compito di vendicare il padre.

Horus, una volta cresciuto, poté affrontare finalmente lo zio e sconfiggerlo. La battaglia raffigurata sulle pareti del Passaggio della Vittoria rappresentava appunto il suo scontro con Seth. Al trionfo del figlio di Osiride aveva contribuito anche la madre Iside, che compariva nell’atto di avanzare sulla barca per soccorrerlo con l’aiuto di altri dei benevoli al suo seguito.

Ho riassunto schematicamente il mito, ma occorre dire che non esiste un racconto univoco, perché ci sono particolari che variano. Gli dei egizi non sono rappresentati con chiare fisionomie, ma sfumano parecchio e non sono facilmente catalogabili come succede per quelli del pantheon greco-romano.

La mitologia egizia è alquanto complicata non solo per gli apporti che si sono stratificati nel corso di millenni, ma anche per l’assenza di una “chiesa ufficiale” preposta ad ordinarla; perciò si è ramificata in tanti rivoli e possiede molte sfaccettature anche poco coerenti fra loro.

Persino la ricomposizione del corpo di Osiride non significava per lui una vera e propria resurrezione, sta di fatto che venne relegato nell’Aldilà, divenendo il dio dei morti e dell’immortalità insieme. Mentre chi assunse un ruolo propriamente salvifico fu il figlio Horus, vittorioso su Seth, ossia sul deserto e sul caos, elementi che nell’immaginario egizio rappresentavano la Natura nei suoi aspetti più terribili, come l’arsura e la siccità. Solo in un mondo finalmente ordinato le acque sarebbero tornate a fecondare e la terra a germogliare e questo era potuto accadere proprio grazie alla vittoria di Horus.

Isabella Mecarelli, Viaggio in Egitto, Capitolo 13, Il sacrario di Edfu (continua)

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