ISABELLA MECARELLI: “VIAGGIO IN EGITTO – I battellieri del Nilo – (capitolo 15) – vedi galleria fotografica

Tornando in cabina per schiacciare un pisolino ho trovato una sorpresa: c’era una bestia sul mio letto. Stavolta il cameriere burlone aveva sistemato gli asciugamani a mo’ di coccodrillo. Originale il tipo. Comunque era in tema: a breve saremmo transitati per il porto di Kom Ombo, cittadina nei pressi di un tempio dedicato a Sobek, il dio coccodrillo.

Ma quando la nave ha attraccato, è scesa solo una parte dei crocieristi. Siccome il nostro programma prevedeva quella visita sulla via del ritorno, siamo rimasti a bordo. Nell’attesa il tempo è trascorso a leggere, a giocare, a osservare il panorama: il tempio era ben visibile al di là dell’abitato moderno, lo sovrastava con la sua mole tenebrosa, o così mi è parsa, data la sconcertante funzione di conservare mummie di coccodrilli. Ma di questo parlerò a suo tempo.

Mentre sostavo sul ponte, curiosa di capire in che ambiente ero capitata, ho assistito a una scenetta gustosa. Chissà perché mi sono venute in mente “Le baruffe chiozzotte” di Goldoni, qui naturalmente in chiave egiziana moderna. Per la prima volta ho udito le grida dei battellieri che comunicavano fra loro per indicare le manovre da fare e si capiva che avevano idee differenti sull’argomento. Con voci concitate e aspre, si apostrofavano da una nave all’altra; mentre si cimentavano con le cime e i motori, echeggiavano incrociandosi urla di rimprovero e imprecazioni,. Quei toni e quel linguaggio per me incomprensibile mi facevano pensare a un alterco, pareva litigassero, ma in realtà esprimevano la difficoltà di risolvere il problema dell’attracco reso difficoltoso dalla corrente del Nilo in quel punto particolarmente veloce. Nel mentre la nostra nave era venuta quasi a contatto con quella più vicina e solo la maestria dei marinai aveva evitato danni.

Credevo che stessero cercando uno spazio sufficiente per attraccare al molo, il che mi pareva molto difficile, dato che le navi erano assiepate numerose e in più file: un grappolo di natanti addossati lungo le banchine del porto, che parevano sgomitare per accostarsi alla riva. Noi eravamo addirittura in terza fila. Ma era evidente che non c’era posto.

Forse aspettavano che qualche nave partisse lasciando spazio? Intanto, mentre seguivo con occhio preoccupato una nube nera sprigionatasi dal camino di un battello poco distante, mi chiedevo come avrebbero fatto i passeggeri a scendere a terra: sarebbero stati calati su una scialuppa della nave, o caricati su un motoscafo del porto? Entrambe le alternative mi parevano emozionanti, sapevano tanto di viaggi del tempo che fu. Mi stavo pregustando già la scena, quando mi sono accorta che la nostra Mahrousa nel frattempo si era spostata, ma per rimanere dietro a un altro battello.

In realtà il nostro comandante non cercava di attraccare alla banchina, come avevo pensato. Il problema era di tutt’altro tipo: la corrente del fiume rendeva difficile le manovra per far combaciare perfettamente i bordi delle due navi.. Le navi dovevano accostarsi fianco a fianco per far coincidere gli ingressi delle rispettive hall fra di loro. Erano costruite con precise dimensioni, in modo che avendo i bordi della stessa altezza, si potessero attraversare tutte camminando attraverso le rispettive sale fino ad arrivare a terra senza bisogno di trasporto via mare. Insomma la faccenda si è risolta in un modo che non avrei mai immaginato.

Inconvenienti della navigazione sul Nilo

Nel tardo pomeriggio abbiamo ripreso a navigare proseguendo sempre più a sud, giù giù verso l’Alto Egitto e la Prima Cateratta. E’ così naturale viaggiare via fiume in questo paese, dove nulla è sostanzialmente cambiato da tempo immemorabile. Il Nilo è una sorta di autostrada che facilita le comunicazioni, dove l’avanzata prosegue liscia senza intoppi, ed è indispensabile soprattutto perché per lunghi tratti non esistono ponti che uniscano le due sponde. Quindi oltre ai battelli dei turisti, sono tornata a vedere il traffico delle chiatte, delle feluche, dei barconi a motore, che scorreva tranquillo. Ma non sempre è stato così.

Osservando quel via vai di imbarcazioni mi è tornato ancora in mente il caro vecchio Salgari. Quando Mirinri, il giovane destinato a salire sul trono dei faraoni, navigava verso Tebe discendendo il Nilo, nella direzione contraria quindi alla nostra, in un periodo in cui la piena iniziava a salire, si era imbattuto in grossi banchi di erbe tronchi e ramaglie che ostruivano il passaggio. A quei tempi i detriti trasportati dal fiume, trattenuti dalle piante acquatiche come il papiro e il loto, che occupavano vaste superfici creando anche diverse paludi, si accumulavano e formavano delle isole galleggianti che spesso si allargavano fino al punto di unire le due sponde. Neanche la corrente poderosa del Nilo riusciva a sfondare quelle barriere.

Chi navigando si imbatteva in queste ostruzioni che impedivano il transito, doveva esplorarle per trovare un varco: se ci riusciva era fortunato, altrimenti doveva aprirselo. Ancora nell’800 il governo egiziano era costretto ad intervenire, inviando operai per aprire dei canali in quelle masse talmente intricate e compatte che erano in grado di sostenere il peso di molti uomini.

Ma i passaggi così creati tendevano a richiudersi molto presto. Da notare oltretutto che l’operazione comportava gravi rischi per le persone perché potevano comparire all’improvviso coccodrilli o ippopotami.

Quando Mirinri e i suoi compagni videro il passaggio totalmente impedito, dovettero affrontare la faticosa operazione di abbattimento: camminando sugli isolotti erbosi, cominciarono a tagliare a colpi di spada e falce il groviglio di rami e tronchi. Era un lavoro massacrante: immaginavo quegli uomini vigorosi, risoluti, terminata l’operazione, riprendere a solcare i flutti che scorrevano di nuovo liberi da impedimenti.

E’ stata la progressiva scomparsa di quelle piante nel corso del tempo e l’imbrigliamento delle acque a monte dovuto alle dighe a rimediare in seguito al grave inconveniente. Ma se la navigazione è stata garantita, c’è da considerare un aspetto inquietante: la trasformazione dell’ambiente. Da molto tempo le piante tipiche del Nilo sono sparite, così pure gli animali che hanno caratterizzato la storia egizia. Il paese ha perso addirittura i simboli della sua civiltà: pensiamo al papiro che cresceva spontaneamente nell’antichità; alla pianta del loto, considerato emblema della creazione, ormai ritirato in zone molto più interne; o ai coccodrilli, agli ippopotami, ai leoni. Insomma il volto della natura è molto cambiato in Egitto, mentre non si può dire altrettanto dei suoi abitanti.

La giornata di navigazione si è conclusa con una cena in costume, stavolta nella sala da pranzo interna. E’ stata un’allegra mascherata. Ci siamo procurati gli abiti nel negozio di Romano, un egiziano copto, questo spiega il suo nome. Ci passavamo tutti i giorni davanti visto che era a due passi dalla nostra cabina e abbiamo approfittato per scegliere qualcosa di appropriato fra i suoi abiti.

Isabella Mecarelli, Viaggio in Egitto – Capitolo 15 – “I battellieri del Nilo” (continua)

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