Quando la Mahrousa, dopo aver navigato tutta la notte, ha attraccato ad Assuan, stavamo ancora dormendo, ma per poco. Quel giorno era in programma la visita di Abu Simbel, sito molto distante dal porto, per questo la partenza era stata fissata alle 4 e mezzo; pertanto siamo saliti sul pullman ad un’ora antelucana. Diversi tour organizzano il viaggio in aereo per risparmiare tempo. Noi invece avevamo davanti la prospettiva di ben 280 chilometri all’andata e altrettanti al ritorno, da macinare peraltro tutti entro la mattinata.
In compenso, arrivando via terra, avremmo avuto l’opportunità di attraversare un bel tratto di deserto e, avvicinandoci progressivamente alla meta, di cogliere altri aspetti che esulavano dall’interesse puramente archeologico, ma di certo stimolanti.
Per raggiungere Abu Simbel, situata sul lato occidentale del Nilo, o meglio del lago Nasser, occorre oltrepassare il ponte della diga piccola, la prima costruita in Egitto, al tempo della dominazione inglese, precedente quindi a quella più famosa degli anni Sessanta. Iniziata nel 1898, era stata ampliata a più riprese fino agli anni ‘30, in modo da aumentare la capienza del bacino. Le griglie venivano aperte durante il periodo di piena, affinché l’acqua carica del limo potesse fertilizzare le campagne ai lati del fiume; erano poi richiuse alla fine dell’ondata per conservare a monte una riserva d’acqua destinata ai periodi di siccità.
La diga piccola era collocata all’altezza della prima cateratta che, situata nei pressi dell’isola di Elefantina, costituiva da sempre il limite oltre il quale non era più possibile navigare. Pertanto chi voleva superarlo doveva continuare via terra.
In quell’area era sorta anticamente la città di Syene, fondata nel III sec. a.C. dal faraone Tolomeo III come avamposto commerciale e militare. Era la porta d’ingresso della Nubia, la vasta regione meridionale in cui si inoltravano le spedizioni alla ricerca di importanti prodotti necessari all’Egitto: oro, schiavi, avorio. Durante il Nuovo Regno era stata ultimata la conquista di tutto il territorio nubiano che al tempo si estendeva ben oltre l’attuale confine col Sudan.
Pertanto oltrepassata Assuan e varcata la piccola diga, siamo entrati nella notte del deserto. Quando è spuntato il sole, è apparsa una landa desolata, piatta, infinita, ricoperta di sabbia e sassi, del genere che in gergo geografico è definito serir.
La strada correva verso il sud dritta come un fuso, piegandosi leggermente solo in certi tratti in lunghi segmenti. Ma il deserto non era proprio tale: l’intervento dell’uomo sul paesaggio era chiaramente visibile. Rappresentato innanzitutto da una fila di elettrodotti che correndo a ovest della strada ci ha accompagnati durante tutto il tragitto; mentre ad est, alla nostra sinistra, si alternavano cumuli di terra a tratti di pista o a strisce asfaltate, chiari segni che era in fase di costruzione una seconda strada che avrebbe consentito di separare il traffico dei camion da quello delle automobili.
IL PROGETTO AGRICOLO DELLA NUBIA
Il miglioramento della viabilità non era solo utile a raggiungere più agevolmente il sito di Abu Simbel. In realtà il motivo più importante era un altro: l’area che stavamo attraversando era stata scelta dal governo per un importante ambizioso progetto di bonifica. Lo scopo era lo stesso che aveva mosso gli israeliani a “ricavare giardini dal deserto”, ossia trasformare le zone aride in terre coltivate utilizzando in questo caso il grande bacino del lago Nasser. La zona, data l’importanza del progetto, era presidiata dai militari e costellata di posti di blocco in modo da controllare tutte le persone in transito.
All’orizzonte si scorgevano agglomerati di palazzi nuovissimi, sorti come funghi, ancora disabitati, ma pronti ad accogliere le masse di operai e contadini che avrebbero contribuito a realizzare il miracolo. Insomma quello che avevo immaginato un pezzo di deserto privo di presenza umana, si rivelava al contrario una zona industriosa, dove l’iniziativa del governo stava sperimentando sistemi all’avanguardia per soddisfare la fame del suo popolo. Vasti appezzamenti di terra erano già rivestiti del verde delle colture e dotati di moderni strumenti di irrigazione. C’erano tutti i segnali di un territorio in fase di colonizzazione.
Questo progetto di bonifica voluto dal presidente al-Sisi mira ad incrementare l’agricoltura per risolvere il grave problema della scarsità alimentare, dovuta all’aumento costante e finora inarrestabile della popolazione, che provoca anche la progressiva occupazione delle zone agricole, convertite per forza di cose in aree abitative. Che differenza dall’antico Egitto, quando da Alessandria salpavano le navi dirette ad Ostia. Allora il paese era considerato il massimo fornitore di grano dell’Impero, oggi ne è diventato al contrario il più grande importatore mondiale.
Il presidente, ci ha informato Yasser, ha lanciato di recente un accorato appello alla nazione, invitando a riflettere sulle conseguenze nefaste dell’incremento di natalità che ne impedisce il progresso, relegando gli egiziani fra i popoli più poveri al mondo. La striscia coltivata lungo il corso del Nilo e la zona del delta non possono sopportare una popolazione che supera i 100 milioni. Un paese di un milione di chilometri quadrati, di cui solo il 3% dei terreni è coltivabile non può essere in grado di farlo: per capire meglio, i suoi abitanti vivono concentrati in un’area delle dimensioni suppergiù del Belgio. E’ necessario per forza operare in modo da raggiungere la sicurezza alimentare, che permetterà di ridurre le importazioni e sollevare l’economia.
Durante una breve sosta a un bar lungo la strada, una sorta di autogrill, ho approfittato per piazzarmi in mezzo alla carreggiata, proprio al centro dove correva la striscia bianca, il traffico rarissimo permetteva di farlo senza rischi. Mi sono allontanata un po’ dalla zona animata del locale, in modo da avere la prospettiva sgombra. Il nastro d’asfalto che solcava quella landa piatta come un piano euclideo, si protendeva dritto fino all’orizzonte. Chissà se sia stato proprio l’ambiente del deserto a ispirare ad Euclide di Alessandria i principi della geometria. “Due rette parallele non si incontrano mai, solo all’infinito”: i contorni della strada parevano la materializzazione di quel postulato e insieme, osservati dal mio punto di vista, formavano il triangolo di una piramide con la punta rivolta verso il cielo.
Isabella Mecarelli, Viaggio in Egitto – Capitolo 16 – “Lunga la strada per Abu Simbel” (continua)