ISABELLA MECARELLI: “VIAGGIO IN EGITTO – La gita all’isola – (capitolo 25) – vedi galleria fotografica

La gita all’isola di Philae è una delle esperienze più emozionanti che offrono i dintorni di Assuan e l’Egitto in generale. Il fascino sta già nel doverla ovviamente raggiungere via fiume e si sa, la navigazione sul Nilo acquista in suggestione quando si pregusta lo spettacolo che si presenterà all’arrivo.

Trascorsa la notte ad Assuan, al mattino presto abbiamo superato l’ingresso dell’imbarcadero attorniati da uno sciame di venditori vocianti, le braccia protese nell’intento di catturare i malcapitati passanti, un sorta di forche caudine cui già mi stavo abituando. Abbiamo quindi disceso una piattaforma inclinata fra due ali di mercanti stanziali, nel senso che invece di rincorrere i clienti come sono soliti fare gli ambulanti agli ingressi dei siti, questi stavano fermi in attesa che la merce sciorinata direttamente sul pavimento potesse catturarne l’interesse: tale sistema denotava un livello superiore rispetto ai primi. In effetti i colori sgargianti di terraglie, vasi e statuette di onice e paccottiglie varie che brillavano ai raggi del sole, catturavano l’occhio, rallegrando i turisti come gradita premessa al divertimento assicurato da una gita in barca.

Quel giorno non si trattava di una feluca, ma di un natante a motore, neanche agghindato come quelli che avevamo incrociato il giorno prima, illeggiadriti da tettoie decorate ai bordi da allegri disegni e sorrette da colonnine sottili come frange di tappeti. Era un semplice spartano barcone in legno destinato esclusivamente a traghettare i clienti verso la meta.

Stavolta avremmo navigato per la prima volta nel tratto di fiume fra le due dighe, anch’esso costellato di isolotti di varie dimensioni e di scogli affioranti che parevano dislocati lì apposta dalla natura per favorire il riposo degli uccelli. Una cicogna sostava imperturbabile su un masso; nella posa consueta, in perfetto equilibrio su una zampa, perlustrava l’orizzonte, incurante dell’andirivieni dei battelli che incrociandosi ricamavano solchi sulla superficie del vasto bacino.

Presto è comparsa l’isola di Philae, resa inconfondibile dal profilo dei templi, le cui sagome, ancora scure data l’ora mattutina, si stagliavano in controluce. A breve il sole si sarebbe levato al punto da investirli di una luce più adatta per essere ammirati in tutta la loro bellezza. Allora avrebbe spiccato il colore caldo del materiale utilizzato per la costruzione, i blocchi di granito ricavati dalle cave millenarie di Assuan tuttora attive.

Il nome dell’isola in greco rimanda all’amore, riferendosi a Iside, la sposa di Osiride, cui il tempio fu dedicato. Il suo culto, secondo un processo consueto nella mitologia egizia, andò fondendosi col tempo con quello di Hathor, la dea dell’amore e della bellezza. L’isola era anche considerata il luogo della sepoltura di Osiride, quindi particolarmente sacra. Nonostante i sacerdoti ne limitassero gelosamente l’accesso, divenne meta popolare di pellegrinaggi.

Intorno al nucleo centrale del tempio sorsero altri edifici, minori per dimensioni ma di squisita fattura, formando in tal modo un complesso ricco e articolato che testimonia il senso del bello di questa civiltà. Esso si coglie nella cura dei materiali di costruzione, nelle sculture che modellano i capitelli in forme elaborate, nei disegni che mostrano le cognizioni astronomiche egizie.

L’isola era molto rinomata fin dalla XXV dinastia, quindi dall’VIII secolo a.C. Situata al confine con la Nubia, punto nevralgico dove si incrociavano le rotte commerciali e da cui partivano le spedizioni militari dirette al sud, ospitava un’importante guarnigione. L’apice della sua fama fu raggiunto sotto i Tolomei, quando divenne il principale centro di culto della dea Iside.

Quando sopraggiunsero i Romani, apparve chiaro quanto la civiltà egizia, nonostante l’assoggettamento politico, restasse un faro per la civiltà mediterranea. I nuovi conquistatori, sempre pronti ad affermare ovunque la loro cultura, in questo caso cedettero al fascino della terra dei faraoni. Gli imperatori, fin da Augusto, adottarono di buon grado il culto della dea continuando ad abbellire il sito con splendidi monumenti; si fecero rappresentare loro stessi nelle sembianze di faraoni e i loro nomi, scritti in geroglifici, furono inseriti nei cartigli.

La fama dell’isola non solo persistette, ma si rafforzò e ciò si spiega con il vivo interesse che i cittadini dell’impero romano, diventati sempre più freddi nei confronti dei loro dei, scoprirono che il culto delle divinità orientali si confaceva particolarmente alle nuove esigenze spirituali.

Nonostante quel periodo corrispondesse alla massima espansione dei territori dell’impero, negli animi covava già la crisi che sarebbe esplosa secoli dopo. Raggiunto l’apice nel campo delle conquiste militari, l’inizio della decadenza era ormai avviato: il culto degli antenati e le favole del pantheon greco-romano, meravigliose ma intrise tuttavia di materialità, non solo non riuscivano più a colmare quel senso di vuoto e angoscia che si diffondeva inesorabilmente fra le genti, ma suscitavano ormai solo diffidenza o scetticismo.

La necessità di una fede più profonda e spirituale, non disgiunta da una perdita di fiducia nella razionalità, aveva fatto sì che le religioni misteriche, basate su riti e cerimonie che introducevano in ben altre dimensioni, penetrassero in quegli animi smarriti.

Per quanto si adoperassero gli intellettuali romani e i poeti satirici in particolare, come Giovenale e altri, a prendere in giro gli abitanti del Nilo, adoratori di gatti e coccodrilli, tenace restava la fama dei sacerdoti egizi e la loro aura di magia si accresceva addirittura man mano che andava affievolendosi la religione tradizionale anche fra il loro popolo. Essi godevano di un prestigio tale che continuò a circolare l’idea che filosofi greci come Talete e Pitagora avessero attinto proprio da loro le basi per la costruzione del loro pensiero.

Naturalmente la casta sacerdotale coltivava queste convinzioni con grande abilità: mostrava delle capacità uniche che stimolavano l’ammirazione perfino degli scrittori dell’età posteriore ad Augusto. Non esitavano a ricorrere addirittura a pratiche illusionistiche pur di alimentarla. Avendo affinato le loro doti di prestidigitatori, ricorrevano a effetti speciali per stupire il pubblico dei fedeli. Ma quelle manifestazioni di “magia” avevano anche scopi che andavano oltre l’aspetto religioso. Di esse si servivano anche per altri fini: la loro influenza, come avveniva per i sacerdoti del mondo greco-romano, si estendeva anche in campo politico garantendo aiuto a personaggi che ne avevano bisogno per affermare il loro potere.

Un esempio fra tutti è il caso che riguarda Thuthmosi III, il figliastro della regina Hatshepsut, sepolta nel tempio di Deir-el Bahari. Durante una cerimonia la statua di Amon si mosse, andando ad arrestarsi proprio davanti al futuro re, che ebbe con tale macchinazione il riconoscimento divino per poter regnare al posto della odiata matrigna.

Isabella Mecarelli, Viaggio in Egitto – capitolo 25 (continua)

Lascia un commento

error: Questo contenuto è protetto