STEFANIA CELENZA: “La cultura dello scarto”

Certamente, i punti di vista, sulla medesima posizione, possono essere molto distanti, talvolta persino opposti. Così frastornati, da opinioni antitetiche, possiamo incorrere molto facilmente in errore. Nella massima buona fede.
Certe argomentazioni sono indubbiamente seduttive.
Così accade oggi quando si parla, per esempio, di malattie invalidanti, di disabilità e di sofferenza. Purtroppo, non è solo questione di opinioni. Vi sono precisi interventi legislativi o giurisprudenziali che regolamentano i casi di vita reale, cosicchè un mero parere, può tradursi in fatto concreto.
Porto l’esempio della Islanda, dove sembra che si siano completamente estinti i bambini down.
In Islanda, infatti, la quasi la totalità delle donne che scopre anomalie cromosomiche al feto decide di abortire.
In Islanda, i test di screening prenatale sono stati introdotti nei primi anni 2000: sono facoltativi, ma il governo insiste molto per informare di questa possibilità le donne in gravidanza del paese. Secondo i dati del Landspitali University Hospital di Reykjavik, tra l’80 e l’85 per cento delle donne in gravidanza sceglie di sottoporsi a questo tipo di screening e quasi il 100% di loro, dopo un responso positivo, sceglie di interrompere la gravidanza. 
Il fenomeno non riguarda solo l’Islanda, naturalmente. Anche in Italia, sono molte le donne che scelgono di interrompere la gravidanza, dopo aver ricevuto una risposta positiva al test prenatale, circa la presenza di anomalie cromosomiche nel feto. Con la diffusione in tutta Europa e negli Stati Uniti di screening prenatali sempre più accurati, il numero di bambini nati con la sindrome di Down è molto diminuito. Secondo i dati più recenti, negli Stati Uniti, il tasso di interruzione di gravidanza, legato alla rilevazione di sindrome di Down, è pari al 67%, in Francia al 77%, nel Regno Unito al 90% e in Danimarca al 98%.
La consulente Helga Sol Olafsdottir, che in Islanda fornisce supporto psicologico alle donne che ricevono una risposta positiva al test prenatale e che devono, dunque, prendere una difficile decisione, così si esprime con loro “questa è la tua vita e tu hai il diritto di scegliere come sarà la tua vita”».
Si osservi come le parole chiave siano “scelta”,diritto”, “tua vita”, verrebbe da aggiungere tertium non datur.
L’Islanda viene stimata per la qualità della assistenza sanitaria finanziata dallo Stato e, forse in questa ottica, chi scelga di dare alla luce un bambino Down è ritenuto egoista, in quanto usa risorse pubbliche destinate a persone “sane”.
Questo epiteto di egoista mi ricorda qualcosa di molto recente, attribuito a chi sceglieva di non vaccinarsi…
L’Islanda, in sostanza, si avvia a diventare il primo Paese europeo, senza nascite di persone con sindrome di Down. Tutte persone sane gli islandesi!
Questo il fatto, la notizia.
Vediamo adesso lo scambio di opinioni in merito.
Il giurista Amedeo Santosuosso, tra i fondatori della Consulta di Bioetica, in una intervista, sul caso Islanda, dell’agosto del 2017, ha detto:
«La questione fondamentale è che non si può parlare di eugenetica, quando si tratta di scelte individuali. L’eugenetica è storicamente riprovevole e lo sarebbe anche oggi, se fosse una scelta imposta dalle autorità pubbliche. Ma se abbiamo a che fare con il libero esercizio della capacità di autodeterminazione delle persone non possiamo che rispettarlo».
Ecco che tornano le parole chiave “scelte individuali”, “libero esercizio”, “autodeterminazione”… al centro c’è sempre e solo l’Io, l’Ego, l’Autòs.
Diversa risposta ha dato, invece, Mario Melazzini, Medico, scienziato e ricercatore, Membro del Comitato Tecnico Sanitario del Ministero della Salute e Presidente della Commissione per la Ricerca Sanitaria del Ministero della Salute. Nel 2003 gli è stata diagnostica la Sclerosi Laterale Amiotrofica e con essa convive e continua a lavorare ininterrottamente ancora oggi. Il Dott. Melazzini, su questo argomento, pensa che “Scegliere la morte è la vittoria di una concezione antropologica individualista e nichilista in cui non trovano spazio né la speranza né le relazioni interpersonali.” A chi chiede proprio a lui, affetto da una malattia degenerativa così invalidante, se sia eticametne corretta la diagnostica preventiva selettiva, risponde “Il dolore e la sofferenza non sono né buoni, né desiderabili, ma non per questo sono senza significato: ed è qui che l’impegno della medicina e della scienza deve intervenire”. Melazzini ha spiegato, dal suo punto di vista di medico e al tempo stesso di paziente, che a volte può succedere che una malattia o una grave disabilità, che mortifichi e limiti il corpo, anche in maniera molto evidente (come la sua), possa rappresentare una vera e propria medicina, per chi debba forzatamente convivere con essa, senza la possibilità di alternative.
Ciò perché  la malattia può davvero disegnare, nel bene e nel male, una linea incancellabile, nel percorso di vita di una persona, “O, ancora meglio, edificare colonne d’Ercole, superate le quali ci è impossibile tornare indietro ma, se si vuole, ci è ancora consentito guardare avanti. Ed è proprio questo il nocciolo della questione. Al livello più profondo di sé, la consapevolezza della realtà aiuta a rendersi conto che nella vita non bisogna dare nulla per scontato, neppure bere un bicchiere d’acqua senza soffocare. A volte siamo così concentrati su noi stessi che non ci accorgiamo della bellezza delle persone e delle cose che abbiamo intorno da anni, magari da sempre. Così, quando è la malattia – o l’imprevisto, come lo definisco io – a fermarti bruscamente può accadere che la propria scala di valori cambi. E ci si rende conto che quelli che noi fino a quel momento consideravamo i valori più importanti, invece non erano proprio così meritevoli dei primi posti”.
Ed è qui, secondo Melazzini, che l’impegno della medicina e della scienza deve concretamente intervenire, per eliminare o alleviare il dolore delle persone malate o disabili e per migliorare la loro qualità di vita, con la corretta e concreta applicazione della legge 38 del 2010, sulle cure palliative e la terapia del dolore. Questo è un compito prezioso, dice Melazzini, che conferma il senso della professione medica, non esaurito dall’eliminazione del danno biologico.
In questi nostri tempi, si parla sempre più, con scarsa chiarezza, ma con enfatica dottrina, di diritto alla morte, del principio di autodeterminazione, di autonomia del paziente. In verità, il riconoscimento della dignità dell’esistenza di ogni essere umano deve essere il punto di partenza prioritario ed il riferimento assoluto di una società che difenda davvero il valore dell’uguaglianza e che si impegni affinché la malattia e la disabilità non diventino criteri di discriminazione sociale e di emarginazione.
Gli strumenti e gli uomini giusti ci sono. I medici veri esistono ancora, come si vede.
L’importante è mantenere integra la nostra capacità di discernimento e sapere sempre distinguere il falso dal vero.

    Firenze, 19.01.2024

    Stefania Celenza

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