L’istituzione del museo di Assuan ha rappresentato un contributo al risarcimento dell’ingiustizia subita dal popolo nubiano. L’intento era quello di salvaguardare un patrimonio culturale che altrimenti sarebbe andato perso, raccogliendo i frutti degli scavi effettuati negli ultimi due secoli e oltre.
L’edificio che accoglie il visitatore ha un’aria imponente. Costruito in pietra arenaria ricalcando lo stile caratteristico delle costruzioni tipiche della zona, che si fondono col paesaggio desertico, ha vinto il premio Aga Khan per l’architettura del 2001. I criteri dell’allestimento sono pertanto funzionali alla valorizzazione dei reperti e la disposizione delle opere segue un andamento cronologico in modo da presentare lo sviluppo storico della civiltà nubiana, partendo dall’epoca preistorica e passando per le varie fasi successive, fino alla costruzione della diga.
Nelle sale sono esposte opere molto interessanti. Yasser si è soffermato sulla statua acefala di Chefren, il figlio di Cheope, scolpita in diorite verde, pietra durissima, quindi poco usata dagli Egizi che preferivano il calcare o il granito rosa o nero più duttili. Con quale tecnica avrà potuto operare l’artista in questo caso? La nostra guida ha supposto che avesse usato addirittura il diamante. Sorprendente tanto più la precisione dei dettagli: il faraone è rappresentato seduto con le mani sulle ginocchia; mentre si distinguono bene le dita della mano sinistra spiegate a simboleggiare la pietà, la mano destra è racchiusa a pugno, indicando la punizione. Le dita dei piedi e addirittura i malleoli sono accuratamente modellati. Riflettendo anche sul fatto che l’opera risale al 2.100 a.C., età della IV dinastia, quindi all’Antico Regno, desta ancor più meraviglia tanta perfezione.
Degno di nota anche lo spazio riservato alle foto storiche esposte per illustrare l’immane impresa dello spostamento dei templi di Abu Simbel. Il bianco e nero conferisce solenne drammaticità a una sorta di gioco di costruzioni faraonico, in cui si vedono teste gigantesche che viaggiano nell’aria sospese a poderose carrucole; operai lillipuziani che si arrampicano come tante formichine su giganti di pietra, o si sforzano come in un tiro alla fune per sollevare mastodontici blocchi.
Il settore etnografico anche è interessante. Mostra scene del folclore locale per illustrare le tradizioni ancora in uso dei Nubiani, utilizzando manichini inseriti in vari ambienti. Si può vedere l’architettura delle case, il modo di fare scuola, l’abbigliamento, gli arredi interni delle abitazioni.
Sono uscita all’aperto, al sole del mezzodì, con in testa un caleidoscopio di immagini. La rassegna precisa e significativa, mi aveva aperto una finestra su un popolo che conoscevo appena di nome, e del cui ruolo nella storia non avevo mai avuto un’idea precisa. Era molto utile questa visita anche come premessa all’ultimo appuntamento in programma quel giorno.
In navigazione verso il Villaggio Nubiano
Le attrazioni di Assuan infatti non erano finite. Nel pomeriggio abbiamo ripreso a navigare su un barcone alla volta del Villaggio Nubiano. Ci siamo inoltrati di nuovo nella baia a nord della diga piccola, ripassando tra l’isola di Elefantina e il colle dominato dal mausoleo dell’Aga Khan.
Ma stavolta abbiamo proseguito oltre, fin dove cessavano le abitazioni, mentre si rimpicciolivano le terre emerse che costellavano il fiume come tessere sparse di un puzzle. In quel labirinto magico si entrava con un senso di trepidazione, consapevoli di star violando una terra consacrata, e insieme con l’impressione che la barca stesse trasportando i passeggeri in un mondo senza tempo.
Reminiscenze di letture, di vedute oleografiche, si mescolavano confondendosi con le impressioni reali, suscitate dai profili delle isole sfrangiati dai palmizi; dalle forme voluminose delle rocce granitiche; dal fluire placido, impercettibile, del fiume, che diramandosi in tanti rivoli si insinuava deciso fra le isole, avvolgendole e accarezzandone le sponde erbose.
Mentre scrutavo la corrente che scendeva o saliva a seconda da quale posizione la si osservava, mi è venuta in mente una considerazione: il movimento degli antichi Egizi si svolgeva sempre lungo un asse che andava da nord a sud o da sud a nord. Qualsiasi viaggio si intraprendeva, era strettamente legato alla pratica della navigazione, tanto che viaggiare verso sud si rendeva con l’espressione “andare contro corrente”, mentre viaggiare verso nord, con “viaggiare nel senso della corrente”.
Le casette di un residence, appollaiate su un promontorio di Elefantina, occhieggiavano fra le palme e i sicomori; erano così distanti fra loro che davano l’impressione di eremi. Siti ideali per una vacanza rilassante, ospitavano turisti in cerca di quiete e solitudine lontano dai rumori del mondo. Che faranno però, non si annoieranno tutto il tempo reclusi in quei romitaggi, ci chiedevamo. Yasser con fare scherzoso assicurava che no, non provavano certo noia le coppie che si rifugiavano là, semplicemente si divertivano a “non far niente”, alludendo maliziosamente a un ben altro significato.
Giravo gli occhi a dritta e a manca, decisa a non farmi sfuggire particolari interessanti. In quel navigare sinuoso fra terre che parevano emerse per l’incantesimo di qualche dio, protette ai bordi da fitti canneti, si coglieva il respiro di millenni, lo spirito di quella civiltà fiorita grazie al “miracolo” del Nilo.
Quando la barca si addentrava nel dedalo dei canali, in certi punti le sponde degli isolotti si avvicinavano fino a creare passaggi così stretti da poter essere percorsi appena da una piccola barca. Le piante delle rive opposte arrivavano quasi a toccarsi confondendo le loro fronde rigogliose, mentre la barca sfiorava canneti o spuntoni di rocce. Laddove lingue di sabbia ricoprivano le rive si notavano barche rovesciate tirate in secca e capi di bestiame intenti a pascolare nei prati retrostanti.
All’improvviso è comparso da un canale laterale un ragazzo canterino a bordo di una barchetta che appena ci ha scorto si è preparato all’abbordaggio, per deliziarci col suo canto. Ricevute le sospirate mance, si è allontanato a caccia, o meglio a pesca, di altri turisti.
Isabella Mecarelli, Viaggio in Egitto – capitolo 28 (continua)