ISABELLA MECARELLI, “VIAGGIO IN EGITTO” – Il tempio di Karnak – (capitolo 37) – vedi galleria fotografica

Sul luogo dell’antica Tebe, capitale dell’Egitto a partire dal Medio Regno, resa grandiosa da viali di sfingi, obelischi, statue, pareti incise di geroglifici celebranti eventi reali, sorge oggi la moderna città di Luxor, sede di ben due fra i più celebri complessi archeologici mondiali.

Luxor in verità non è nome egiziano, ma arabo, e significa “palazzo”; gli è stato affibbiato dagli invasori islamici che, al momento della conquista, colpiti dall’imponenza degli edifici e increduli che un popolo potesse dedicare tanta grandiosità a un dio, li ritennero dimore reali.

I resti dell’antica Tebe “dalle cento porte” sono rappresentati oggi da due vasti complessi: Karnak e Luxor, siti che, da quando è sorto l’interesse per le antichità egiziane, attirano milioni di visitatori da tutto il mondo. Da rilevare che le strutture, l’impianto, lo stile di quei monumenti che risalgono al Nuovo Regno, hanno costituito per secoli un modello, i cui elementi sono stati fedelmente riprodotti altrove in Egitto.

Abbiamo iniziato la visita dal sito di Karnak, considerato la dimora di tre divinità: innanzitutto di Amon-Ra, il dio più importante del pantheon egizio; di Mut, la dea madre, il cui culto era collegato a quello delle mogli dei faraoni; e del loro figlio Khonsu, che rappresentava la luna, raffigurato come un bambino. Il culto di Amon-Ra, connesso al sole, era fondamentale, in quanto esaltava il legame che univa il faraone al dio.

La costruzione del complesso di Karnak attraversa secoli: diversi faraoni contribuirono ad ampliarlo e abbellirlo durante il periodo che va dalla XVIII alla XX dinastia, fino ad arrivare a Ramsete III, vissuto nel XII sec. a.C. Naturalmente anche i Tolomei e i Romani, sopraggiunti dopo, si presero cura delle aree sacre riparando i danneggiamenti dovuti alle guerre e aggiungendo ulteriori edifici e monumenti sfruttando perfino materiale di edifici precedenti.

L’area sacra di Karnak non era tuttavia pensata per l’accoglienza dei fedeli, ma destinata alla celebrazione dei riti. Ospitava i sacerdoti che, oltre ad officiare le cerimonie, amministravano un ingente patrimonio, dato che si trattava del santuario più importante del regno.

I primi visitatori che informarono il mondo delle meraviglie di Karnak furono i Greci. Erodoto e Strabone, come ho già accennato, per descrivere forme sconosciute ai loro connazionali, ricorsero a termini quali pilone, sala ipostila, obelisco, sacrario, che sarebbero stati rimasti nella nomenclatura dell’egittologia moderna.

Anche il tempio di Luxor è dedicato ad Amon-Ra ed è collegato a Karnak dal celebre viale delle Sfingi che accorpa in un unicum entrambi i siti: fu Amenhotep III a ordinarne la costruzione, avendo in mente l’esempio del viale di accesso al tempio funebre della regina Hatshepsut nella valle dei Re.

Le sfingi che fiancheggiano la strada che permetteva di trasportare la barca sacra, sono raffigurate con il corpo di leone, simbolo di regalità, e la testa di ariete, simbolo di Amon, e racchiudono nelle zampe anteriori le figura del faraone Ramsete II.

Davanti al pilone dell’ingresso ovest del tempio di Karnak è ben visibile la rampa che scendeva in acqua dal pontile di sbarco del bacino artificiale: lì approdavano le barche sacre provenienti dal Nilo.

Il primo pilone (ricordo che il primo è anche l’ultimo ad essere costruito, dato che si iniziava ad edificare sempre dal sacrario, l’esatto opposto) colpisce per la mancanza di decorazioni tipiche degli altri templi. Ciò è dovuto al fatto che rimase incompiuto. E questo si nota bene anche oltrepassando l’ingresso, perché addossato all’interno del pilone è rimasto un gran cumulo di materiale che doveva servire per la costruzione di rampe di collegamento fra il cortile e la cima del muro.

La vastità del complesso si capisce oltre che dalla mole dei piloni, anche dall’ampia area che occupa il primo cortile, il più grande in assoluto dei templi egizi. In esso si notano un colonnato in stile papiriforme sul lato nord e nello spazio interno i resti del Chiosco di Taharqa (re etiope della XXV dinastia) dove sostava la barca in processione, ma del padiglione rimangono appena due file di colonne alternate ad alcune sfingi.

NELLA SALA IPOSTILA

La scena che accoglie il visitatore oltrepassando il secondo pilone che immette nella grande sala ipostila, è sorprendente. Sono penetrata in una selva, con l’impressione di trovarmi come per incanto proprio dentro le illustrazioni dei libri patinati: le gigantesche colonne papiriformi, ben 134, formavano un labirinto che invitava ad aggirarsi senza meta solo per inseguire le immagini incise sui fusti e sugli architravi; per ammirare stupefatti i colori dei rilievi rimasti miracolosamente intatti per millenni.

Sulle pareti erano raffigurate le campagne militari di Seti I e la vittoria di Ramsete II nella battaglia di Qadesh contro gli Hittiti.

Questa sala era adibita al culto vero e proprio di Amon-Ra. Il soffitto piatto, fatto di lastre di pietra, è scomparso come negli altri casi. Restano le imposte, sempre di pietra, che formate da sottili colonne, servivano a illuminare l’ambiente; erano collocate in alto, nel dislivello fra la navata centrale, dovuta ad Amenofi III. Mentre questa è formata da 12 colonne con capitelli di papiri in fiore, quindi dalla forma aperta, le navate laterali più basse presentano capitelli papiriformi chiusi. La luce penetrava quindi nella parte centrale, lasciando in penombra le due laterali e accentuando il senso di mistero che doveva infondere nel visitatore.

In quell’area, che misura 5000 mq, si è calcolato che potrebbe entrare una cattedrale gotica.

Isabella Mecarelli, Viaggio un Egitto – capitolo 37 – (continua)

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