“Cavalcanti, uomo ideale al centro del Decameron: la cultura come nucleo intorno al quale ricostruire la nuova virtuosa società italiana”

Per quanto Boccaccio non esprima intenzionalmente alcun messaggio improntato allo sviluppo o al rafforzamento di uno spirito identitario collettivo di tipo patriottico, è tuttavia nella raffigurazione di un modello umano ideale così come lo si coglie in diverse novelle del suo capolavoro, che bisogna leggere la realizzazione di un’istanza, comune e soggettiva, di ristrutturazione in senso virtuoso della società.

Che sia possibile identificare un’idea e un’intenzione unitaria alla base della stesura del Decameron, che è sempre stato letto come un incontro di voci eterogenee, semplicemente retto dall’ammirazione dell’autore nei riguardi dell’umanità, lo propongono alcuni orientamenti critici recenti.

Nel suo Leggere il Decameron pubblicato da Il Mulino, Francesco Bausi scrive: «È difficile negare l’esistenza di una struttura ascensionale nel Decameron, o, se si preferisce, di un percorso che conduce dal male al bene, dal disordine all’ordine, dallo smarrimento alla riconquista della saldezza morale».

La dimensione strutturale dell’opera, cioè l’ordine secondo cui le novelle sono disposte, determinerebbe un procedimento di sviluppo verso l’alto che legittima una lettura in chiave simbolica del degrado da cui la giovane brigata di novellatori scappa e del modello umano virtuoso che si ricava dalla lettura dell’opera.

Aggiunge ancora Bausi: «La peste del Decameron è anche una grandiosa allegoria del degrado morale dell’uomo peccatore e insieme della crisi di un’intera civiltà, quella del tardo Medioevo e in particolaredell’Italia comunale, consumata dalle tre “faville” di cui parla Ciacco nel canto VI dell’Inferno (superbia, invidia e avarizia)».

La nona novella della sesta giornata del Decameron, dedicata ai motti e alle battute efficaci, parla di una figura umana d’eccezione, quella del fiorentino Guido Cavalcanti. Il famoso filosofo e poeta, stretto amico di Dante Alighieri, è un personaggio introdotto in questa novella a partire dalla considerazione, esposta dalla narratrice Elissa, secondo cui nella città di Firenze è in vigore l’abitudine di organizzarsi in brigate e in compagnie di amici composte da un certo numero di persone nobili, che vengono accolte al loro interno a patto che siano nelle condizioni economiche tali da poter sostenere le spese per organizzare dei banchetti a cui far partecipare tutta la brigata.

Tra queste brigate ce n’è in particolare una della quale è responsabile principale un certo Betto Brunelleschi, il quale da tempo, assieme ad altri componenti della brigata, sta tentando di coinvolgere e di accogliere al suo interno Guido Cavalcanti.

L’interesse nei confronti di Cavalcanti è dettato dal fatto che questi è conosciuto come un uomo di alte virtù e di grandi capacità morali e intellettive. Lodatissimo filosofo e conoscitore di scienze naturali, è un uomo dai modi gentili e di grande eloquenza. Oltretutto è risaputo che egli sia un uomo ricchissimo e molto danaroso.

Si ritiene che Cavalcanti sia poco interessato a intrattenersi in loro compagnia perché troppo impegnato a trascorrere il proprio tempo nella speculazione astratta intorno a questioni alte e impegnate come, ad esempio, quella della ricerca di una prova che dia modo di dimostrare che Dio non esiste.

Un giorno, mentre Cavalcanti si trova nei pressi delle proprie abitazioni in una zona della città vicino al Battistero di Firenze, Betto, insieme con la sua brigata di amici, decide di avvicinarglisi e di infastidirlo.

Postagli la domanda su quali siano le sue intenzioni una volta trovata la risposta al quesito sull’esistenza di Dio, Cavalcanti risponde dicendo loro: «Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace».

Nel pronunciare questa battuta l’intento di Cavalcanti è cioè quello di assimilare i nobiluomini al suo cospetto a dei morti, intendendo operare un’associazione diretta tra il luogo in cui in quel momento essi si trovano, cioè presso le tombe dei morti in San Giovanni, e la loro nullità in quanto individui privi di cultura e illetterati.

Guido Cavalcanti è l’incarnazione del modello più alto e virtuoso di uomo vagheggiato da Boccaccio. La prima di queste virtù è la cortesia che consiste nei modi e nei costumi secondo i quali il poeta si relaziona agli altri in base alla sua capacità di discernere chi merita e chi no. Tipica qualità che si associa a un’esistenza improntata sulle qualità che deve avere un vero uomo nobile e aristocratico, Cavalcanti associa a questa sua caratteristica anche la virtù borghese dell’“industria”, cioè quella capacità pratica di tirarsi fuori dai guai e di superare le difficoltà.

Questa capacità è un punto di incontro tra la rapidità del pensiero e la prontezza nel prendere decisioni in maniera sicura, da una parte, e dall’altra il dominio della realtà grazie all’uso della parola.

Cavalcanti è l’uomo che racchiude in sé la sintesi tra le virtù di un passato che rimanda al mondo cortese e medievale, del quale si sente ancora il bisogno di perpetuare gli aspetti più validi, e le virtù di un presente non da rifiutare ma da accogliere entusiasticamente nella conquista di un reale concreto che l’uomo progressivamente attua.

Sopra tutte le altre qualità, Cavalcanti possiede la cultura, la più importante. È dovuta alla mancanza di cultura la condizione di nullità che egli denuncia rivolgendosi agli uomini della brigata di Betto. Ed è proprio la cultura la qualità che rappresenta l’essenza dell’umanità, in quanto attributo che distingue gli uomini da tutti gli altri esseri viventi.

Boccaccio sa bene che è proprio qui il fulcro intorno al quale ruota il senso del rinnovamento alla base degli studia humanitatis di cui egli stesso è promotore. La concezione della cultura in quanto portatrice di civiltà e di umanità è la verità centrale da cui la società italiana deve partire per costituirsi in quanto parte privilegiata del mondo e dell’umanità intera.

Non è da dimenticare, inoltre, il ruolo assunto anche da un’altra qualità importante posseduta da Cavalcanti e annoverata, tra le altre, nel suo efficace e insostituibile risvolto pratico. Si tratta dell’agilità fisica grazie alla quale il colto e atletico Guido effettua il balzo che gli consente di liberarsi dagli uomini che gli si erano parati davanti, pressandolo e infastidendolo.

Cavalcanti, infatti, dopo aver pronunciato la battuta arguta con la quale apostrofa gli astanti, si defila in un attimo e fugge via vittorioso. La forza del corpo, caratteristica evidenziata in maniera sorprendente e affatto scontata nel racconto e della quale difficilmente si sarebbe potuto intuire il portato di efficacia se non attraverso la descrizione del gesto che la valorizza, è anch’essa una caratteristica importante della nuova civiltà umanistica.

La fisicità è una condizione complementare rispetto alla spiritualità e dà dell’uomo ideale una visione olistica che contempera mente e corpo in un’armonica unitarietà. La rivalutazione del corpo rappresenta una rivoluzione rispetto all’ascetismo tipicamente medievale che, invece, condannava il corpo, abnegandone le esigenze e svilendone le capacità.

La cultura rinascimentale esalta, invece, la dimensione fisica anche in relazione alla bellezza e alle qualità estetiche, sempre in virtù della realizzazione di un equilibrio perfetto che è alla base dell’istanza di rinnovare l’esistenza secondo una rivalutazione della dimensione fisica, materiale, terrena e laica del mondo. Il proposito non è quello di rifiutare la spiritualità e la sacralità ma, al contrario, di riconoscere piena dignità agli obiettivi della vita perseguibili in un “di qua” mondano e terrestre.

Boccaccio è integralmente assorbito all’interno di questo nuovo clima culturale di cui egli è un geniale iniziatore e inventore. La concretizzazione della vita in un’ottica laica e pienamente mondana dell’esistenza apre in lui una visione senza sovrastrutture e votata al reale.

Tanto ampia e variegata e al contempo profonda è la conoscenza e la rappresentazione che lo scrittore appronta dell’umanità, che non è sembrato possibile individuare nel resoconto che egli ce ne dà, una proposta né un messaggio edificante rivolto ai suoi lettori.

Scevra di condizionamenti ideologici e di intenti pedagogici, l’opera del Boccaccio la si è letta come una rappresentazione eterogenea di virtù, vizi e fortune col denominatore comune dell’intento di divulgare contenuti allo scopo di intrattenere.

Retta da un atteggiamento di ammirazione per l’uomo colto nelle sue potenzialità di unico tra gli esseri terreni in grado di autodeterminarsi e di costruirsi in libertà la propria esistenza, l’attività letteraria del Nostro è un viaggio nell’animo dell’uomo condotto con realismo, dagli aspetti più turpi e diabolici dell’intelligenza umana agli atti che rivelano grandezza ed elevatezza morale e di spirito.

Nessun proposito di farsi guidare dai principi della morale, quindi, secondo chi ha visto in lui il primo eroe del disimpegno politico e di un mancato coinvolgimento alle cause di una militanza diretta come uomo schierato e di parte.

E invece un ideale di uomo in Boccaccio c’è. Lo scrittore vagheggia un modello eccellente di umanità a cui ispirarsi. Ed è lecito ipotizzare in Boccaccio la presenza del proposito che la società italiana si ispiri a questo modello e se ne faccia incarnazione reale ed eccellente.

2 commenti su ““Cavalcanti, uomo ideale al centro del Decameron: la cultura come nucleo intorno al quale ricostruire la nuova virtuosa società italiana”

  1. la continua ricerca di Armonia, unitarietà ed equilibrio può aiutarci sicuramente a crescere e a maturare come persone che conoscono se stesse e che si amano per ciò che sono, senza paura dei propri limiti. Grazie Davide! sempre super!

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