La Patria culturale di Petrarca: l’insegnamento di un sapere antico che torni a scorrere nelle vene degli uomini occidentali

La vasta produzione in lingua latina di Francesco Petrarca è costellata di riferimenti al tema della “Patria”. Il poeta aretino sembra intendere la Patria come una realtà che trascende i confini spaziali della terra natìa e si impronta a una visione dell’esistenza più ampia, universale.

Nel De remediis utriusque fortunae Petrarca mette in scena un dialogo tra Ratio e Dolor, due entità che rappresentano, rispettivamente, la personificazione dell’Intelletto e quella del Dolore. Dolor esprime la voce irrazionale di chi prova angoscia perché costretto a vivere in una condizione di “esilio”, lontano dalla madrepatria e dai propri affetti più intimi. Ratio, invece, è un personaggio animato dal buon senso, che si rivolge al suo interlocutore pronunciando parole consolatorie, rette da ragionevole consapevolezza e tranquillità.

Ratio ritiene che lamentarsi per l’infausto destino di vivere in una condizione di “esilio”, corrisponda a dar prova di pochezza d’animo. Chi soffre a causa dell’obbligo di doversi allontanare dalla propria terra è considerato un individuo che guarda al mondo da un’ottica parziale e ristretta.

Gli spiriti sommi, invece, concepiscono la patria come il mondo intero. La grandezza d’animo e la larghezza di prospettive mentali determinano la percezione di una patria più ampia alla quale si ritiene di aderire e della quale ci si considera cittadini. Quanto più vasto è il territorio a cui si sceglie di appartenere, tanto maggiore è l’aspirazione a conoscere e ad aumentare la propria saggezza.

Stando a quanto Petrarca dice in margine a un codice della Historia Alexandri di Curzio Rufo in suo possesso, l’uomo libero è colui il quale viene considerato in grado di scegliersi la Patria che più preferisce. Secondo quanto si legge in questa nota, «la patria è qualsiasi luogo nel quale l’uomo forte abbia scelto di restare» («patriam esse ubicumque vir fortis sedem sibi elegerit »).

La responsabilità morale di tenersi a distanza da ogni forma di complicità con gli uomini malvagi legittima anche la scelta di vivere in maniera solitaria. Allontanarsi “in esilio” e ritrovarsi volontariamente in una condizione di isolamento retta dal rigore comportamentale di chi non intende farsi compromettere dalla turpitudine del mondo, è segno di una condotta virtuosa, accolta dal poeta con entusiastico orgoglio.

Una distinzione tra “patria di nascita” e “patria di adozione” la fornisce Cicerone, autore classico il cui esempio è centrale nella speculazione petrarchesca. Nel De legibus, II 5, Cicerone si esprime dicendo: «duas esse censeo patrias: unam naturae, alteram civitatis»: la “patria civitatis”, cioè, non è quella imposta all’uomo dalla natura.

Il luogo di nascita non deve necessariamente corrispondere con quello in cui l’individuo sceglie di collocarsi. La sua libertà consiste nell’individuare e scegliere una realtà che corrisponda strettamente al proprio modo di pensare e che rifletta i valori in cui egli crede.

In una prospettiva di totale alterità rispetto all’esempio di Dante Alighieri, Petrarca non ha un legame di affetto patriottico nei confronti della propria città natale, cioè di Arezzo. Nella sua raccolta di epistole intitolata Familiares il poeta si rivolge alla propria città di nascita mostrando un distacco disarmante. Petrarca dimostra, cioè, di aver pienamente accolto il proprio destino di esule e di aver interiorizzato una nuova condizione di vita che egli, ora, conduce entusiasticamente.

Nemmeno la prestigiosa città di Firenze rappresenta una realtà nei cui riguardi egli dimostri alcun tipo di coinvolgimento o di interesse di parte. L’atteggiamento di Petrarca è critico e, in alcuni momenti, si manifesta di sfacciato disinteresse o di esplicita opposizione rispetto al comune di Firenze. Alla città di Firenze Petrarca contrappone Milano, dove egli preferirebbe di gran lunga risiedere (così come in qualsiasi altra città del mondo) piuttosto che vivere nel capoluogo toscano.

Il suo essersi schierato dalla parte dei Visconti, nemici storici dei cittadini fiorentini, fa di lui un personaggio che si colloca in aperto contrasto con la politica filo-comunale propria del governo di Firenze, per abbracciare gli orientamenti di una politica filo-signorile.

All’accusa rivoltagli da coloro che ritengono che mettendosi dalla parte dei Visconti egli si sia schierato con dei tiranni, il poeta replica denunciando che non esiste alcun luogo senza tiranni perché, dice Petrarca, dove mancano i tiranni è il popolo a tiranneggiare.

La località di Valchiusa, invece, rappresenta per Petrarca una realtà geografica eletta, descritta dal poeta come un luogo ameno, in cui il contatto diretto con la natura consente il raggiungimento di una condizione di appagamento e di benessere fisico e psichico. Valchiusa può essere indicata come una piccola patria, esaltata dal poeta come un contesto ambientale emblematicamente portatore di quei valori che egli intende contrapporre alla odiata e infernale località di Avignone, sede del governo papale.

Nella lettera del 19 maggio 1349 indirizzata a Luca Cristiani e pubblicata nel libro VIII delle Familiares, il poeta parla di Valchiusa come di una località con un contesto adatto a un piacevole soggiorno estivo, e la definisce, quindi, «optabilem estivo tempore stationem».

L’elettività di Valchiusa non è però riducibile alla sua bellezza naturalistica e paesaggistica. Il vero senso della sua particolarità è espresso dalle successive parole di Petrarca, che retoricamente domanda: «licitum est sine arrogantia gloriari, pace montium ac fontium et silvarum, quid habet locus ille gloriosius habitatore Francisco?».

Quella realtà ambientale ha acquisito una bellezza superiore perché ha assimilato le virtù di un uomo straordinario, cioè Petrarca stesso, il quale, frequentando quei luoghi, li ha resi speciali con la propria presenza. Sembra quasi che Petrarca confessi che Valchiusa non sia altro che una sua invenzione.

La dimensione del “luogo natale” perde definitivamente la propria centralità nella prospettiva segnata dal poeta aretino. Il suo modo nuovo di interpretare l’idea di Patria fornisce rilevanza alla fisionomia dell’individuo “forte”, in grado di costruire attorno a sé una dimensione di fascino, in una prospettiva di autodeterminazione e di autoaffermazione. Il che fa tanto percepire in Petrarca la presenza di premesse ideologiche che anticipano l’affermazione dell’Umanesimo.

Si evidenzia il superamento di una concezione tradizionalmente municipale, alla quale si sostituisce una rivoluzionaria centralità riconosciuta all’individuo il quale, sulla base delle proprie esigenze personali, è inteso come possessore del diritto di scegliere dove vivere. Acquista rilievo la ricerca di una migliore “qualità della vita”, che è una delle condizioni da realizzare per ottenere il raggiungimento, nella propria esistenza, della piena affermazione di sé.

A quanto detto si aggiunge anche la prospettiva di un nuovo modello esistenziale che ruota attorno all’esempio dell’uomo di valore. Questi vede nel viaggio il senso della ricerca costante della conoscenza in una vita tutta dedita al miglioramento e all’affermazione individuale.

Significativa anche la ripresa, nel Secretum, di questo modello esistenziale da parte del personaggio di Agostino il quale, rivolgendosi a Francesco, afferma di non avere alcuna intenzione di costringerlo a vivere rimanendo relegato in un unico angolo d’Italia. Dice infatti Agostino: «Vai sereno ovunque il tuo desiderio ti porta» (Secretum, ed. Fenzi, III, p. 240)

L’idea alla quale pare associarsi il proposito di non rimanere fermi nella propria condizione di fissità, alla quale Petrarca pare riferirsi, richiama l’intento di improntare la vita al superamento dei propri limiti e sostanzia il progetto di intraprendere un continuo percorso di miglioramento di sé e di accrescimento culturale e spirituale.

Il rifiuto della fissità della dimora e la prospettiva di abbandono di un tipo di esistenza svolta all’interno di confini limitati, nonché il proposito di non vincolare la propria vita a un luogo specifico, vanno di pari passo con alcune dichiarazioni nelle quali Petrarca afferma apertamente di sentire un profondo legame con un’unica vera grande Patria che è l’Italia intera.

Tutta l’esistenza di Petrarca è votata all’esaltazione dell’Italia, specie se intesa in un rapporto di comparazione con la sua grande rivale, cioè la Francia. Petrarca sente l’Italia come una “dimensione” culturale che, attraverso la classicità, è sostanza stabile dell’identità intellettuale sulla quale si costruisce la sua fisionomia di studioso e di letterato.

L’Italia a cui Petrarca rivendica sempre di appartenere è intesa, quindi, non nei termini di una improbabile struttura territoriale politicamente unita, ma in quanto realtà storico-culturale che ha nell’antichità, e cioè nell’esempio di Roma, il modello ideale a cui costantemente rivolgersi.

L’idealità dell’Italia in quanto vera Patria, punto di incontro tra bellezze paesaggistiche e glorie presenti e passate, è una dimensione macroscopica della quale egli si sente parte e alla cui grandezza Petrarca, al pari di Dante, sa di contribuire accrescendo il numero degli esempi illustri di un’italianità per la quale essere orgogliosi e della quale andare fieri.

Lo sguardo attento dello studioso di quell’antichità che tanto appare lontana dalla decadenza del Presente anima l’atteggiamento polemico dell’osservatore affranto, che rivolge i propri occhi alla realtà così come si manifesta al suo cospetto. Il degrado civile dell’Italia, afflitta da divisioni e da guerre intestine induce Petrarca a convergere con il pensiero di Dante quando anche lui afferma che «iam de provinciarum domina, servorum sit facta provincia» (Familiares, XIX, 9, 10).

La sua ampia produzione letteraria, specialmente quella in latino, fa intendere che la vera Italia è un’altra, cioè quella che è stata e quella che potrebbe tornare a essere, così come lo stesso Petrarca si augura succeda.

Gli sforzi compiuti dal poeta nel corso di quasi tutta la sua vita sono stati proprio finalizzati al proponimento attualizzante di un sapere antico affinché il suo insegnamento potesse tornare a scorrere nelle vene degli uomini occidentali, in modo da realizzare, di quel passato glorioso, una grande rinascita.

4 commenti su “La Patria culturale di Petrarca: l’insegnamento di un sapere antico che torni a scorrere nelle vene degli uomini occidentali

  1. Grazie Davide! bellissima la tua riflessione che offre spunti preziosi per definire il senso dell’essere cittadini oggi. Cittadini di quale patria?
    Anch’io penso che i tuoi studenti siano veramente molto fortunati solo che probabilmente hanno le orecchie tappate e la vista annebbiata! Ma tu Davide semina…continua a seminare!!

  2. Grazie Davide!
    Penso che se tutti i professori fossero come te Petrarca sarebbe contento, perché significherebbe che davvero siamo tornati, come italiani, a studiare davvero la nostra storia, per non dimenticare cosa sono stati gli italiani nostri avi e per tenerli ad esempio.
    Più passa il tempo ed osservo gli studenti di oggi, mi rendo conto che la scuola ha subito un costante degrado: da luogo dove si formavano davvero le menti, gli uomini, a luogo dove si producono solo persone formate da inserire subito nel mondo del lavoro, fino ai giorni nostri dove si creano soltanto soggetti indottrinati secondo i desiderata di chi detiene il potere ed ovviamente un Petrarca che insegna agli studenti ad amare la loro patria non è gradito.
    Mi spavento quando sento i colleghi più giovani discutere degli argomenti di attualità perché in loro vi è un conformismo che fa paura su qualsiasi argomento – a cominciare ad esempio, da quanto sia tutto bello fuori dall’Italia – ed anche se cerco di farli ragionare mi rendo conto che hanno il cervello completamente appiattito.
    Povero Petrarca…nella sua tomba secondo me si è creato un vortice per quanto si sta rivoltando!
    Io spero che i tuoi studenti caro Davide si rendano conto di quanto preziosi sono i tuoi insegnamenti per il loro cervello! (io ovviamente te ne sono sempre grata).

    1. Ti ringrazio Andreina. Sugli studenti “miei” e su quello che pensano, per il momento stendiamo un velo pietoso. Rischierei di essere volgare, e nella mia volgarità includerei le loro famiglie. Ma in altra sede sarà il caso di parlarne perché la situazione è diventata talmente pesante da essere insostenibile.

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