Capita di andare a teatro e di vedere trasposte ai giorni d’oggi, come per miracolo, le varie opere ambientate in periodi temporali più lontani… Così il Don Carlos verdiano lascia il costume dei tempi di Filippo II di Spagna e si veste come un dandy di oggi; il Così fan tutte di Mozart viene ambientato nel Bronx; il Nabucco di Verdi non conserva nessuna vestigia biblica, ma è trapiantato negli anni Quaranta; Don Giovanni domina il palco in uniforme nazista ed è presentato come un sadico gerarca ai tempi di Hitler che il Burlador de Sevilla non avrebbe mai potuto conoscere…
Personalmente sono contrario a queste forzature, perché il regista dovrebbe comportarsi come la vera eleganza, vale a dire, passare inosservato e, con discrezione ed umiltà dare il suo contributo alla costruzione di uno spettacolo che ha una sua dignità legata indubitabilmente anche ad una data di nascita. Ovviamente si tratta della mia personalissima opinione, in quanto io ho nel cuore le magnifiche regie del mio concittadino Franco Zeffirelli, sempre autore di letture precise, puntuali, rispettose dei capolavori che mette in scena.
Ma come erano le opere di Mozart? Come le voleva l’autore? Siete pronti ad entrare nella macchina del tempo, destinazione 1787, anno della prima del Don Giovanni a Praga?
Un’opera, ai tempi di Mozart, non era scritta per i posteri: il musicista doveva tenere ben presente la compagnia teatrale che avrebbe dovuto metterla in scena e proprio le caratteristiche vocali dei cantanti gli suggerivano i termini della composizione. Il Salisburghese conosceva quasi tutti gli artisti che avrebbero dovuto dare vita al suo Don Giovanni.
Mozart arrivò a Praga con la partitura dell’opera ancora largamente incompleta: mancavano l’ouverture, il secondo finale, il duetto iniziale del II atto, la scena “Giovinetti che fate all’amore”, l’aria di Masetto, la Canzonetta di Don Giovanni. Non si capisce bene perché mancasse questo ultimo brano, in quanto Mozart conosceva bene la vocalità di Luigi Bassi, il suo primo interprete di Don Giovanni. L’ouverture era tradizionalmente l’ultimo pezzo che un musicista componeva, quindi pare del tutto normale che dovesse essere ancora scritta. Probabilmente il secondo finale e l’aria di Masetto non furono scritti a Vienna, la città dove Mozart risiedeva, ma a Praga, sul posto, proprio perché il compositore non conosceva Giuseppe Lolli, l’interprete di Masetto, appunto.
Avendo a disposizione i mezzi tecnologici di oggi ed essendo dotati di una sensibilità diversa, che ci porta ad essere molto esigenti e critici, pensiamo che le opere – soprattutto se rappresentate alla presenza dell’autore, come era solito accadesse – fossero eseguite perfettamente.
Si tratta invece di una nostra presunzione: in realtà nel Settecento, le cose stavano diversamente.
Mozart non aveva molto tempo per provare il suo Don Giovanni, la cui rappresentazione, all’inizio, era prevista per il 14 ottobre 1787. Bondini, l’impresario del Teatro praghese, dava l’opera ogni lunedì, mercoledì e venerdì, così restavano per le prove solo tre giorni alla settimana, dunque i giorni a disposizione erano il 2, il 4, il 6, il 9, l’11 ed il 13 ottobre, poiché (udite udite), nonostante ancora i sindacati non fossero stati inventati, i cantanti si rifiutavano di fare prove straordinarie non previste dal contratto, come lo stesso Mozart scrive in una lettera all’amico von Joacquin.
Il tempo era davvero troppo esiguo perché l’allestimento fosse possibile, così il 14 ottobre, al posto del Don Giovanni, andò in scena con il solito successo Le Nozze di Figaro di Mozart, in quanto i cantanti la conoscevano di già.
Ma per Mozart si profilava un problema: avrebbe dovuto fare a meno della collaborazione del librettista, Lorenzo Da Ponte, che fu costretto a lasciare Praga per impegni precedentemente presi a Vienna, e che non poteva quindi essere presente alla prima prevista inizialmente, come si è già detto, per il 14 ottobre.
Si dice che lo stesso Giacomo Casanova, effettivamente presente a Praga in quei giorni, avrebbe preso il posto di Da Ponte ed avrebbe collaborato alla regia, ma non esistono prove a sostegno di questa ipotesi. Certo, chi meglio di lui, impenitente libertino, avrebbe potuto collaborare alla messinscena del Don Giovanni?
Finalmente si decise che il 29 ottobre avrebbe avuto luogo la prima: ed ecco che fioccano aneddoti, più o meno credibili, su quanto successe alle prove.
Luigi Bassi, che interpretava il protagonista dell’opera, si lamentò con Mozart del fatto che non avesse una grande aria ed il compositore replicò seccamente dicendogli che recitasse e cantasse come doveva, senza impicciarsi di questioni musicali che non lo riguardavano. In realtà questo aneddoto sembra essere credibile e del tutto consono alla prassi operistica del tempo, secondo la quale il cantante era arbitro della situazione e dettava leggi, dietro la spinta del desiderio di ben figurare. Si deve però smentire la voce secondo cui Bassi avrebbe costretto Mozart a scrivere per ben 5 volte il celebre duetto Là ci darem la mano prima di rimanerne soddisfatto, perché la carta su cui è scritto è quella che il musicista usava a Vienna, quindi, prima del suo arrivo in Boemia.
Sempre a proposito di Bassi, è invece credibile il suo racconto su come si svolsero le prove della scena finale dell’opera. Ce lo riporta il Lyser, che ci parla del cantante come di un attento critico di ogni edizione del Don Giovanni, quando Mozart ormai era scomparso da tempo ed il suo genio universalmente riconosciuto. Le sue parole sono interessantissime e fanno vedere le opere sotto una luce assolutamente nuova: “Manca la vivacità, la libertà, come voleva invece il grande maestro, in questa scena. In questo pezzo non abbiamo mai cantato lo stesso in due rappresentazioni, non ci siamo mai attenuti strettamente alle battute, ogni volta era del tutto nuovo, e solo l’orchestra era la stessa: abbiamo usato il ‘parlando’ e l’improvvisazione, così come voleva Mozart”.
Il Finale dell’opera – straordinaria per modernità senza bisogno di modernismi di regia e costumi – fu senza dubbio letteralmente ‘inventato’ a Praga, ed una parte significativa di esso fu creata in sede di prova. Un altro aneddoto che confermerebbe lo spirito che dovette animare la messinscena, è quello secondo cui la Bondini, interprete di Zerlina, nel Finale del I atto doveva emettere un grido di paura che però non risultava troppo convincente; allora Mozart salì sul palcoscenico e le diede un pizzicotto sul posteriore ottenendo così’ l’effetto voluto ed esclamando soddisfatto: “Oh, così va bene!” L’ultimo aneddoto, forse il più citato, riguarda la composizione dell’ouverture: si racconta infatti che Mozart l’avesse scritta la notte precedente alla ‘prima’, e che l’orchestra l’avesse eseguita praticamente a prima vista in sede di esecuzione… In realtà il brano fu scritto il 28 ottobre, il giorno prima, come ci conferma Mozart annotando la data nel suo prezioso Catalogo Tematico e l’orchestra ebbe quindi la possibilità di provarlo almeno alla prova generale.
Come si è visto, l’idea dell’opera d’arte ‘feticcio’, e quindi intoccabile, è un’idea sorta in tempi più moderni: lo stesso Mozart lasciava ampia libertà ai suoi interpreti, come Luigi Bassi, il primo Don Giovanni, ci racconta. Ma sfatiamo un altro mito: non si pensi che l’esecuzione dell’opera di Mozart – come del resto quelle di altre opere coeve – da un punto di vista musicale, sia stata ineccepibile. Mentre al giorno d’oggi si ascolta, per lo più, musica del passato universalmente riconosciuta, e si è più sensibili al valore di un’esecuzione o di un’interpretazione, nel Settecento (ed ancora prima nel periodo Barocco), non si era così esigenti.
Risulta quindi perfettamente comprensibile che Mozart, nonostante “le molte note cadute sotto i leggii” – come lui stesso annota – fosse rimasto soddisfatto dell’esecuzione dell’ouverture, che evidentemente fu provata poco dalla piccola orchestra di Praga.
Tutto questo ci fa capire che il pubblico ed i critici di oggi probabilmente non avrebbero gradito una rappresentazione così concepita: ma Mozart sì.
Credo anche però che il grande Salisburghese non sarebbe stato contento di vedere tante rappresentazioni della sua opera piene di forzature e trasposte in epoche improbabili, con costumi quasi indecenti e scenografie del tutto fuorvianti: ma non possiamo più chiederglielo.
Peccato: chissà che cosa ne avrebbe detto…
Mi piace molto questa maniera di approcciare le opere di Mozart, mostro sacro indiscusso, senza soggezione però con ben fissati i paletti oltre i quali conviene non avventurarsi. In generale concordo nel criticare gli eccessi delle trasposizioni storiche ma nel caso del Nabucco ambientato negli anni quaranta del secolo scorso forse sarei più indulgente, perché l’accostamento delle vicende bibliche alla liberazione di Auschwitz non è gratuito, anzi è di fortissimo impatto.
Penso che un regista che scelga di trasportare un’ opera famosa in un’ altra epoca , cambiandone così il significato originario profondo, stia in realtà facendo un’ operazione di marketing.
Un artista che sceglie di fare ciò in realtà non ama la sua opera, vuole solo guadagnare qualche soldo facilmente; si rifà ad un opera già molto conosciuta, cambia diverse cose, ma attira comunque l’attenzione delle persone.
Grazie Stefano sei un arricchimento per tutti noi.
Tiziana Minezzi
Credo che alla base di ogni rappresentazione e trasposizione di un’opera debba esserci sempre il rispetto, per l’autore e la sua opera.
Non dovrebbero essere consentite le “storpiature” , quali ambientazioni o costumi diversi da quelli originari, che a mio avviso sono un sacrilegio all’ autore dell’opera. A qualcuno verrebbe mai in mente di aggiornare la “Gioconda” con tratti che la inserirebbero in linea coi tempi? Mai!
Se la Gioconda è, per ovvi motivi, intoccabile, così dovrebbe essere Il Nabucco di Verdi, intoccabile. Che il regista si limiti a mettere in scena un buono spettacolo e a mettere da parte il suo narcisismo, che se è irrefrenabile, è bene che qualcuno gli ricordi che non si chiama Mozart o Verdi.
Grandissimo Stefano! Ho letto la tua bella narrazione sulla prima del Don Giovanni di Mozart immerso nei contenuti, incantato dalle immagini che evocano, affascinato dalla tua scrittura semplice, scorrevole, elegante, colta.
Ti ringraziamo tutti di cuore perché ci doni questo contributo artistico e culturale vitale per rinascere dentro come persone e come civiltà.
Mi auguro che il tuo messaggio possa contagiare tutti noi per arricchirci e metterci nella condizione di realizzare da Protagonisti il sogno di fare dell’Italia “Capitale mondiale del Bello” e il “Paese numero 1 al Mondo per la qualità della vita”.
Grazie. Grazie. Grazie.
Magdi Cristiano Allam
Grazie carissimo!
Sicuramente certe scenografie per me sarebbero grottesche anche in un’opera di un compositore contemporaneo e non capisco la tendenza di alcuni registi a volere a tutti i costi qualcosa di nuovo. Tra l’altro in campo musicale c’è anche la corrente che non ritiene correttamente eseguita una composizione antica se non fatta con strumenti dell’epoca in cui è satata realizzata, in quanto sarebbero gli unici in grado di rendere la sonorità originale. Le due tendenze sono chiaramente opposte e probabilmente entrambe “estremiste”. Tra esse, malgrado io preferisca ascoltare la musica anche barocca con strumenti attuali, preferisco comunque quella che cerca di rendere nuovamente ascoltabili le sonorità originali, anche se, se non sbaglio, era prassi sostituire uno strumento mancante con un altro senza che venissero posti particolari problemi. Mi piacerebbe sapere sull’argomento scenografia oltre al pensiero di Mozart anche quello di Wagner che delle sue opere ne fu, se non sbaglio, anche autore
Sicuramente certe scenografie per me sarebbero grottesche anche in un’opera di un compositore contemporaneo e non capisco la tendenza di alcuni registi a volere a tutti i costi qualcosa di nuovo.
Tra l’altro in campo musicale c’è anche la corrente che non ritiene correttamente eseguita una composizione antica se non fatta con strumenti dell’epoca in cui è satata realizzata, in quanto sarebbero gli unici in grado di rendere la sonorità originale.
Le due tendenze sono chiaramente opposte e probabilmente entrambe “estremiste”.
Tra esse, malgrado io preferisca ascoltare la musica anche barocca con strumenti attuali, preferisco comunque quella che cerca di rendere nuovamente ascoltabili le sonorità originali, anche se, se non sbaglio, era prassi sostituire uno strumento mancante con un altro senza che venissero posti particolari problemi.
Mi piacerebbe sapere sull’argomento scenografia oltre al pensiero di Mozart anche quello di Wagner che delle sue opere ne fu, se non sbaglio, anche autore
Grazie Stefano per questo viaggio nel tempo e per averci ricordato che forse, al giorno d’oggi, occorre un pochino più di rispetto per l’arte.
Evviva! Si parla di W. A. Mozart. In lui talento e genio sono andati a pari passo. È stato a mio parere un perfetto miscuglio di testa, di cuore, e mani eccezionali.
Carissimo Stefano, ho letteralmente divorato e assaporato ogni parola di questo articolo. È grazie a Mozart che ho cominciato da ragazzina ad apprezzare ed amare la musica classica. Tempo fa lessi In una sua biografia che egli era convinto che non bastassero intelligenza e immaginazione per creare un genio. Secondo lui era l’amore assoluto la quintessenza dell’anima del genio. Credo che avesse ragione. Per questo oggi
condivido pienamente la domanda che tu caro Maestro ti poni alla fine dell’interessantissimo articolo. Già cosa avrebbe pensato Amadeus di tutto ciò? Forse con la sua esuberanza avrebbe esclamato: “Quando si tratta di beffarmi di qualcuno, non posso resistere”. Lui è sempre stato convinto che “La perfezione si raggiunge per gradi”. Lui che con il suo genio assoluto ha trasmesso all’umanità la sua perfezione, non ha bisogno di ritocchi. Va suonato, interpretato come lui ha scritto, e soprattutto ascoltato, possibilmente in rigoroso silenzio.