A cosa serve il Direttore d’orchestra?

Quando incontro una persona per la prima volta ed il mio gentile interlocutore viene a sapere che sono un compositore ed un direttore d’orchestra, mi capita spesso di sentirmi fare la seguente disarmante e pungente domanda: “Ma a cosa serve un direttore d’orchestra?”

Confesso che sinceramente, alcune volte, sono tentato di rispondere cercando, a mia volta, di mettere in dubbio l’utilità della professione della persona con cui sto conversando, ma mi fermo sempre prima di scendere in qualsiasi polemica, anche se serena ed amichevole. E sapete perché? Perché in effetti neppure un direttore d’orchestra sa perché con lui, sul podio, l’orchestra suona la Terza di Beethoven in un modo, e, magari, la settimana dopo, la stessa orchestra, sotto la guida di un’altra bacchetta, esegue lo stesso brano in tutt’altro modo…

Del resto, a ben vedere, fino alla metà del XIX secolo non esisteva il direttore d’orchestra, almeno non come la figura professionale ben definita che oggi conosciamo e che abbiamo ben presente nel nostro immaginario collettivo.  Il ruolo del direttore comincia a fare capolino intorno al XVI secolo, ma già nel XVII secolo un musicista, per dirigere l’orchestra, utilizzava fogli di carta arrotolata o dei grossi bastoni che venivano battuti sul pavimento per scandire rumorosamente il tempo. Fu così che nel 1687, Jean-Baptiste Lully, mentre dirigeva in questo modo, si procurò per errore una brutta ferita ad un piede, che diede luogo ad un’infezione che non lasciò scampo allo sfortunato musicista, che morì poco tempo dopo.

Nel Settecento le funzioni di concertatore erano svolte dal primo violino o dallo stesso autore seduto al clavicembalo: le orchestre erano formate da pochi elementi e la scrittura musicale allora non aveva eccessive esigenze interpretative, ma si affidava piuttosto ad una prassi esecutiva ben consolidata e del tutto convenzionale.  

Nell’Ottocento, con le dimensioni delle compagini orchestrali decisamente dilatate, si rese necessaria la figura di un vero e proprio direttore d’orchestra, e molti compositori, come Carl Maria von Weber, Felix Mendelssohn, Hector Berlioz e Gustav Mahler si dedicarono all’arte del dirigere. Ben presto ci furono musicisti che si formarono esclusivamente (o quasi) per interpretare musiche orchestrali dal podio, come Angelo Mariani (18211873) e Hans von Bülow (18301894), fino ad arrivare ad Arturo Toscanini, Herbert von Karajan, ed in tempi ancora più recenti, Claudio Abbado e Riccardo Muti, tanto per citarne solo alcuni.

Ma torniamo alla domanda iniziale: a cosa serviamo, noi direttori d’orchestra?

Se qualcuno di voi ha in casa un’esecuzione di una Sinfonia di Beethoven diretta da Otto Klemperer, ad esempio, sarà abituato a dei tempi decisamente più pesanti di quelli scelti da Riccardo Muti, e probabilmente, ascoltando quest’ultimo, penserà: “Questo tempo è troppo veloce! E’ sbagliato!”. Ovviamente chi si sarà abituato invece ai tempi scelti da Muti, troverà certamente pachidermici quelli di Klemperer e non li accetterà tanto facilmente, ritenendoli “sbagliati”.

Ma come possiamo stabilire se un tempo è giusto o sbagliato, visto che il compositore il più delle volte è passato da secoli a miglior vita? Chi ha ragione, ammesso che si possa poter dare ragione a qualcuno? Muti o Karajan? Klemperer o forse Abbado?

Quando un direttore d’orchestra ha di fronte una partitura da studiare, deve capire prima di tutto dove sta il tema e quale dovrebbe essere il tempo “giusto”, sempre che ne esista uno, come abbiamo detto prima. La voce a cui il compositore ha affidato il tema deve emergere, ovviamente, ed è compito del direttore fare in modo che ciò avvenga in modo naturale.

Il Maestro deve poi porsi un’altra domanda, che sembrerebbe scontata: chi è il compositore?

In quale epoca è vissuto? Qual era la prassi esecutiva del periodo in cui scrisse il brano che si deve interpretare? Solo quando si è capito cosa si vuole ottenere da un’esecuzione, si può salire sul podio.

Credetemi, un direttore d’orchestra può esaltare i suoi musicisti fino ad ottenere risultati a cui nessuno poteva credere prima o deprimerne la musicalità fino ad avere un prodotto scialbo ed incolore; perché c’è una bella differenza tra il far diventare musica una partitura e semplicemente limitarsi a leggerne freddamente le note.

Ricordo un Maestro che, ad un corso di direzione d’orchestra, dopo avere mostrato la tecnica che si doveva usare con la bacchetta per battere correttamente tutti i tempi, semplici e composti, impiegando non più di un quarto d’ora, si fermò, finse di congedarsi dicendo: “Bene, ora la lezione è finita. Quello che potevo insegnarvi, ve l’ho insegnato. Tutto il resto o lo sapete di già o non lo saprete mai”. Era chiaramente una provocazione, perché subito dopo, vinta la perplessità generale ed il diffuso sconcerto presso quei giovanotti di belle speranze desiderosi di diventare dei nuovi Karajan, e che pendevano dalle sue labbra, aggiunse: “Capite cosa voglio dirvi, vero? Dovete avere in voi il talento naturale per diventare dei veri direttori d’orchestra, ed è mio compito tirarlo fuori dalle vostre mani, se ce lo avete, però, perché non si può inventare…”.

In altre parole, direttori d’orchestra si nasce, ed è proprio per questo che chi dirige un’orchestra viene chiamato con riverenza Maestro, perché un professore insegna solo quello che sa, e che tutti possono, bene o male, imparare, mentre un Maestro fa crescere in te quello che tu hai già dentro e che nessuno ti potrà mai insegnare.

Si dice che il grande direttore d’orchestra Wilhelm Furtwängler non avesse un gesto precisissimo e chiaro, ma, ad esempio, stranamente ed inaspettatamente, nella Quinta Sinfonia in do minore di Beethoven, quel celeberrimo inciso iniziale fatto di sole quattro note era esplosivo sotto la sua direzione, perché tutta l’orchestra gli rispondeva in modo incredibile e con una precisione che non sembrava corrispondere all’apparente indefinitezza dell’attacco.

Arturo Toscanini era una leggenda anche da vivo, e le sue esecuzioni, prima dell’avvento della televisione, venivano trasmesse via radio negli Stati Uniti; quando finalmente la televisione svelò a tutti la figura di Toscanini mentre dirigeva le masse orchestrali, molti rimasero quasi delusi di vedere un piccolo uomo, ormai in là con gli anni, muovere misuratamente le mani e dirigere anche con l’intensità dello sguardo, senza enfatizzare nessun gesto, poiché probabilmente avevano immaginato tutt’altro ascoltando le sue appassionate interpretazioni alla radio.

Il primo a far diventare divo la figura del direttore d’orchestra, fu Herbert von Karajan, che fece le fortune dei Berliner Philarmoniker non solo per la qualità delle sue esecuzioni, ma anche per l’oculato ed intelligente marketing che riuscì a fare con le sue registrazioni, sia in disco che in video. Peter Csobádi, stretto collaboratore di Karajan per molti anni, ci racconta che nel 1969, il Maestro, dopo avere assistito ad una prova di un giovane direttore che dava gli attacchi ai Berliner Philarmoniker con eccessiva passione, gli disse: “Alle prove si limiti a correggere gli errori: tenga il suo stato di trance per il concerto”.

Parole che fanno capire molto di questo mestiere e che lasciano intendere quanto si possa concedere al pubblico in termini di scena, e quanto invece debba essere ritenuto concreto ed utile per il conseguimento del risultato finale.

Il mondo della direzione d’orchestra ha anche i suoi misteri: uno dei più grandi direttori, unanimemente riconosciuto come un vero punto di riferimento anche da colleghi illustri, Franco Ferrara (1911-1985), avrebbe probabilmente dominato la scena internazionale se non fosse stato affetto da una misteriosa malattia manifestatasi per la prima volta a Roma nel 1940, mentre dirigeva la Sinfonia del Nuovo Mondo di Dvořák: il Maestro svenne sul podio, pur restando di fatto lucido e cosciente, ed il concerto fu sospeso. Purtroppo questo fatto si ripeté anche successivamente durante altre sue esibizioni,  per cui nel 1948 il Maestro fu costretto ad interrompere la sua attività concertistica dedicandosi  solo all’insegnamento ed alla direzione di colonne sonore. Non si è mai saputo chiaramente quale fosse l’origine di questa malattia che purtroppo stroncò una carriera che era destinata ad essere luminosa ed irresistibile. Un mistero, come un mistero è quella incredibile alchimia che si verifica fra un direttore e la sua orchestra e che rende memorabile (o meno) l’esecuzione di un brano.

Del resto, come diceva Karajan, dirigere l’orchestra è questione di magia… E si sa, la magia non è spiegabile, e, se mai lo fosse, nessun mago svelerebbe in pubblico i suoi trucchi…

Quindi, mi perdonerete se anch’io, nel mio piccolo, terrò per me qualche piccolo segreto e non risponderò compiutamente alla domanda che dà il titolo a questo mio intervento…

Non me ne vogliate.

9 commenti su “A cosa serve il Direttore d’orchestra?

  1. Grazie Maestro! Il talento, per me è bellissimo vedere il talento nelle persone, e il suo articolo è un elogio al talento, ho saputo che non potrà più proseguire la sua attività nella Casa della Civiltà, ma ci conceda di tanto in tanto ancora un intervento. Arrivederci

  2. Non mi ero mai posto la domanda “quando è nata la figura del direttore d’orchestra?” anche se ho studiato storia della musica. Effettivamente dalla nascita della polifonia in poi è sempre stata necessaria una guida che organizzasse l’esecuzione dei brani musicali, ma questa figura era prevalentemente il compositore stesso in quanto presumo che raramente si dirigesse musica di altri, probabilmente perché era sempre preferita dal pubblico la novità. È quasi sicuramente dovuto a questo il fatto che addirittura la Passione secondo San Matteo di Bach non venne più eseguita per quasi 80 anni dopo la morte dell’autore. Col crescere della classe borghese, che già ai tempi dell’inaugurazione a Venezia del primo teatro aperto ad un pubblico pagante dimostrò di voler assaporare anch’essa il frutto della nostra arte, non era chiaramente più possibile ai soli compositori presiedere alle esecuzioni richieste e quindi fu nel XIX secolo che si rese necessaria la figura del Direttore d’orchestra sepatata da quella del compositore. Grazie Stefano.

  3. Io sono sempre stata affascinata dall’atmosfera che si crea fra il Direttore di orchestra e i musicisti che in quel momento sta dirigendo. In questa magnifica riflessione si sente la Magia della Musica, si sente l’Amore, Io sono sempre stata affascinata dall’atmosfera che si crea fra il Direttore di orchestra e i musicisti che in quel momento sta dirigendo. In questa magnifica riflessione si sente la Magia della Musica si sente l’Amore, e la Bellezza dei suoni che hanno deliziato e accompagnato il mondo da sempre. Si percepisce chiaramente come cambiano le culture, le mode, gli usi, anche i Direttori d’Orchestra con il loro modo di interpretare e dirigere.
    La grande musica è immortale…
    “Dove le parole non arrivano… la musica parla”. (Ludwig Van Beethoven)

  4. Caro Stefano, ho letto tutto d’un fiato il tuo commento e non ti chiederò mai a cosa serve il Direttore d’orchestra. A me basta guardarlo mentre dirige e immaginare che, attraverso la sua bacchetta, racconti la sua vita, la sua passione per la musica, i suoi sacrifici, i suoi successi.
    Un grazie di cuore per la magia delle tue parole.
    Mluisa

  5. Meravigliosa descrizione della magia del Direttore d’orchestra. Sono sempre affascinato nel vedere i Direttori d’orchestra all’opera. Vibro all’unisono con il suo vibrare, mi emoziono accompagnando la sua emozione. La bellezza della musica transita e s’illumina grazie al fascino del carisma del Direttore d’orchestra.
    Ho letto la testimonianza e le rivelazioni storiche del nostro Maestro Stefano Burbi con interesse e gioia. Carpire i segreti e l’animo di un personaggio che incarna la bellezza della Musica mi affascina.
    Grazie Stefano!
    Invito tutti gli amici della Casa della Civiltà a leggere, imparare e commentare. Grazie.
    Magdi Cristiano Allam

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