A fasi alterne, si riaccende spesso la tematica sull’aborto. Recentemente, a livello internazionale, il dibattito si è riaperto a seguito della decisione del 24 giugno 2022 della Corte Suprema Americana che, partendo dalla premessa che l’aborto non è un diritto sancito dalla Costituzione, ha accordato a ogni Stato federale la facoltà di consentire o meno la pratica dell’aborto. Si è gridato allo scandalo.
In nome del diritto «inalienabile di autodeterminazione della donna» e delle nuove dottrine di libertà sessuale, il 22 maggio del 1978 in Italia fu approvata la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza (legge n. 194/78), ovvero la legge sulla legalizzazione dell’aborto.
Prima di ciò, l’interesse dello Stato alla procreazione era massimo. Le ideologie femministe hanno del tutto annullato il valore del bene giuridico della vita del feto, di fronte al bene maggiormente tutelato della libertà della donna di decidere di sé. Decidere di sé. Decidere di se stessa.
Ma si tratta davvero di decidere solo di se stessa?
La mistificazione non è solo ideologica ed etica, ma anche linguistica. Basterebbe solo analizzare la differenza epistemologica fra il termine donna ed il termine madre. Il secondo si riferisce alla donna che ha concepito e/o partorito, considerata dunque in rapporto alla sua prole.
Pertanto, mentre per donna si intende l’individuo femminile della specie umana, per madre si intende lo stesso individuo che abbia concepito.
Il primo è un soggetto singolo, isolato, individuo, appunto, invece il secondo reca un altro da sé. Questa è la differenza e qui sta l’inganno.
Ma vi è un’altra considerazione ugualmente ingannevole. L’aborto libero fu il corollario della altrettanto invocata libertà sessuale, laddove la gravidanza ne risultava il fastidioso inconveniente. Pertanto, più che di sessualità libera sarebbe stato più corretto parlare di sessualità ricreativa, del tutto avulsa dal suo primario scopo riproduttivo. Davvero questo desideravano le donne del 78?
In questo enorme inganno ideologico ci è cascata anche la grande giornalista Oriana Fallaci, perspicace e visionaria per molti altri aspetti del futuro della umanità. La Fallaci espresse, con forza e convinzione, la volontà di conferire alle donne pieni diritti sulle questioni che concernono la propria esistenza, ignorando completamente anch’essa l’esistenza del concepito. Il suo libro “Lettera ad un bambino mai nato” è un esplicito specchio dei suoi tempi e della pesante ideologia sottostante, che non risparmiò neanche lei. Nel libro, la giornalista esordisce ponendosi un angoscioso interrogativo: basta volere un figlio per “costringerlo” alla vita? A lui piacerà nascere? Quali sono le realtà da “subire” entrando nel mondo?
Lo scenario pessimistico che sottende alla scelta abortiva, prospettata come diritto, è la visione della sopravvivenza come violenza, della libertà come utopia e dell’amore come un concetto non ben identificato.
Nella esasperata euforia ideologica dei tempi, toccò anche assistere ai procurati aborti praticati personalmente da Emma Bonino ed esibiti pubblicamente, come stendardo di libertà femminile. Questi i presupposti storico-politici.
La pesante eredità del femminismo, che si fondò sulla immagine della donna come soggetto succube e deprivato, l’ha trasformata oggi in un soggetto onnipotente, che esercita un potere senza limiti sia sul concepito, sia sull’uomo, che pure ha contribuito al concepimento.
L’uomo è del tutto escluso dalla sfera decisionale che riguarda il destino di una creatura indubbiamente anche sua. Ciò all’insegna, in un rapporto a tre (donna, uomo e concepito), del diritto inalienabile (?) all’autoderminazione (solo) della donna.
In altri termini, nel suddetto rapporto a tre, conta solo il diritto di uno dei tre.
La conseguenza di tutto ciò è la seguente: da una parte, il fenomeno aborto è in piena espansione, dall’altra siamo di fronte ad un gravissimo tracollo demografico. Gli italiani hanno cessato di fare figli e sono destinati ad estinguersi come popolazione. L’Europa stessa è l’area del mondo con il più basso tasso di natalità, ma l’Italia, rispetto agli altri paesi europei, è quello con l’indice di natalità più basso in assoluto. Ogni anno in Italia ci sono 250 mila persone in meno.
Secondo le statistiche pubblicate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), ogni anno, nel mondo, si registrano circa 40-50 milioni di aborti (indotti, non spontanei), una media di 125 mila aborti al giorno. Nel 2018 è stato interrotto il 23 per cento (poco meno di un quarto) delle gravidanze a livello globale.
Per ogni 33 bimbi nati vivi, dieci sono stati abortiti.
Dunque, il numero delle “vittime” del diritto alla libertà procreativa ha superato tutti i decessi per tumore, fumo, alcol, incidenti stradali, Aids e persino Covid.
Questa è una emergenza epocale. L’imperativo sarebbe quello di promuovere la crescita della natalità. Invece, sopravvivono ancora i vetusti slogan sul diritto alla libertà procreativa, alla salute riproduttiva, all’aborto libero.
C’è bisogno di un totale ridimensionamento della sfera delle libertà individuali e del superamento della retorica e dell’etica vetero-femminista che millantava facili diritti, al posto di precise responsabilità.
E’ giunto il momento di fermarci. Ricominciamo da capo.
Hai colto il punto, Grazia. La civiltà umana, giuridica e spirituale deve fondarsi sul rispetto dei diritti altrui e non sul perseguimento indiscriminato dei diritti propri. Ciò è esattamente il contrario del Diritto e della Civiltà.
La pietra miliare del Diritto Romano è stato proprio il concetto secondo il quale “il diritto individuale finisce esattamente dove comincia quello degli altri”.
Tutto pienamente condivisibile! Bisogna riprendere in mano l’importanza e la cultura della famiglia come primo nucleo sociale dove l’individuo sviluppa le sue capacità affettive, intellettive contibuendo alla sua stessa crescita personale e collettiva.
Piuttosto che “limitare le libertà individuali” , prima che qualcuno possa pensare ad altro, preferisco pensare che la scelta di tenere o meno un figlio non possa essere considerata una libertà individuale, ma è innanzitutto un diritto alla vita che va rafforzato nella sua tutela, prevedendo la possibilità di un sostegno finanziario per chi non abbia la possibilità economica di portare avanti una gravidanza e successivamente un anche un lavoro, e laddove sia necessario anche un supporto di assistenza psicologica, poiché spesso dietro la scelta di abortire c’è dietro tanta paura.
Paura di una responsabilità per la quale la futura madre, il padre o entrambi non sono pronti. Paura perché trattasi di una gravidanza nata fuori da un matrimonio, o da altra relazione, paura perché si è giovani e impreparati.
Qualora questo non venisse accettato, il diritto ci insegna che affinché una norma, una legge, vengano rispettate debba prevedere la corrispondente norma sanzionatoria.
La lotta va fatta contro le culture dissacratorie della famiglia che hanno permeato gli ultimi decenni di storia: dal maschilismo, al femminismo, all’omofobia, cultura gender e tanto altro che oggi domina la scena. È tutta roba partorita con un solo e unico obiettivo: quello di scardinare le fondamenta della visita umana, nei suoi affetti più importanti che sono l’amore e il rispetto per l’altro, la famiglia, la gioia di vivere. Tutto questo è importante per l’uomo poiché produce e immette energia positiva nella sua vita e nella società.
La civiltà e la parità sono altro: sono tutela di tutti come individui vivi, a prescindere dal sesso, dalle scelte personali in ogni settore della vita che ci coinvolga da quella privata e personale a quella pubblica e sociale.