DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “Fantasticheria” e l’ideale dell’ostrica

La raccolta Vita dei campi si apre con il racconto Fantasticheria nel quale Giovanni Verga si rivolge in prima persona a una donna aristocratica con la quale dice di aver trascorso quarantott’ore nel paese di Aci Trezza.

Rievocando i momenti vissuti insieme alla dama durante la loro permanenza nel piccolo borgo di pescatori, baciato dal sole e fatto di camminate e di scogli su un mare calmo, con un mucchio di casette “che dormivano quasi raggomitolate sulla riva”, lo scrittore tratteggia in poche righe il ribaltamento dello stato d’animo della donna che passa dalla curiosità entusiastica iniziale, con la quale ella apre i due giorni che si accingeva a trascorrere nel paesino siciliano, alla noia, suggellata dalla considerazione “Non capisco come si possa vivere qui tutta la vita”,  rievocata dallo scrittore, che conclude la permanenza della dama in questo scorcio bello ma poco stimolante della Sicilia orientale, stanca e in attesa di soddisfare la sua voglia di novità.

All’incapacità di comprendere questo mondo, diverso da chi possiede “centomila lire di entrata”, Verga propone un capovolgimento di prospettiva. L’invito dello scrittore è quello di rimpicciolire “tutto l’orizzonte tra due zolle” e “patire un po’ di tutti gli stenti” che la gente del luogo tutti i giorni soffre “fra quegli scogli giganteschi, incastonati nell’azzurro, che vi facevano batter le mani per ammirazione”.

Il suggerimento è quello di rimpiazzare il “cannocchiale” col quale si è soliti osservare da lontano, a distanza, la vita degli altri, con il “microscopio” attraverso cui guardare “le piccole cause che fanno battere i piccoli cuori”.

Fantasticheria è l’opera che più direttamente anticipa il romanzo I Malavoglia: se ne presenta l’ambientazione e se ne annuncia la tematica principale e le caratteristiche dei personaggi. Al centro è “l’ideale dell’ostrica”, cioè il legame viscerale di quella povera gente, che abita il paese di Acitrezza, con lo “scoglio”, ossia tutta quella realtà geografica e sociale, per sineddoche, che determina il microcosmo di cui gli abitanti sono figli.

Alla trama del romanzo ormai prossimo si allude presentandola come un dramma articolato sul nodo cruciale dell’attaccamento al luogo natio e dell’esigenza esistenziale, al contempo, di allontanarsene.

La voce narrante di Fantasticheria evidenzia il nodo cruciale che rappresenta il destino esistenziale crudele e ineludibile a cui andranno incontro i personaggi dell’opera. Così si esprime, infatti, Verga in Fantasticheria:

Allorquando uno di quei piccoli, o più debole, o più incauto, o più egoista degli altri, volle staccarsi dal gruppo per vaghezza dell’ignoto, o per brama di meglio, o per curiosità di conoscere il mondo, il mondo da pesce vorace com’è, se lo ingoiò, e i suoi più prossimi con lui.

Il racconto non nasconde però il coinvolgimento e l’inclinazione dello scrittore nei confronti degli abitanti del piccolo borgo. Si percepisce la simpatia del Verga per la loro dignità e per il modo tenace con cui essi affrontano la loro vita: costante dell’esistenza dei personaggi del paesino del catanese è la “religione della famiglia”, sentimento che ispira la morale per la quale gli uomini del popolo agiscono e si sacrificano.

Si individua l’obiettivo del bene di sé e del proprio nucleo familiare come motore delle azioni e dei sacrifici quotidiani e, al contempo, come baluardo di difesa invalicabile nei confronti di un mondo al di fuori, moderno, che non può attrarre.

Per un attimo lo stesso Verga pare poter indicare in un anziano pescatore, col quale durante la permanenza ad Acitrezza lui e l’amica si erano interfacciati, un modello comportamentale da imitare. Lo scrittore riferisce che quell’uomo, “vissuto sempre fra quei sassi”, nei pochi momenti di pausa dal suo lavoro quotidiano, “non avrebbe mai voltato la testa per vedervi”, cioè non avrebbe mostrato interesse nei riguardi della bella donna, perché immune alla sua seduzione e al suo fascino.

Verga fantastica sulla possibilità che anch’egli possa condividere questa capacità di rimanere impassibili nei riguardi delle attrattive di un mondo moderno, incapace di intaccare la ferrea morale che sostanzia la condizione esistenziale incarnata dal vecchio pescatore.  

La piccola realtà del paese appare allo scrittore siciliano un ambiente intriso di valori, in cui si realizza idillicamente il raggiungimento di quella condizione di interiore serenità dalla quale è lontano quel mondo moderno del quale l’amica è rappresentante emblematica.

Il destino dei personaggi dei racconti di tutta la raccolta Vita dei campi sarà però drammatica, come sottolinea Andrea Manganaro nella sua monografia dedicata a Verga. La modernità incombente, con le sue prerogative mosse dall’interesse economico e dal materialismo del progresso, rappresenterà un’onda che spazzerà via tutto. Quel mondo arcaico risulterà svuotato dei suoi valori e il proposito romantico di rifugiarvisi all’interno sarà vano anche per Giovanni Verga, personalmente costretto ad allontanarsene e a vederlo svanire (A. Manganaro Verga, Acireale-Roma, Bonanno, 2011 “Scrittori d’Italia”, 1).

15 commenti su “DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “Fantasticheria” e l’ideale dell’ostrica

  1. Per quanto iguarda , caro Davide, l’apparentemente basso livello di frequentazione degli angoli di riflessione letteraria ciò deve essere ascritto alla sbornia di cronache e di eventi politici a cui siamo tutti esposti e che rappresenta la vera infopandemia della nostra epoca. Io non mi lascerei disturbare dal livello di affluenza e continuerei con la generazione di queste tue “perle” che essendo molto preziose non sono alla portata di tutte …le tasche.

      1. Davide, ti scrivo qui, sono analfabeta tecnologica, scusami. Il tuo articolo di oggi, sul racconto di Verga, ha suscitato in me, e Adolfo con il quale ho scambiato opinioni, profonde riflessioni, sia nella sfera personale, che in generale sulla nostra attuale società. Sono d’accordo con ogni tua opinione, e ti ringrazio perché i tuoi scritti sono per me come un sasso gettato in uno stagno. I cerchi si allargano nella mia mente e sono una spinta a formulare meglio il mio pensiero. GRAZIE!!!

  2. Nelle mie citazioni non metto mai l’originale Rocco Spatu perchè sento proprio la forza della metafora, l’inizio delle nostre giornate, il commiato dalle cose di sempre , il coraggio dell’abbandono e la tristezza dell’esilio. La gente indifferente del mondo di Verga (quella che comincia a passare) è la stessa che nella nostra realtà si oppone alla realizzazione del “miracolo italiano”. Condivido il tuo pensiero: è tempo anche per noi di tornare a guardare il mare , i suoi colori mattutini , di godere del suo fascino e di credere di poter cambiare questa realtà scondo le nostre sacrosante convinzioni . E’ tempo di avere il coraggio di lasciare quel particolare modo di brontolare del mare di Aci Trezza anche se non ci basta il cuore di abbandonare quello “sbattere di imposte” e quella che ci pare “La voce di un amico”…

    1. La tua poesia, che avevo letto, caro Giorgio, spira la stessa malinconia che prova ‘Ntoni prima di andar via, ancora una volta, all’alba di quel giorno che si apre così, uguale a tutti gli altri. Come sempre. Ma c’è un’altra possibile interpretazione che non sostituisce la tua ma la affianca. La gente indifferente del paese è sì inconsapevole, ma ha il valore intrinseco di non cambiare mai. Il tempo della vita di paese ha il fascino della ciclicità, di un ritmo che si ripete e che basta a se stesso. La sua indifferenza è anche indifferenza nei confronti della forza annichilente che la modernità e il progresso scateneranno su tutto e tutti. È l’indifferenza stessa del mare che non ha moralità né colpe.

  3. Verga mi ha sempre attratto, ma non mi è mai piaciuto veramente. Attento osservatore, cronista impietoso dei suoi tempi, sottile analista dell’animo umano, convinto sostenitore dei valori tradizionali, così massicciamente attaccati dal modernismo, ci assomiglia sempre di più. Anzi sono i fatti della sua epoca ad assomigliare a quelli della nostra.
    Ma non ho mai accettato il suo pessimismo, il suo arrendersi. Non lo accetto nemmeno oggi, quando sento dire che gli attuali teologi del nuovo ordine mondiale ci distruggeranno.
    Non ci credo. Assolutamente. Non faremo la fine dei Malavoglia. Noi no.

    1. Ciao Stefania, intanto ti ringrazio per avermi letto e per aver commentato. Mi rendo conto che si tratta di un privilegio, ormai, considerando quanto poco il sito e il mio spazio vengano frequentati. Lascia però che ti faccia notare quanto segue.
      L’epoca di Giovanni Verga non assomiglia alla nostra ma è la nostra. Solo l’anno scorso si è celebrato il primo centenario della morte di questo grande scrittore mio concittadino e forse anche avo (una mia bisnonna si chiamava Verga, anch’ella vizzinese, boh!). Verga non è moderno, ma contemporaneo. In secondo luogo non sono concorde con te quando sostieni che Verga si arrende. Un pessimista, quale anch’io mi ritengo, non si arrende ma lotta nonostante tutto. Solo che acquista amaramente consapevolezza delle dinamiche in gioco e dei percorsi di trasformazione del mondo. E direi che Verga ha visto lucidamente anche ben oltre gli anni in cui visse. Fu in grado di anticipare un destino che, in effetti, si è davvero realizzato. Dobbiamo riconoscerlo. È un dato di fatto.
      Aggiungo, inoltre, quest’ultima postilla: il protagonista del suo romanzo non è la famiglia Toscano, cioè i Malavoglia. Il vero protagonista, probabilmente, è il paese stesso di Aci Trezza. Dobbiamo cercare di evitare di pensare ai romanzi seguendo l’ottica tradizionale secondo la quale si ricerca l’iconica immagine dell’eroe alla fine vincente. I Malavoglia sono antieroi e perdenti. Ma il motivo per il quale perdono è che hanno fatto il passo più lungo della gamba. Hanno provato a “entrare nel sistema”. Verga non è un semplice affetto da “denuncite”. Se rileggi il mio articolo di oggi dovresti notarlo. Un ideale c’è e in qualche modo lo dice. Verga non può ergersi da un pulpito e declamare al popolo quanto ha capito. Non lo ascolterebbe nessuno. La collettività è morta. È così. Non è un Dante. Ma forse una via di salvezza c’è, anche se non ce lo può dire in maniera palese. Starà a noi essere in grado di non fare la fine dei Malavoglia oppure sì.

      Comunque in questo articolo non parlo ancora dei “Malavoglia”. Ci saranno questioni complesse che riguarderanno quel romanzo. Qui, per il momento, parlo di “Fantasticheria” che comunque anticipa molto, sul piano ideale, l’opera maggiore del Verga.
      P. S. Cosa dirai, allora, se e quando tratterò del relativismo pirandelliano? Aiuto! Ahah

      1. Pirandello? Mi piace assai di più, è molto in sintonia con me.
        Ma, Davide, non conoscevo la tua genealogica discendenza da Verga! Straordinario. Questo spiega il tuo eccezionale talento e tua sensibilità letteraria non comune. L’ho sempre detto: i tuoi studenti sono consapevoli della grande fortuna che hanno ad avere te come docente?

        1. Stefania, è solo una mia illazione. Dovrei prima andare a fare una attenta ricerca presso gli uffici dell’anagrafe di Vizzini, comune del quale sono originario, per accertarmene. Però ti confesso che mi fa piacere pensare di poter essere discendente del grande Giovanni Verga. I miei studenti? Potremmo parlarne a lungo, specie per ciò che può significare quel possessivo “tuoi” davanti alla parola studenti. Considerando il ruolo marginale che mi riserva la scuola italiana, probabilmente gli studenti non si rendono nemmeno conto di essere “miei”, figuriamoci sentirsi fortunati! Ti ringrazio per i tuoi complimenti assolutamente immeritati. Assolutamente! Che dire, ad maiora!

    2. Caro Davide, non ti crucciare troppo se il sito e le tue bellissime esegesi sono poco frequentate.
      Credo invece siano molto lette, solo che sono di altissimo livello letterario, tale che pochi sono in grado di apprezzare appieno e soprattutto replicare. Se poi vediamo cosa ci trasmette la scuola e non solo oggi di schematico, etichettato, sorvolante, senza un vero approfondimento, è già tanto se riusciamo a seguire nei giusti termini i tuoi interessantissimi commenti. Ma devi continuare, il ferro va scaldato e battuto in continuo, se vogliamo ottenerne qualcosa di utile ed indispensabile.
      Giorgio fa osservazioni ineccepibili, ma anche Stefania contribuisce al dibattito evidenziando indirettamente quanto accennavo sopra, cioè l’opera negativa, fatta da certa scuola disattenta alla conoscenza profonda degli autori ed alla loro mera etichettatura con semplificazioni incomplete se non fuorvianti.Vedi oggi per esempio la etichettatura di ‘no vax’.
      Sono d’accordo con te che Verga non è il passato, anzi per molti versi è stato un anticipatore dell’oggi, quanto osservatore dell’Uomo Universale, che dal Positivismo, post Illuminista e dal Scientismo entusiasta, si è reso conto di quanto il modernismo si trascinava dietro ombre e pericoli, insiti nella stessa natura umana intrisa di passioni e voracità e sete di denaro e potere che dominano la stessa scienza. Verga non riesce ad essere insincero ed artificioso, egli bada ai fatti e non alle parole. Fatti burrascosi, come la vita reale, in cui certo egli ha una visione pessimistica, di sfiducia nella società umana, “Non accusate l’arte – dice lo Scrittore in EVA – l’arte che ha il solo scopo di aver più cuore di voi, e di piangere per voi i dolori dei vostri piaceri….” , almeno fino alla novella NEDDA del 1874,che si assume inizi il periodo Verista.
      Quando lui è a Milano(dal 1872),abbiamo nel 1880 appunto le novelle della VITA DEI CAMPI, con 5 novelle tra cui Fantasticherie citate da Davide, cui seguiranno le due del ciclo dei VINTI, I MALAVOGLIA E MASTRO DON GESUALDO. Che sicuramente Davide ci illustrerà.
      Della vita e produzione letteraria di Giovanni Verga, che non fini’ il ciclo dei VINTI, con gli altri 3 romanzi, che dovevano costituire una fantasmagoria della lotta per la vita, mi son sempre chiesto perché non lo portò a termine. E perché dopo il 1905 con l’ultimo “Dal tuo al mio”, non scrisse più e perché nel 1893 tornò a Catania e rimase in sdegnoso isolamento fino al 1922 quando morì, apparentemente insensibile al Decadentismo ed al dannunzianesimo.
      Forse riteneva fatalmente concluso il suo ciclo letterario ed umano od ormai inospitale l’ambiente letterario contemporaneo?
      Certo sulle speranze umane di migliorare la propria vita, di andare innanzi, di progredire, vedeva l’ombra di una fatalità più vasta e possente, più minacciosa e invincibile, quella che era il cammino umano per il progresso appariva da vicino, fatto di dolori, miserie e sconfitte. Gli uomini arrancano sulla via del progresso e cadono e altri li travolgono e calpestano, e questi ultimi oggi vincitori, saranno i vinti di domani che vanno incontro senza saperlo alle sconfitte future ;e a sconfiggerli saranno le INGIUSTE LEGGI SOCIALI, O LA LORO INCONTENTABILITA’, O LA GELIDA INDIFFERENZA DEGLI UOMINI, O UNA MALATTIA, UN VIRUS, CHE LI GHERMISCA ED ATTERRI : e in tutte queste cose si nascondera’ sempre un qualcosa di superiore alle volontà umane, e cioè la presenza di un destino invincibile. Tutti gli uomini sembrano dei vinti. SEMBRANO, appunto. Fatalisti, sì. Pessimisti, anche. Ma non VITTIMISTI. NON RINUNCIATARI, PASSIVI. PERCHÉ, NONOSTANTE TUTTO, CONSERVANO LA LORO DIGNITÀ SPIRITUALE, SERBANO FEDE AI VALORI CHE COMUNQUE DANNO UN SENSO ALLA VITA ; E QUESTI VALORI SONO L’UNITÀ FAMILIARE, L’ONORE, LA LIBERTÀ, L’ATTACCAMENTO AL FOCOLARE DOMESTICO, PERFINO L’ATTACCAMENTO ALLA PROPRIA RICCHEZZA, ALLA “ROBA” CHE È COSTATA SUDORE E LACRIME, CHE NON HA SOLO UN SIGNIFICATO ECONOMICO, MA ANCHE E PIÙ, UN SIGNIFICATO MORALE.
      Questo intendevo per contemporaneità del Verga e attualità. Della nostra battaglia e della VIA CHE ANCHE LA NOSTRA CASA DELLA CIVILTÀ SI È DATA.
      REALTÀ E DIGNITÀ E DETERMINAZIONE.
      FORSE ANCHE VERGA È DEI NOSTRI E SPERO DALL’AL DI LÀ, APPROVI.
      GRAZIE DAVIDE PER TUTTO IL TUO LAVORO E L’ATTUALITÀ CHE CI PORTI DELLA NOSTRA GRANDE LETTERATURA.

  4. Caro Giorgio, il proposito è proprio quello di individuare alcuni momenti della nostra storia letteraria che consentano di esplicitare messaggi validi al fine di fortificare le nostre convinzioni. La letteratura ci parla e ci fornisce già la soluzione. Grazie per la tua lettura e per il tuo commento.
    P.S. : ” […] è stato Rocco Spatu.”

  5. Giovanni Verga sta con le sue opere bene in vista nel mio studio e devo dirti che apprezzo la tua “perla” di oggi è le mille riflessioni che tu hai suggerito e ricordato.Grazie e i miei complimenti per la passione che ti anima e ti permette questi magistrali approfondimenti. Noi tutti vorremmo possedere quella atarassia del vecchio pescatore “vissuto sempre fra quei sassi” ma siamo purtroppo vittime di questa follia quotidiana…ora è tempo di andarsene, perché fra poco comincerà a passar gente. Ma il primo di tutti a cominciare la sua giornata …

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