DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “Pirandello e il relativismo culturale moderno: la ricerca di un tramite comunicativo, lo smarrimento esistenziale e l’affermazione di una nuova autenticità umana”

Il relativismo culturale ha una sua origine nella nascita della modernità e nelle scoperte copernicane che hanno rivoluzionato il modo di relazionarsi dell’uomo rispetto al resto del creato. L’elaborato processo di decostruzione demistificante di illusorie verità di fede assunte a dar valore all’esistenza, ha prima ridotto la coscienza dell’uomo a riconoscere e ad accettare solo i risultati di una conoscenza verificabile razionalmente. Poi ha costretto a testimoniare il totale annullamento di ogni senso, di ogni idealità e di ogni contenuto morale. Il mondo moderno partorisce una letteratura che non può fondarsi sul tragico né sull’esaltazione di alcuna forma di eroismo.

Luigi Pirandello è lo scrittore italiano che ha dato voce alla presa di coscienza di quest’annichilente smarrimento di coordinate esistenziali, misura di un mondo contemporaneo nel quale si determina la sconfitta delle certezze positivistiche e si afferma la perpetua crisi esistenziale della società degli uomini.

Alla figura letteraria di Pirandello si riconosce il merito di fornire una teorizzazione di questa consapevolezza.

Il proposito dell’uomo di fissare contenuti assoluti, validi sempre, che costituiscano il senso profondo della vita, è dettato dal bisogno di darsi una linea guida esistenziale, a livello soggettivo, e di individuare un tramite oggettivo attraverso il quale relazionarsi con gli altri all’interno del contesto sociale.

Lo smarrimento di ogni certezza e il riconoscimento della discutibilità di ogni affermazione, della quale si può sempre dubitare, comportano una mistificazione della conoscenza che si riduce a illusione.

L’uomo non conosce ma, piuttosto, acquisisce una percezione delle cose a livello sentimentale. Quello che si ritiene di conoscere è, in realtà, il risultato di un apprendimento soggettivo, filtrato attraverso le peculiarità educative, situazionali e la mentalità di ogni individuo.

L’annichilimento di ogni contenuto dell’esistenza porta a identificare la realtà con la pura forma. La vita si riduce cioè alle parvenze di senso che le vengono attribuite dalla società e dai vincoli civili, che la cristallizzano e ne fissano la spinta anarchica a soddisfare pulsioni vitali e istinti.

Gabriel Séailles e Alfred Binet sono due dei più importanti punti di riferimento di Pirandello. Binet, in particolare, si rivela importante perché contribuisce a chiarire i modi attraverso i quali si esercita l’azione di scardinamento degli elementi fondanti dell’identità soggettiva, cioè la personalità e la coscienza individuale del singolo.

L’uomo si riconosce, in sé, non retto da un’unica personalità ma molteplice, cangiante a seconda del momento. Egli capisce di essere sede di una compresenza caotica di caratteri e di lati diversi, capaci anche di rivelarsi sincronicamente. Lo sdoppiamento interiore che questa consapevolezza comporta, si configura poi irriducibile a unità a partire dal momento in cui si rivela la scoperta dello stadio esistenziale del subconscio, cioè di una condizione mentale intima, che custodisce verità celate alla coscienza e che determina una definitiva impossibilità di conoscersi davvero.

In margine a una vita siffatta, l’individuo riflette, si guarda vivere e togliendo immediatezza e spontaneità alla sua esistenza, estraniandosi da sé, riscopre un’autenticità che è tutta nell’atto stesso, fuori dagli incarichi della quotidianità, di osservare e di osservarsi.

La riflessione sulle cose e l’estraneazione da sé sono la cifra umana per riconquistarsi. La paralisi della vita viene assunta a condizione stessa della vera esistenza. Viene paradossalmente abnegata ogni spontaneità e ogni immediatezza allo scopo di riaffermare l’autenticità della coscienza.

Mattia Pascal, protagonista del Fu Mattia Pascal, primo romanzo in cui Pirandello tratteggia magistralmente la prospettiva straniata che assume l’esistenza, si ritrova ingabbiato nella condizione di uomo costretto a vivere senza identità. La rinuncia al suo stesso nome e alle condizioni formali che ne definivano un ruolo all’interno della società, e che sembrava rappresentare la potenziale liberazione da ogni vincolo esistenziale in virtù della conquista di una definitiva emancipazione vitale, si rivela l’unica possibilità di esistere nel pieno rispetto della propria autenticità.

I ruoli imposti dalla società, le maschere che il contesto sociale ci obbliga a indossare, sono la condizione stessa del riconoscimento di sé da parte degli altri.

La disarmante accettazione di questa verità caratterizza l’atto di salvezza coscienziale attraverso il quale l’individuo riesce a non subire l’imposizione estrinseca del ruolo o dei ruoli che il mondo esterno gli sovrappone. Si tratta del risultato mentale della presa di coscienza del sistema perverso in cui si risolve la vita.

L’uomo esce mentalmente dalle dinamiche quotidiane della vita per poter osservare un sistema esistenziale che, inglobandolo, lo annichilisce.

Il Novecento è un secolo in cui si affermano orientamenti di pensiero che dimostrano come si sia presa piena coscienza della precarietà esistenziale umana. Ne consegue l’assunzione dell’idea dell’impossibilità di una redenzione collettiva attraverso una coscienza generale in grado di modificare l’insieme falso di rapporti, di vincoli, di procedimenti umani che legano l’individuo agli altri. L’uomo ne risulta svilito ontologicamente.

Il mondo, che si è fatto moderno, decreta il fallimento di un bisogno intrinseco all’uomo, cioè quello di comunicare. La realtà, che si afferma a partire da un certo momento della storia, mostra l’uomo incapace di mettersi autenticamente in contatto con i suoi simili. La collettività umana si dimostra costruita tutta su aspetti che attengono alla dimensione estrinseca della vita, in cui la funzione svolta dai singoli è quella di attendere a un compito formale che include ognuno di loro all’interno di una categoria riconoscibile.

Il ruolo lavorativo, le convenzioni sociali che ne inquadrano la funzione svolta in relazione agli altri (amici, parenti, conoscenti o estranei) sono parvenze tutte che non corrispondono alla vera sostanza identitaria. Le leggi e i regolamenti morali secondo cui si ordina il mondo servono soltanto a fornirne un impianto strutturale che blocca gli impulsi soggettivi degli uomini. Un mondo in cui dominasse l’eterogeneità incontrollabile di queste pulsioni vitali sarebbe inevitabilmente dominato dal caos.

La civiltà moderna ha decretato l’annichilimento dell’umanità. La realtà sempre più permeata da tecnologie e da meccanismi ha reso anche l’uomo oggetto, strumento passivo di altre volontà. Con Pirandello si raggiunge l’apice, il momento estremo e più alto in cui si rivela, in letteratura, l’azione distruttiva del progresso.

L’apparente mancanza di alcuna prospettiva di ribaltamento di questo processo inarrestabile sembra però lasciare il posto a una rifondazione a partire dalla riconquistata certezza della ragione e della capacità di riflettere.

7 commenti su “DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “Pirandello e il relativismo culturale moderno: la ricerca di un tramite comunicativo, lo smarrimento esistenziale e l’affermazione di una nuova autenticità umana”

  1. Davide, si vede proprio che ami profondamente la letteratura italiana in genere e siciliana in particolare e ne hai ben donde.
    Hai una capacità di esegesi ed interpretazione profonda e non banale, personale ed appassionata che disvela il genio e l’uomo assieme nei suoi momenti creativi maggiori e ne sai trarre una attualità tale da rendere lo scrittore come scrivesse oggi e ci fosse sodale, uno di noi per sentire, ovviamente, ma moderno e geniale.
    Mi associo alla speranza di Giorgio di vedere una tua preziosa antologia della letteratura del ‘900,che già prenoterei, e dovrebbe essere letta nelle scuole. Complimenti e grazie per il tuo lavoro per tutti noi.

    1. Grazie Gianni, dico anche a te quello che ho appena detto a Giorgio. Il mio merito, se mai ne ho uno, è quello di essermi documentato bene. Ringrazio chi ha ben scritto della filosofia del Novecento prima di me e chi mi ha permesso di dare di Pirandello una lettura che dimostra semplicemente che mi sono reso conto di quanto sia vicino al nostro guardare all’uomo e al mondo di oggi. Il tuo augurio nei miei riguardi, come anche quello di Giorgio, lo faccio mio sognando un domani che, ahinoi, sia diverso dal nostro oggi. Sai, il mondo istituzionale mi ha pirandellianamente dato un ruolo che non corrisponde a ciò che vorrei essere. Proprio per niente. Ringrazio Magdi per questo spazio, prezioso proprio perché rappresenta una via per essere davvero noi stessi. Grazie davvero delle tue costanti letture, carissimo Gianni.

  2. Se Pirandello è, attraverso le sue opere, lo specchio di questa indubbia decadenza dei valori tradizionali , Davide è grande a ricordarcelo e renderlo tangibile nel nostro sito e nelle nostre coscienze. Prezioso il suo contributo ad una analisi lucida e altamente didascalica. Grazie Davide, vorrei una “Storia della letteratura italiana del 900” scritta da te con il medesimo spirito osservatore che tu mostri in questi preziosi inserti oppure vorrei tornare indietro nel tempo e iscrivermi alla tua scuola per seguire le tue lezioni . Complimenti sinceri.

    1. Decisamente troppo buono, Giorgio. Ti ringrazio sentitissimamente dei tuoi complimenti che mi gratificano come non riesce a farlo la mia attività quotidiana in ambito lavorativo, ti assicuro. Mi rendo conto, comunque, che un’analisi come quella che ho proposto qui non sarebbe facilmente proponibile a scuola. Intendo che l’impostazione molto filosofica che ne ho dato riuscirebbe pesante agli occhi di un giovane lettore. Sapevo di poter contare su lettori esperti come te. Esprimiamo il bisogno di non abbassare i toni, però. Questo sì. Lo abbiamo detto diverse volte: l’uomo, come ci mostra lo stesso Pirandello, è complesso. E il mondo non è semplice come invece vogliono mostrarcelo. Si tratta di un tentativo di educare anche questa mia scelta di misurarmi in forma difficile con una materia, quella filosofica e psicanalitica, centrale in Pirandello e nella cultura del Novecento, che è propria dell’uomo anche e soprattutto oggi, nel terzo millennio. Mi rendo conto che leggendo il mio pezzo, non si percepisca affatto Pirandello come un autore che ci fa anche sorridere. Pessimista quanto e più di Verga. La materia del suo narrare è davvero amara.

  3. Grazie Angela. Grande amarezza sì, ma sempre più forte consapevolezza che la via d’uscita c’è ed è solo una. È quella di cui parla Pirandello e di cui parlo io dichiarandola espressamente in conclusione al mio articolo. Ed è quella di cui parliamo tutti noi della Casa della Civilta oggi, nel 2023, a più di 100 anni dalla stesura di quel romanzo geniale che, come ben sottolinei tu, ci rispecchia ancora perfettamente.

  4. Davide, citare “Il fu Mattia Pascal” significa metterci davanti ad uno specchio dove è impossibile non vedere le maschere che rappresentano noi stessi. Mattia Pascal, poi Adriano Meis, si intrecciano nel personaggio più profondo e controverso, e su cui discutere, di tutta la letteratura. Possiamo riconoscerci in ogni parte del romanzo, nell’inettitudine, furbizia boomerang, stanchezza di vita imposta dalle circostanze , ma anche dall’educazione familiare, dall’istruzione ricevuta, dalla morale comune, che rappresentando Mattia, ci toccano personalmente. Lui, per motivi che, chi ha letto il romanzo, non stiamo ad elencare, cambia maschera, diventando Adriano Meis, ma possiamo cambiare il luogo (sempre però pesantemente condizionazionante), ma restiamo ciò che siamo, con tutti i limiti originari. La società non ci permette, in ogni caso, la libertà di essere noi stessi, quelli che siamo nel profondo, e che quasi certamente non conosciamo neppure noi stessi. Tornare alla prima maschera è ancora piu triste e deludente. Hai fatto una splendida analisi, che comunque lascia amarezza e impotenza.

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