STEFANIA CELENZA: “Riforma Cartabia gran finale, divorzio atto unico”

STEFANIA CELENZA: “Riforma Cartabia gran finale, divorzio atto unico”

Torno sulla Riforma Cartabia, in materia di diritto di famiglia, solo per segnalarne il vero obbiettivo istituzionale:
Favorire una pronta e rapida dissoluzione del vincolo matrimoniale.
Eppure il polveroso e antiquato art. 29 della Costituzione Italiana, ancora recita “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio“.
Fino al primo dopoguerra era chiara ed indiscussa la centralità della famiglia, in quanto considerata società naturale, a sua volta rappresentante il nucleo centrale ed originario della società stessa.
Abbiamo già visto come la famiglia regolamentata attraverso l’Istituto del Matrimonio abbia cominciato ad incrinarsi con la rivoluzione culturale del sessantotto e del femminismo. Le grandi forze ideologiche di sinistra hanno messo in atto un sistematico processo di disgregazione dell’istituto familiare, attraverso la
graduale decostruzione delle colonne portanti della famiglia.

Vediamo una breve panoramica del canovaccio ispiratore delle ideologie sessantottine, che porterà all’Atto Unico finale del Divorzio, della attuale Riforma Cartabia. L’esordio, come si sa, venne rappresentato dalla Legge n. 898/70, del 01.12.1970, sul Divorzio, addirittura confermata, nel 1974, da un referendum.
E’ da questo momento che il matrimonio cessa di essere una istituzione sociale.
In nome del diritto inalienabile di autoderminazione della donna e della sua libertà sessuale, venne approvata la Legge N.194/78, del 22.05.1978 sulla legalizzazione dell’ ABORTO. Metabolizzati adeguatamente, nel vecchio secolo, questi due capisaldi della rivoluzione familiare, facciamo un salto nel terzo millennio.
Il 14.08.2013, venne sancita la (apparentemente innocua, se non evolutiva) Legge n. 119/13 contro il FEMMINICIDIO, in verità funzionale al progetto di rieducazione del popolo italiano, ispirato al pensiero femminista, di criminalizzazione dell’uomo. Passiamo, poi, alla Legge n. 162/14, del 10.11.2014, sulla DEGIURISDIZIONALIZZAZIONE dei processi di separazione e divorzio, che ha introdotto la possibilità di ricorrere, per separazioni e divorzi, a convenzioni di negoziazione assistita da avvocati, ovvero direttamente presso gli uffici pubblici.
A seguire, la Legge n. 55/15, del 06.05.2015, sul “DIVORZIO BREVE”, che ha accorciato drasticamente (da tre anni, a sei mesi) il periodo che deve intercorrere obbligatoriamente tra il provvedimento di separazione e quello di divorzio.

E ancora, il 05 giugno 2016 è entrata in vigore la Legge n. 76/16 sulle UNIONI CIVILI (cosidetta Cirinnà), introducendo la unione civile omosessuale. Per un soffio non è stato approvato in Senato il DDL Zan, ANTI OMOFOBIA/TRANSFOBIA, che intendeva punire, con la reclusione, atti di discriminazione fondati sull’identità di genere, sull’omofobia o sulla transfobia.
Tutto questo ha generato, come si sa, un aumento esponenziale di domande di separazione e di divorzio, l’abbandono sistematico dell’accesso al matrimonio, la valorizzazione delle unioni omosessuali ed il conseguente crollo delle nascite.
Il Matrimonio è un vecchio ed insignificante archetipo, fuori tempo.
Oggi il colpo finale alla famiglia lo ha inferto Marta Cartabia.
Naturalmente la narrazione che accompagna la sua riforma è positiva e celebrativa. In realtà, lo schema del decreto che attua la legge delega del 26 novembre 2021, n. 206 (Riforma Cartabia del Processo) è semplicemente questo: Rendere più efficiente il processo civile. Il cruccio principale è stato quello di ridurre il numero dei procedimenti pendenti, di garantire economia processuale, di risparmiare tempo ed energie giudiziarie.
D’altronde, lo spirito acceleratorio delle novità introdotte dalla riforma è in perfetta sintonia con l’onnipresente principio di economia processuale e di ragionevole durata del processo.
Insomma, la macchina della Giustizia, totalmente ingolfata da un carico non più gestibile di contenzioso, di cui quello familiare riveste la parte più importante, non funziona più. In particolare, in materia di separazioni e divorzi, la domanda supera la capacità del sistema giudiziario di smaltirla, talchè c’è bisogno di sfoltire, di eliminare, di delegare. Così si fanno passare per nuove opportunità quelle che sono
meri intenti deflattivi del carico giudiziario.
Vediamo nel dettaglio. Taccio degli aspetti tecnico processuali della riforma, per evidenziare solo le innovazioni sostanziali di merito della nuova trattazione della crisi matrimoniale. Ecco la più eclatante.


Separazione e Divorzio con un unico atto.
La legge n. 206/2021, tra le decantate novità per le persone e la famiglia, prevede la possibilità, con un unico atto introduttivo di chiedere separazione e divorzio contemporaneamente. Fantastico: un solo procedimento, con unico rito, davanti a un solo giudice. Molto pratico e sbrigativo, non c’è che dire. Sono soddisfatte le indubbie esigenze di efficienza, in termini di durata del processo, consentendo
al giudice una migliore organizzazione del carico di lavoro e agli avvocati di evitare impegni concomitanti.
Un gran risparmio di tempo e di energie per tutti.
Un’altra innovazione significativa è la sostanziale eliminazione della Udienza Presidenziale e del Tentativo Obbligatorio di Conciliazione dei coniugi, che avveniva in quella sede.
Oggi vi è la possibilità per le parti di avvalersi della facoltà di sostituire quella che era l’Udienza Presidenziale, con il deposito di note scritte, con le quali dichiarare di non volersi riconciliare…
Permettere ai separandi (e contemporaneamente, come visto, divorziandi) di rilasciare, anticipatamente, la dichiarazione di non volersi conciliare significa rendere impossibile “a monte” che l’adempimento conciliativo del Presidente abbia luogo. L’Udienza Presidenziale della tradizione processuale potrà così ridursi ad un mero scambio, per via telematica, di scritti cartacei, incorporei, senza che mai più le persone possano guardarsi negli occhi.

Ma questo, vivaddio, non è altro che l’innovazione verso forme processuali snelle, semplificate e celeri, non è altro che la risposta alle nuove esigenze sociali di raggiungere il più rapidamente possibile lo scioglimento del vincolo matrimoniale. Magari anche in modo indolore. La riforma, infatti, provvede anche a questo.
Si è valorizzato molto ed esteso il campo di applicazione dell’istituto della Mediazione Familire. Forse è questa la cura del dolore?
Su ciò solo due parole.
MEDIAZIONE FAMILIARE.
E’ bene sfatare il mito della Mediazione Familiare, il cui titolo evocherebbe auspicati scenari di composizione o di sanazione del conflitto coniugale, da parte di professionisti scientificamente preparati, laddove questo, purtroppo, non è. La Mediazione Familiare interviene esclusivamente dopo che la scelta separativa sia stata già condivisa. Essa si inserisce solo all’interno delle difficoltà comunicative dei coniugi, per la gestione delle condizioni della separazione, con particolare riguardo all’assistenza e al mantenimento dei figli non autosufficienti. Nulla quaestio, dunque, sulla decisione di porre fine al legame coniugale, la Mediazione Familiare aiuta soltanto i separandi a trovare un accordo migliore. Se proprio emergesse una incertezza decisionale sulla stessa separazione, allora il Mediatore Familiare deve dichiararsi incompetente ed inviare la coppia al diverso e ben distinto servizio di Terapia di coppia (non contemplato dalla riforma). Infatti, con la riforma, alla Mediazione Familiare è demandato il compito di aiutare i coniugi a formulare un PIANO GENITORIALE, da sottoporre già pronto al Giudice, onde evitargli le lungaggini della istruttoria processuale. Secondo la mia modestissima esperienza professionale, giudico, in questo senso, la Mediazione Familiare un servizio completamente inutile, perché, trattando i meri aspetti tecnico economici della separazione, può e deve essere esercitato dagli stessi Avvocati, che ne conoscono anche i risvolti giuridici. Diversa è la Terapia di Coppia, secondo me di importanza prioritaria, perché mira ad aiutare i coniugi a ricercare i margini della riconciliazione (che vi è sempre, potenzialmente, a mio avviso, in ogni coppia). Ma questo servizio non interessa il legislatore ed è rimesso alla spontanea iniziativa degli interessati.
In conclusione, non sorprende che anche questo ultimo riformatore non si sia neppure lontanamente curato di arginare il fenomeno dell’esorbitante richieste di separazioni, di professare la salvaguardia dell’unione matrimoniale, di aiutare le coppie a restare unite.
Ormai, nell’ottica della massima efficienza e della autodeterminazione dei cittadini, l’unico obbiettivo è quello di liberare il carico giudiziario e di svuotare i tribunali dalle noiose e devastanti contese familiari.
Separazione e divorzio, in un atto unico. Così si fa prima.
Firenze, 24 marzo 2023

Stefania Celenza

2 commenti su “STEFANIA CELENZA: “Riforma Cartabia gran finale, divorzio atto unico”

  1. Il punto è proprio questo “non ritengo che marito e moglie debbano continuare a condividere la loro vita se viene meno l’amore o, peggio ancora, se viene meno il reciproco rispetto”. L’errore sta all’inizio. Ovvero credere che l’amore ed il rispetto siano qualcosa che prima c’è, ma che poi può anche venir meno. La solennità originaria dell’istituto del matrimonio e la sacralità del sacramento, al contrario, dovrebbero presupporre un impegno assoluto, senza scadenza e senza condizioni. L’amore e il rispetto ci sono sempre quando tutto va bene, le cose si complicano alle prime difficoltà ed è allora che deve entrare in gioco l’impegno, la fatica, il sacrificio, il perdono, attraverso la comprensione reciproca, l’ascolto e lo sforzo di sanare le divergenze. Secondo me, è solo questo il vero amore e il vero rispetto dell’altro. Quelle a cui alludi tu (scusa Magdi, se mi permetto), sono coppie fra le quali, probabilmente, l’amore ed il rispetto (veri) non ci sono mai stati.

  2. Carissima Stefania, scrivo con la sofferenza e l’autocritica di chi è divorziato due volte. Pur restando fermamente convinto dell’assoluta centralità della famiglia naturale come fulcro della costruzione sociale e della rigenerazione della vita.
    Non ritengo che marito e moglie debbano continuare a condividere la loro vita se viene meno l’amore o, peggio ancora, se viene meno il reciproco rispetto. Anche la Chiesa cattolica contempla l’istituto dell’annullamento del matrimonio che, dal punto di vista contenutistico, è ancor più drastico del divorzio.
    Prendo atto che gran parte delle famiglie sono in crisi e che l’insieme della società sta collassando.
    In un divorzio ciascuno dei coniugi ha delle responsabilità. Ma ritengo che il peso maggiore nello scollamento della famiglia sia la perdita della cultura e della funzione della maternità. Quasi tutte le donne antepongono la carriera professionale alla funzione di madre. Di fatto ragionano da potenziali divorziate: “Se oggi mio marito mi dovesse lasciare, chi si occuperà di me? E poi come potrei sopravvivere senza una pensione minimamente dignitosa?”.
    La conseguenza più grave è il tracollo demografico. Gran parte delle donne, anteponendo la carriera professionale alla maternità, mette al mondo il primo figlio a 34 anni e, data la legge di natura, spesso si fermano lì. La situazione peggiora sempre di più. Le giovani coppie preferiscono avere il cagnolino che non il bambino.
    L’accelerazione dei tempi del divorzio, unificando la separazione e il divorzio, si contestualizza nel collasso della nostra società e nella decadenza della nostra civiltà. Non è un mero fattore tecnico-giuridico. Va ricostruito dalle fondamenta un nuovo modello di civiltà e di società.
    Ecco perché in seno alla Casa della Civiltà siamo concentrati sull’elaborazione della proposta di un nuovo modello di vita qualitativamente migliore. Ci vorrà un miracolo. Dobbiamo mobilitarci e credere che il miracolo si realizzerà.
    Magdi Cristiano Allam

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