STEFANIA CELENZA: “L’ultima forma di libertà: morire”

Sembra proprio che il nostro sistema sociale, culturale ed ideologico intenda
eliminare ogni forma di dolore. Anche a costo della vita.
Se una gravidanza non è desiderata e crea disagio, è a disposizione l’aborto.
Se una persona è malata, invalida, anziana, incosciente o entra in sofferenza, è a
disposizione l’eutanasia. A tutti i costi dobbiamo allontanare il dolore.
Del resto, ci parlano con enfasi solo di diritti, solo di libertà di scelta, solo di
autodeterminazione. E’ scomparsa la parola dovere, la parola sacrificio e la parola
impegno. Per questo, restiamo sgomenti difronte al dolore. Il dolore non è previsto,
non è contemplato nel nuovo mondo della libertà assoluta. Ecco che, allora, davanti

ad una difficoltà, si ricorre sic et simpliciter alla eliminazione della causa che la
determina. Il vecchio demente, il disabile grave ed il malato terminale vanno tolti di
mezzo. La demenza, l’invaldità e la malattia sono così risolti alla radice.
Non vi è dubbio, la nostra è la cultura della morte.
La morte di qualcuno per alleggerire la vita di qualcun altro. O così almeno sembra.
Oggi si parla tanto di Eutanasia, come una novella forma di diritto e perfino di libertà.
Anche in questo caso sarebbe saggio capire e saperne di più, senza fermarsi allo
slogan propagandistico.
L’effige ufficiale della (tradotta dal greco) “bella morte” è la seguente.
In presenza di 1) un dolore incontrollabile ed insopportabile, ovvero di 2) una
diagnosi di aspettativa di vita brevissima, l’eutanasia garantisce 3) un trapasso dolce,
rapido ed indolore.
4) Ciò ti renderebbe “giustamente” libero di autodeterminare il tuo fine vita.
5) In nome di siffatta forma di libertà, vi sarebbe una diffusa approvazione generale
di questa pratica, accettata di buon grado dalla maggioranza della popolazione.
Ebbene, sarebbe sufficiente solo un piccolo approfondimento su ognuna di queste
asserzioni, per cambiare totalmente idea sulla bontà della eutanasia.
1) Il dolore incontrollabile non esiste più, in forza dei numerosi tipi di Medicina
Palliativa che oggi è in grado di alleviare del tutto il dolore di una malattia terminale;
2) Sono innumerevoli i casi di diagnosi di aspettativa di vita errate, in quanto la
previsione medica del tempo di sopravvivenza non può basarsi su una conoscenza
esatta. Le tempistiche di decesso di pazienti in condizioni terminali, sono le più varie

e non scientificamente calcolabili. Lo dimostano le stesse statistiche di soggetti che,
avendo ricevuto diagnosi infauste di pochi giorni o settimane, avevano richiesto
l’eutanasia (nei paesi in cui è lecita), ma che, a causa di meri problemi tecnici della
struttura preposta, è stata loro eseguita, effettivamente, dopo anni, ai quali,
evidentemente … erano sopravvissuti (K.Hutchinson, Z. Smithingell. 2018 Death
with Dignity Act Report, July 2019, ibid, p.12).
3) Neppure risponde al vero che il trapasso sia dolce, rapido ed indolore.
Dai report annuali degli USA emerge inconfutabilmente l’insorgenza di diverse
complicazioni, quali la difficoltà ad ingerire il liquido letale, nausea, vomito, rantoli,
spasmi, convulsioni, attacchi epilettici, risvegli dal coma e respiro agonico. Come
tutti i farmaci, anche i sieri impiegati in eutanasia possono fallire. Non è raro, inoltre,
che lo stato confusionale indotto da tali farmaci provochi panico e sentimenti di
terrore. Ciò è stato potuto dimostrare perché le sostanze utilizzate per i suicidi
assistiti sono analoghe a quelle delle esecuzioni capitali. Poichè su queste ultime (che
avvengono sempre alla presenza di testimoni) si eseguono autopsie (a scopo di studio,
fungendo il condannato da cavia sulla efficacia di tali prodotti farmaceutici), si sono
rinvenute addirittura le prove di una morte straziante (Autopsies Reveal Troubling
Effects of Lethal Injection. 21.09.2020, https://text.npr.org/793177589).
4) Un’altra illusione truffaldina è l’idea della libera autodeterminazione del proprio
fine vita. Nessuno, proprio nessuno può consapevolmente sapere a priori ed in
anticipo cosa e come si debba sentire, in condizioni di gravità fisica. E’ possibile,
certo, che, trovandosi in stato di salute, si possa astrattamente prevedere di scegliere

di morire, piuttosto che soffrire, ma non è dato conoscere il disperato attaccamento
alla vita che sorprendentemente può insorgere, anche in condizioni estreme. La
volontà umana è mutevole e molti sono i testimoni che raccontano di come, essendo
stati favorevoli alla eutanasia, quando erano in buona salute, una volta trovatisi in
stato di minima coscienza, desiderassero ardentemente vivere (Gian Luigi Gigli,
Sedazione: basta con gli equivoci, Avvenire, 2709. 2012). Quindi di quale
autoderminazione si tratta?
5) L’altra clamorosa falsità è che l’eutanasia sia ormai una pratica approvata dalla
maggioranza della popolazione. Anche qui sono i dati statistici ufficiali a smentire
l’assunto. Nel mondo, solo 7, sui 194 Stati Sovrani riconosciuti, hanno legalizzato
l’eutanasia ed il suicidio assisito, in Europa solo 5, su 47, negli USA solo 10 Stati, su
51. La mancata legalizzazione, a livello mondiale, comprova la di gran lunga
maggioritaria avversione etico-scientifica al fenomeno.
Ogni teorema che, in qualche modo, giustifichi la morte è destinato a sgretolarsi.
Se l’eutanasia fosse universalmente legalizzata, sulla giustificazione della autonomia
personale e della eliminazione del dolore, il passaggio logico successivo darebbe,
giocoforza, il via libera ad ogni forma di uccisione, a chiunque ne faccia richiesta, per
qualsiasi motivo, per se’ e per altri.
Ci stanno spingendo a superare la linea rossa secondo la quale non è mai lecito
uccidere. Qualora ci riuscissero non sarà più possibile fermare la deriva che ne
conseguirebbe. Per questo la battaglia da compiere è giusta, doverosa e necessaria.

Firenze, 25.03.2023

Stefania Celenza

2 commenti su “STEFANIA CELENZA: “L’ultima forma di libertà: morire”

  1. Condivido parola per parola le tue conclusioni Stefania.
    Quando penso al dolore mi torna in mente Papa Giovanni Paolo II, che mai, nemmeno per un momento ha mai avuto espressioni di rifiuto della vita.
    Oltretutto è bene ricordare che per un cristiano la vita è un dono di Dio e nessuno può toglierla, neanche a se stesso.

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