Nel 1884, a Torino, presso il teatro Carignano, viene rappresentata, per la prima volta, Cavalleria rusticana, dramma tratto dall’omonima novella verghiana presente nella raccolta Vita dei campi. È un evento che riscuote un enorme successo. Il pubblico borghese settentrionale tributa al dramma un consenso straordinario, che sarà amplificato ulteriormente, poi, dall’opera lirica omonima musicata da Pietro Mascagni su libretto, non autorizzato da Verga, di Targioni Tozzetti.
Irresistibile la seduzione della materia rappresentata, che attira folle di spettatori ai teatri per le numerosissime repliche che fanno seguito alla prima di Torino.
Cavalleria rusticana interessa per motivi che non riflettono l’opportuna chiave di lettura da impiegare per decodificare l’opera. L’alta società benpensante del tempo è spinta al teatro soprattutto dall’incontro “esotico” con un mondo siciliano lontano che, in Cavalleria rusticana, pare cristallizzato nel dramma del delitto d’amore attorno a cui si consuma la vicenda.
Il fatto, cioè, che Verga ritragga scene di vita quotidiana e che lo faccia senza edulcorare una storia proposta nell’immediatezza cruda della sua “primitività”, è il principale elemento di richiamo nei confronti del pubblico. Non abituati alla prorompente sicilianità del dramma rappresentato, gli spettatori escono in lacrime dalle sale, commossi.
Il proposito di Verga, però, non era affatto quello di commuovere. Non era cioè attraverso le emozioni che lo scrittore intendeva porgere il mondo umile dei siciliani allo sguardo distratto della società dabbene del nuovo stato nazionale.
Il successo teatrale di Cavalleria rusticana è determinato dall’apparente rilievo maggiore che assume il dramma borghese rappresentato, con la centralità prevalente del tema dell’adulterio, rispetto alle connotazioni economiche secondo le quali nella novella omonima, scritta qualche anno prima, si erano caratterizzati i temi dell’opera.
In realtà, rileggendo con attenzione la trama del dramma teatrale, è possibile evidenziare una forte presenza dei risvolti economici della vicenda che risultano nondimeno rilevanti anche qui, rispetto all’originaria versione novellistica dell’opera.
Nel paese di Vizzini, nel giorno di Pasqua, Santuzza è alla ricerca del fidanzato Turiddu e si reca, perciò, da Gna’ Nunzia, sua madre, proprietaria di un’osteria. Turiddu però non c’è. Egli ha mentito alla madre, così come a Santuzza, alla quale ha detto di doversi mettere in viaggio per acquistare a Francofonte del vino per l’osteria della madre.
Il giorno prima, invece, egli ha trascorso la notte a casa di Lola, la donna che frequentava prima di partir soldato e che, al suo ritorno dal servizio di leva, ha trovato sposata ad Alfio, ricco carrettiere.
Alfio, dal canto suo, è sempre impegnato col lavoro ed è quindi costretto a trascurare la moglie, cosa della quale comunque non si rammarica affatto. Egli incontra Lola soltanto a Pasqua e a Natale ma, ricco com’è, non le fa mancare nulla e la vizia, lasciando ch’ella vada in giro agghindata d’oro e di gioielli vari.
Lola, al ritorno di Turiddu, non l’ha dimenticato e non gli è indifferente. Turiddu è anch’egli ancora interessato a Lola e, per farla ingelosire, ha cominciato a frequentare Santuzza riuscendo, così, a riconquistare l’ex innamorata, diventandone l’amante.
Lola, a differenza di Santuzza, non ha scrupoli di coscienza e si reca in giro con la faccia tosta di chi, pur consapevole dell’adulterio di cui è colpevole, continua a ostentare agli occhi degli altri l’orgoglio del suo nuovo status sociale, ad onta di una oramai tradita fedeltà al ricco marito.
Turiddu, infine, non si sottrarrà al suo destino. Accetterà di battersi con Alfio, al quale, anzi, abbracciandolo, darà un morso all’orecchio in segno di sfida. Dunque rimarrà almeno la consapevolezza di Turiddu, in coscienza, di essere nel torto e la volontà di salvare la dignità di Santuzza le cui sorti, prima di andare al duello, egli affiderà alla madre, raccomandandogliela.
La scena finale non corrisponderà con la sfida mortale tra i due contendenti, che non verrà rappresentata, ma sarà occupata dal grido disperato di una popolana che annuncerà la morte del giovane.
Come si vede, la trama dell’opera nella sua versione teatrale concede, sì, qualcosa al dramma umano dei sentimenti repressi e incontrollabili, ma rispetta la componente sociologica e naturalistica dell’originaria analisi verghiana. Rispetto ad essa, rimangono soppesati adeguatamente gli aspetti che inseriscono la vicenda all’interno di un quadro le cui coordinate economiche e diatopiche sono ben definite.
Il pubblico si sente attratto da un ambiente, quello del paesino siciliano, fuori da uno spazio e da un tempo noti e dal fascino di una vicenda allontanata nell’ottica mitica di un presente rispetto al quale non ci si può identificare. Ma l’operazione del Verga, in verità, sembra sottendere l’intenzione di oltrepassare i confini del semplice ritratto d’ambiente verista.
Non è cioè il comparto fotografico a definire la profondità dell’opera. La chiave interpretativa da impiegare è quella che consente di accordare l’atto di mimesi letteraria del contesto siciliano con una rivoluzionaria riscrittura in chiave moderna della tragedia antica. Cavalleria rusticana presenta infatti la caratteristica unità di luogo e d’azione propria della tragedia antica, dandole, però, un respiro decisamente più ampio.
L’atto unico in cui il dramma umano si presenta “ex abrupto” e si esaurisce, consente di sviluppare il contenuto in poche battute, intensificando l’esplosività di una condizione umana violentata e fortemente repressa.
È messa in risalto, di concerto, l’arretratezza culturale di un ambiente, quello siciliano, in cui la dimensione del privato e quella del pubblico coincidono nella ristrettezza spaziale di una piazzetta di paese, nella quale i contenuti intimi della vita familiare si confondono con la dimensione esterna del contesto sociale.
Il piccolo centro urbano di provincia, in cui tutti si conoscono, rappresenta un ambiente nel quale è ravvisabile in maniera palese il dramma umano dello sfaldamento dei rapporti interpersonali, colto in misura condensata, e di cui si denuncia, in particolare, la decadenza della stabilità familiare e il deteriorarsi dei sentimenti.
Tutto il tessuto sociale risulta disgregato: non sono capaci di amalgamarlo i connettivi relazionali; i vincoli solidali, di conseguenza, si mostrano lacerati e la comunicazione tra i personaggi ne risulta compromessa.
I dialoghi sono brevi e involuti. Le battute non alimentano conversazioni argomentate. Gli incontri tra protagonisti e personaggi secondari sono occasionali e vuoti, ridotti a scambi di formalità e convenzioni.
La tragicità del contenuto non è nell’omicidio d’amore, in sé; ma tragico è il quadro d’insieme dei rapporti umani, dei quali si presenta la degenerazione conclusiva. Rispetto al definitivo annichilimento di ogni umanità è stata determinante l’azione di alterazione della naturalezza dei sentimenti operata dagli interessi economici e dalle prospettive di arricchimento personale.
Colpisce, in particolare, la spregiudicatezza del personaggio di Lola, perfetta incarnazione della donna calcolatrice, consapevole del suo ascendente su Turiddu, che tiene in pugno, e forte della stabilità economica consentitale dal marito.
Alfio, dal canto suo, difficilmente potrà mai abbandonare la moglie (quasi come se la donna se lo sentisse che il marito una consapevolezza di fondo sulla non fedeltà della moglie, magari, l’ha sempre avuta e, tutto sommato, l’ha anche accettata di buon grado).
Il dramma teatrale porta la decostruzione della società a un compimento più pieno. La differenza definitiva tra la novella e il dramma di Cavalleria rusticana consiste in ciò che Romano Luperini, prima, e Luisa Mirone, poi, hanno indicato come il definitivo incrinarsi «dell’ultima difesa che l’uomo abbia nei rapporti sociali e nelle avversità della natura […] in un contesto sociale dove dominano l’egoismo, la legge dell’interesse economico, la prepotenza» (Cfr. Luisa Mirone Perché leggere Cavalleria rusticana di Giovanni Verga, 26 novembre 2021, in laletteraturaenoi.it, rivista online diretta da R. Luperini).
Nella versione teatrale, cioè, si perde quella premura dei personaggi verso la salvaguardia del proprio nucleo familiare, che ha rappresentato l’ultimo baluardo di difesa di sé nei confronti della legge del nuovo mondo, presente nel capolavoro romanzesco di Verga e ravvisabile ancora nella versione novellistica di Cavalleria rusticana.
Come già notato, Alfio, soddisfatto di sé, si limita, oramai, ad ottemperare solo agli obblighi economici nei confronti di Lola; Turiddu, dal canto suo, non si mostra preoccupato per il possibile dolore che causerà alla madre nell’ipotesi che il figlio muoia. Egli, anzi, mente spudoratamente alla Gna’ Nunzia e anche a Santuzza, nei cui confronti la relazione sentimentale è falsa e compromessa sin dall’inizio e nei cui riguardi solo alla fine rivolge un distratto pensiero di rammarico.
Significativa, ma d’altronde prevedibile, la scelta, in conclusione, di non rappresentare la scena del duello tra i due personaggi maschili ma, anzi, di far calar il tendone sulla confusione determinata dall’ascolto delle parole, fuori campo, che annunciano la morte di Turiddu.
Il caos e il disordine con i quali si conclude la vicenda rappresentano emblematicamente la condizione cui è andata incontro la società e alla quale gli ormai sfaldati rapporti umani non riescono a porre argine. Solo l’intervento coatto di una forza esterna potrà ripristinare l’ordine, ad onta del disinteresse e della trascuratezza dei personaggi, ognuno proteso individualmente verso la rincorsa affannosa al proprio tornaconto.
Bellissima e acuta interpretazione critica di una delle opere di Verga, il quale nelle sue opere maggiori ha scritto diverse varianti, come hai fatto notare, del disfacimento di una società arcaica.
Grazie dell’apprezzamento, Gualdo, e della tua costante lettura. Verga è davvero emblematico dello sfaldamento che ancora oggi continuiamo a vivere. Acutissima la sua visione del mondo e assolutamente capace di guardare lontano, preannunciando un futuro imminente nel quale ci troviamo e continueremo a vivere, se va tutto avanti così. Ha provato a dircelo in tutte le maniere possibili quello che stava succedendo e quello che è successo poi. Rileggendo i suoi capolavori, e anche quelli di altri grandi letterati moderni, sembra quasi si chiarisca tutto. È incredibile
Bellissima e acuta interpretazione critica di una delle opere di Verga, il quale nelle sue opere maggiori ha scritto diverse varianti, come ha fatto notare, del disfacimento di una società arcaica.
Ogni volta che leggo le tue bellissime lezioni, caro Davide, mi ritrovo a riflettere su come i temi trattati dagli scrittori che ci spieghi siano più che mai attuali.
E mi spiego la ragione per la quale, per distruggere la nostra civiltà, son partiti dalla scuola: la maggior parte dei docenti mica le spiegano così le opere dei grandi scrittori italiani. Non vogliono che i ragazzi crescano in sapienza. Preferiscono le “gretinate”, così i ragazzi si berranno pure che mangiando grilli si salverà il pianeta.
Esattamente Andreina, bravissima! La letteratura contiene già un sacco di risposte. Dobbiamo continuare a leggerla per forza con la consapevolezza che stiamo acquisendo.
Grazie alla magistrale rappresentazione critica del nostro Davide Ficarra, possiamo apprezzare una delle opere più significative del verismo di Giovanni Verga traslata in una celeberrima opera lirica di Pietro Mascagni. L’attenzione per la condizione economica, calata in una umanità a due facce, dove gli istinti della passione amorosa prevalgono sulle regole perbeniste della società, creano un quadro letterario e artistico di indubbio interesse. Spesso i capolavori sono lo specchio della conflittualità tra la natura e la cultura, tra ciò che siamo e ciò che ci viene richiesto di essere. Spesso il pubblico, cioè noi, siamo schierati dalla parte della natura, della spontaneità della passione amorosa. Parteggiamo per i protagonisti e, talvolta, per le vittime della passione amorosa. Ma sappiamo che la vita prosegue nel fragile, ma necessario equilibrio, tra l’io e il noi, tra il piacere e il dovere, perché entrambe le dimensioni ci appartengono, l’una non potrebbe perpetuarsi senza l’altra. Invito tutti a leggere questo ennesimo pregevole contributo di Davide Ficarra alla nostra crescita culturale.
E alla tua disamina aggiungo che in un quadro siffatto, quella che ne esce fuori sconfitta è, infine, proprio l’umanità, annichilita dal potere decostruttivo dell’economia moderna, che ne sfalda i rapporti sociali e ne svilisce i sentimenti. Finanche la famiglia, che rappresenterebbe un argine alla fiumana del progresso, nel dramma “Cavalleria rusticana” è anch’essa perdente, non salvaguardata dai personaggi, piegati definitivamente dalle leggi obbliganti della contemporaneità. Ritengo di grande insegnamento per noi il significato di quest’opera di Verga. Grazie infinitamente del tuo apprezzamento, Magdi.