DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “Tozzi, Svevo, Pirandello: la figura dell’impiegato nella narrativa primonovecentesca”

È possibile individuare delle caratteristiche comuni in diverse opere che si collocano, cronologicamente, tra l’inizio del XX secolo e gli anni Trenta.

Il personaggio dell’impiegato moderno si presenta come una tipologia umana in cui si evidenziano molti dei cambiamenti antropologici ed epistemologici introdotti nella realtà sociale dall’industrializzazione.

Leopoldo Gradi, protagonista di Ricordi di un giovane impiegato, breve romanzo di ispirazione autobiografica di Federico Tozzi, è un ventenne ambizioso che, a malincuore, è costretto ad allontanarsi da Firenze, sua città natale, per recarsi a Pontedera, comune della provincia di Pisa, dove ha ottenuto un piccolo incarico presso le Ferrovie dello Stato. La realtà con la quale entra in contatto gli appare immediatamente ostile. Nelle brevi note che quotidianamente Leopoldo appunta sul suo diario, si esplicitano le impressioni del protagonista sortite dal suo inserimento nell’ambiente lavorativo, fortemente inospitale e umanamente tutt’altro che accogliente.

La sera del suo arrivo a Pontedera, dove deve prendere servizio, Leopoldo si reca a cena in una trattoria. Nei confronti della proprietaria il protagonista si mostra cordiale e riconoscente; lei, invece, si rivolge a lui con tono scorbutico e sospettoso. Lo sdegno della donna nei confronti di Leopoldo si spiega, apparentemente, col fatto che il giovane preferisce ordinare una bistecca, piuttosto che una minestra (come la proprietaria, invece, gli aveva consigliato di fare). In realtà ciò che la donna non può tollerare è proprio l’atteggiamento del mite Leopoldo, che risulta troppo gentile e di buone maniere, inopportuno se paragonato al modo in cui un uomo si dovrebbe presentare al cospetto di un “sottoposto” o di un cameriere.

Il protagonista si rivela un inetto. La sua incapacità si spiega col suo atteggiamento di ingenuità che risulta incoerente rispetto al contesto sociale, dominato da violenza e sopraffazione.

A conferma del clima di fastidio e di insofferenza che si crea attorno a lui, il giorno successivo al suo arrivo Leopoldo Gradi, non appena entrato in ufficio, viene aspramente rimproverato dal gestore e deriso dai colleghi per non essersi presentato, la sera prima, alla cena inaugurale con la squadra di impiegati.

Troppo buono appare il ragazzo agli occhi dei colleghi, avvezzi invece a una durezza di modi e a una fermezza di atteggiamenti da uomini vissuti e virili. La giovinezza, tipica dei personaggi di Tozzi, si rivela una malattia esistenziale permanente, non una condizione anagrafica provvisoria. È proprio nella mancanza di risolutezza e nell’incapacità di gestire adeguatamente le relazioni interpersonali in un contesto ambientale nuovo e alterato, che si evidenzia il limite che cristallizza il personaggio dell’impiegato moderno in una condizione di inevitabile sconfitta.

Alfonso Nitti, protagonista del romanzo Una vita di Italo Svevo, è anch’egli un personaggio in grossa difficoltà per la sua incapacità di relazionarsi positivamente nei confronti degli altri. Ciò che caratterizza il protagonista è il suo insuccesso nel tentativo di integrarsi nel contesto sociale, per via di un carattere introverso e di una forte tendenza all’introspezione personale e soggettiva.

Alfonso è un giovane colto e ambizioso, che si trasferisce a Trieste per lavorare in banca, nonostante le sue velleità artistiche da vero sognatore e anima nobile. Egli vagheggia la spontaneità e la genuinità della campagna e dei rapporti umani sinceri, piuttosto che la fredda vita della città ed ha un rapporto molto forte con la madre, unica figura familiare alla quale è legato.

Altro elemento di novità, in questi testi narrativi dedicati al mondo impiegatizio moderno, è lo scardinamento degli equilibri all’interno della famiglia e nelle relazioni con i cari.

La dipendenza che Alfonso ha nei confronti della figura materna non gli consente di avere, nella vita, piena autonomia decisionale. Alla fine, il rapporto con la madre si rivela fatale nello sviluppo della vicenda. Il condizionamento esercitato da questo vincolo sul figlio gli impedisce, infatti, di vivere in maniera libera la sua relazione amorosa con Annetta Maller, figlia del banchiere per il quale lavora.

Il protagonista è un personaggio dalla personalità complessa e contraddittoria, però. Se, da una parte, il suo sentimento nei confronti di Annetta sembra essere sincero, dall’altra è da sottolineare, però, l’influenza che le sue ambizioni di inserimento e di affermazione sociale hanno sul suo comportamento.

Uomo dalla formazione umanistica e letteraria, Alfonso cerca anche il modo di emergere socialmente valorizzando le sue qualità e i suoi pregi. È forse questa incapacità di fondo di accordare una sostanziale purezza d’animo col bisogno di affermazione sociale, l’errore più grosso imputabile a lui e a tutti i personaggi che condividono questa condizione di impiegati e di lavoratori inseriti nella nuova società moderna.

Il caso di Tu ridi, novella di Pirandello, è invece esemplare per un altro verso. Anselmo, il protagonista, sogna tutte le notti la scena grottesca in cui il suo capoufficio, il cavalier Ridotti, cerca di colpire sul sedere con una lunga mazza, «[cacciando] la punta del suo crudele bastone nel deretano», Torella, un impiegato zoppo che, avendo difficoltà a camminare, è vittima del suo principale, il quale cerca appositamente di farlo cadere per terra.

Il sogno ricorrente del protagonista svela il senso di incolmabile disparità sociale che si rileva all’interno del sistema dei ruoli lavorativi, decretando l’inarrivabile superiorità del capo, ostile nei riguardi dei suoi subalterni.

Come nel caso di Alfonso Nitti, il dramma del pirandelliano Anselmo si riversa, però, nell’ambito del contesto familiare. Egli è vittima delle accuse rivoltegli dalla moglie la quale, ogni notte, lo sente ridere nel sonno. Accecata dalla sua gelosia, la donna si indispettisce e sfoga su di lui le proprie angosce inveendogli contro dopo averlo svegliato.

La vita di Anselmo, peraltro, è triste e difficile. Morto l’unico figlio della coppia, a sua volta padre di cinque bambine rimaste orfane e lasciate al nonno dalla madre, scappata via con un altro, Anselmo si prende cura di loro, e il peso di questa nuova responsabilità ricade soprattutto sul bilancio delle spese a carico della famiglia. Gli affetti presentano spesso un corrispettivo valore economico che ne qualifica in senso materiale la misurazione.

Significativo è il carattere di circolarità secondo cui si relazionano, nei destini di questi impiegati, la sfera privata e individuale e la sfera professionale. Gli eventi che si accordano all’una e all’altra di queste due dimensioni esistenziali hanno un rapporto di stretta concatenazione consequenziale che le rende reciprocamente determinanti.

Il fallimento dei personaggi si rivela, quindi, completo e irreversibile: l’impiego professionale è una prigione e non dà alcuna soddisfazione, altrettanto insopportabile diventa anche la vita privata dei protagonisti, incapaci di svincolarsi da una rete di relazioni affettive che li ingabbia, distruggendosi al contempo, e che li rende vittime di un peso psicologico capace di svilire la loro volontà e di chiudergli ogni via d’uscita.

La narrativa dedicata al mondo professionale degli impiegati moderni presenta spesso finali tragici intonati al proposito di molti dei suoi protagonisti di intaccare drammaticamente il sistema, al fine di incepparlo, ostacolandone il funzionamento.

Si verificano cioè degli atti di ribellione sotto forma di gesti estremi che però sortiscono, perlopiù, il definitivo annientamento del protagonista o il sabotaggio momentaneo del meccanismo perverso che regge la società, senza l’idea di un “dopo” riabilitante e ricostruttivo.

Alfonso Nitti si suicida, incapace di scegliere di sposare Annetta, il matrimonio con la quale gli darebbe la possibilità definitiva di risolvere la sua posizione di frustrazione sociale ed economica e di passare dalla parte dei potenti. Dopo essere in un primo momento tornato dalla madre, egli sceglie di compiere, alla fine, il gesto estremo per uscire dal funzionamento dell’intero organismo allo scopo di rallentarlo e di non contribuire ad alimentarlo.

Il caso di Leopoldo Gradi, complicato da dinamiche psicologiche complesse, in virtù delle contraddizioni proprie della giovinezza del protagonista, si presenta invece come atto finale di rinuncia alla maturità del lavoro fuori città e affermazione definitiva del bisogno del protagonista di tornare a casa. L’evento drammatico, nei Ricordi di un giovane impiegato, coincide anche qui con la morte, ma non quella del personaggio principale, bensì di Attilia, la fidanzata malata rimasta ad aspettare Leopoldo in città.

Il protagonista fallisce rispetto al proposito di inserirsi nel mondo lavorativo fuori città, ma fallisce anche rispetto alla prospettiva di costruire il proprio rapporto con la ragazza della quale, allontanatosi da lei, non si sente più davvero innamorato. Il suo ritorno a casa stabilisce un momento di stasi a tempo indeterminato nel percorso di emancipazione del protagonista rispetto al proprio nucleo familiare di origine, decretando al contempo il suo ritorno “distonico” all’ambiente dal quale una parte di lui voleva allontanarsi.

Il signor Anselmo, protagonista della novella Tu ridi, riesce anch’egli ad annullare il dramma che vive, allontanandosene per guardarlo attraverso un amaro e momentaneo sguardo sarcastico. Infine l’uomo riesce a ricordare il motivo, banale, che scatena la sua inconscia risata notturna. Questa scoperta lo induce ad accrescere ulteriormente la consapevolezza, che ha già, della qualità avvilente della vita che egli conduce. L’insignificanza del sogno che causa l’inspiegabile felicità liberatoria di Anselmo, di cui la moglie non riesce a darsi spiegazione, decreta ancora più la rassegnazione del protagonista e gli fa accettare l’irrisolvibile infelicità alla quale è destinata la sua esistenza.

4 commenti su “DAVIDE MARIA ROSARIO FICARRA: “Tozzi, Svevo, Pirandello: la figura dell’impiegato nella narrativa primonovecentesca”

  1. Spero ci sia un seguito a questo studio su la vita impiegatizia attraverso i racconti degli scrittori italiani. Un seguito cronologico, ossia dagli anni Trenta sino alla fine del Novecento. In questo contesto dovrebbero apparire importanti certi racconti di Moravia, la narrativa di Bianciardi, i libri grotteschi di Paolo Villaggio dedicati al personaggio di Fantozzi, fino al dramma de “un borghese piccolo piccolo” narrato da Vincenzo Cerami.

  2. Bella esegesi della categoria novecentesca degli impiegati, da caratteristiche simili negli autori esaminati. Concordo le tue valutazioni Davide. Vi leggo quella reale circolarità tra vita famigliare e professionale che tu citi che sembrano espressioni di medesima irrisolutezza e inettitudine visti nei personaggi sveviani dove vincoli sociali e familiari ne creano cortocircuiti di inadeguatezza alla vita.
    Credo questi siano una continuazione dei vinti della letteratura siciliana e non solo del periodo considerato, ma per certi versi una peculiarità anche posteriore degli impiegati privati ma anche pubblici. Tra questi in certo senso anche gli insegnanti, i maestri di un tempo. Ricordo qui un film poco conosciuto di Alberto Sordi, degli anni ’60,il “Maestro di Vigevano”. Qui Alberto è un modesto maestro di scuola elementare, che ama il suo ruolo di piccolo potere, ama la scuola, dove può essere libero di comandare e decidere, non come a casa dove la moglie lo vessa e vorrebbe lui facesse l’ imprenditore per essere più agiati e rispettati. Alla fine lui cede e lascia la scuola e con un prestito si mette in proprio e inizia una attività. Così comincia con qualche successo a fare il salto nella società ‘in’, dei ricchi.
    Ma non ha il cinismo e la durezza dei ticoon, ed alla fine viene imbrogliato e perde soldi.
    Umiliato e vinto, capisce che quella non è la sua vita, e preferisce tornare alla sua scuola, che ama e di cui è il re anche se deve rinunciare alla ricchezza e all’apparenza. Un vinto ma che trova il suo piccolo angolo di felicità nel fare ciò che più sa fare e gli da il meritato titolo di “Signor Maestro”.
    Maestri (e Professori) si nasce. Vinti si diventa.

    1. Bravo Gianni, molto pertinenti le tue considerazioni. Sordi è stato specchio dell’italiano medio del secolo scorso. La cultura popolare si rispecchia perfettamente in lui. E poi sì, c’è una sorta di orgoglio nel persistere nella propria condizione di inettitudine. Se si riuscisse ad alimentare quest’orgoglio al punto da renderlo il grimaldello su cui far perno per aprire la via del cambiamento, forse avremmo una possibile soluzione.

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