ISABELLA MECARELLI: “VIAGGIO IN EGITTO – La Tomba di Ramsete III – (capitolo 2 – segue) – vedi galleria fotografica

La tomba seguente era quella di Ramsete III KV11, fra le più ricche e interessanti per la qualità delle  pitture. Questo re è considerato l’ultimo grande faraone del Nuovo Regno, la guida lo ha definito una sorta di Napoleone; regnò fino al 1155, quando rimase vittima di una congiura da parte della moglie che intendeva favorire suo figlio al posto dell’erede legittimo, Ramsete IV. Ma le andò male perché il suo tentativo fu sventato.
A Ramsete III si deve la fondazione del bellissimo tempio di Medinet Habu, che avremmo visitato più tardi. Fu un re molto impegnato nelle guerre di conquista e anche di difesa: a lui si devono le spedizioni contro i popoli del mare. Non solo, curò in modo particolare l’edilizia, costruendo monumenti che hanno sfidato millenni. Il suo trentennio di governo si può considerare come apice della potenza del Nuovo Regno.

La sua tomba ha alcune caratteristiche curiose: quando cominciarono i lavori di scavo gli operai si imbatterono in quella di un altro re, allora per rispettarla, aggirarono l’ostacolo: per questo il corridoio scende prima ruotando a destra poi a sinistra prima di raggiungere la camera sepolcrale.
All’ingresso, ornato di capitelli con rilievi zoomorfi, ci accoglie il faraone, raffigurato al cospetto di Horos. L’architrave sul corridoio mostra il disco solare alato di Ra. Dopo aver percorso un lungo corridoio si arriva al sancta sanctorum, la stanza del sepolcro, ornata con immagini tratte dal Libro delle Porte, un testo fondamentale che riguarda il viaggio del dio sulla sua barca nell’oltretomba.
Il titolo si riferisce alle dodici ore che si susseguono nella notte: a ogni ora corrisponde una porta da attraversare, ovvero un ostacolo da superare. Diverse scene rappresentano la barca di Ra su cui navigano altre divinità che lo accompagnano per aiutarlo nell’arduo compito: si tratta di un’impresa impegnativa, rischiosa, densa di pericoli, che il dio deve affrontare evitando soprattutto le insidie del serpente Apopi.  La barca è anche trainata a tratti con una fune da sette uomini e sette donne. Altrove si deve trasformare addirittura in serpente per poter scivolare sulla sabbia del deserto, facendo scaturire il fuoco dalla bocca per illuminare il buio della notte.
Contemplando le figure che ornano le pareti, si rimane sorpresi, oltre che dall’eleganza delle linee e dalla cura dei dettagli, soprattutto da quanto i colori siano rimasti vividi a distanza di millenni. Nella camera tuttavia non compare il sarcofago del faraone, che fu trasferito al Louvre, dove è tuttora conservato. La sua mummia invece, che ha fornito da spunto negli anni ‘30 al film “La mummia”, interpretato da Boris Karloff, dapprima ospitata nel vecchio Museo Egizio del Cairo, due anni fa è stata trasferita con una solenne cerimonia, la Parata d’oro dei faraoni, al nuovo Museo nazionale della Civiltà egiziana.

Mentre scendevo lungo il corridoio, un custode mi ha bloccato, non ho saputo evitarlo: insisteva perché scavalcassi la balaustra ed entrassi in una zona laterale non accessibile ai visitatori. Naturalmente il suo scopo era la mancia. Quando mi sono rifiutata di oltrepassare il limite, lui ha preteso che gli consegnassi la fotocamera, facendomi capire che avrebbe scattato lui le foto al posto mio. Mi pareva scortese non acconsentire e gliel’ho affidata, sperando che fosse rapido. Macché, ho aspettato diversi minuti prima che tornasse. Come avevo previsto mi ha chiesto la mancia, ma io ero senza soldi, gliel’ho fatto capire a gesti e con suo gran disappunto me ne sono andata.
Finalmente libera, sono corsa dietro al gruppo che nel frattempo si era già avviato all’uscita, ma era sparito. Quando mi sono ritrovata all’aperto, sotto un sole che già dardeggiava implacabile, ho cercato invano di individuare i miei compagni fra le comitive che si erano moltiplicate per incanto, assiepandosi davanti alle imboccature delle tombe. Ho controllato alcuni ingressi, ma niente. Panico assoluto. Allora ho rimpianto di aver ignorato le raccomandazioni della mia amica Adriana che conosce la mia mania: non ti perdere a far foto, se no rimani indietro.

Poi ho pensato che sarebbero comunque dovuti uscire dalla biglietteria e mi sono diretta lì. Finalmente li ho avvistati di ritorno dalla tomba di Ramsete IX KV6, che naturalmente mi sono persa e quindi non ho elementi per descriverla. Ma la gioia di aver ritrovato i miei compagni ha superato la delusione della mancata visita, anche perché mi hanno assicurato che la tomba di Ramsete III era stata la più interessante.
Per tornare al nostro pullman occorreva ripercorrere a ritroso il corridoio dell’ingresso, stipato di negozi di souvenir. Presso ogni sito archeologico si trovano innumerevoli venditori, non solo bottegai, anche ambulanti, tutti che scalpitano, pronti all’assalto dei turisti. Le botteghe in genere si trovano da entrambi i lati del suq, per cui si è costretti a passare sotto un fuoco di fila di mercanti vocianti, insistenti. Una situazione da Forche Caudine. Il negoziante, mostrando con gesto plateale l’ingresso della sua bottega, insiste per farti entrare; l’ambulante ti si para davanti sciorinando la sua merce. Tutti si sbracciano per attirare l’attenzione nel tentativo disperato di un guadagno. I modi, che ritroviamo in tanti altri luoghi turistici, anche italiani, qui sono tuttavia ben più insistenti, addirittura aggressivi.
Come trincerarsi allora in questo caso? Io uso un metodo, sperimentato in varie occasioni, che consiste nel dribblare infilandomi fra le schiere di turisti in modo da passare quasi inosservata, oppure nel continuare a scattare foto, il che frena alquanto l’impeto degli assalitori.

Già all’aeroporto di Luxor mi aveva colpito l’atteggiamento dei giovanotti locali piazzati intorno al nastro trasportatore del deposito bagagli: chiedevano quale fosse la tua valigia e appena gliela indicavi, si precipitavano ad afferrarla per consegnartela. Ma quello che avevo preso sulle prime per un atto di gentilezza, una sorta di benvenuto, in realtà era un modo di far quattrini: la parola “mancia”, che avevano ben imparato a pronunciare, svelava la pia illusione. Era un modo come un altro per campare.
Non c’è comunque da meravigliarsi di questi atteggiamenti. L’Egitto è un paese povero, che vive di turismo, unica fonte di reddito oltre all’agricoltura; sfiancato per giunta da un incremento demografico eccezionale, non riesce a soddisfare le esigenze primarie della popolazione. Il turismo rappresenta una risorsa cui attingere nelle più varie forme, anche quelle che agli occhi del turista risultano negative e in fondo controproducenti. Ne abbiamo parlato con la guida, che condivideva le nostre impressioni. Yasser ci ha raccontato che lui e altri suoi colleghi hanno fatto diversi tentativi per convincere i loro connazionali che un simile approccio non va bene, risultando alla fine sbagliato, ma è stato come parlare al vento. Certi costumi non si cambiano facilmente, soprattutto se c’è di mezzo la miseria.

 Isabella Mecarelli, Viaggio in Egitto, Capitolo 2 (Segue)

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