ISABELLA MECARELLI: “VIAGGIO IN EGITTO – Il segugio Maspero – (capitolo 10 – segue) – vedi galleria fotografica

Eravamo rimasti al trasferimento della mummia di Ramsete II nel “nascondiglio” di Deir el-Bahari (TT320), situato vicino al tempio della regina Hatshepsut. Nell’appartamento sotterraneo che i sacerdoti avevano fatto scavare per salvare il “ka” dei faraoni (ossia la loro vita dopo la morte), il Nostro si trovò inserito in una vera e propria comunità di mummie.
Ormai le ruberie erano diventate un incubo per i capi religiosi, cui spettava il compito di garantire l’incolumità delle salme. Infatti, nonostante il loro zelante controllo, lo sciacallaggio dei luoghi sacri continuava, senza contare che i furfanti si divertivano pure ad oltraggiarli con scritte offensive, disegni osceni, corna, scarabocchi sulle pareti, alla stregua si può dire degli odierni imbrattatori dei muri cittadini. Insomma una situazione intollerabile: oltre ai danni, gli sberleffi!
Possiamo immaginare il panorama notturno di allora, con i predoni che si muovevano cauti, gli appostamenti, le guardie che venivano stordite, la ricerca affannosa del passaggio giusto per arrivare alla camera mortuaria, il trafugamento dei beni che doveva avvenire con ogni cautela.
Le autorità responsabili si accusavano pure a vicenda di essere in combutta con i profanatori e di chiudere un occhio per trarre una percentuale da questi saccheggi. C’è inoltre da considerare che anche se gli scavi degli ipogei si svolgevano in gran segreto, qualcuno avrà pur fatto trapelare qualcosa. A meno che coloro che ne erano a conoscenza, non fossero stati semplicemente eliminati.
A volte i ladri venivano scoperti e gli si intentava un processo, come risulta dalle testimonianze contenute nei papiri. Sappiamo del caso di una banda di malfattori che furono sorpresi e puniti “con doppia frusta sulle mani e sui piedi”. Questa notizia che ho tratto dal racconto di Ceram nel suo stupendo libro “Civiltà sepolte” (cui devo molto la mia passione per l’archeologia), l’autore la trasse a sua volta dal resoconto esilarante di Carter, lo scopritore della tomba di Tutankamon, che si basava su documenti da lui ritrovati.
Del rifugio di Deir el-Bahari tuttavia stranamente nulla trapelò, il segreto rimase inviolato per ben 28 secoli, finché in tempi più recenti, nel 1881, qualcuno si insospettì di strani movimenti. Qui entra in scena Gaston Maspero, un francese nato da genitori italiani, egittologo affermato, che alla morte di Mariette subentrò nel suo ruolo di direttore degli scavi in Egitto.
Il saccheggiamento delle tombe a quell’epoca continuava alla grande e ne erano responsabili pure gli inglesi. Una sorta di guerra sotterranea si stava svolgendo fra la Francia, che conduceva le ricerche dietro autorizzazione del viceré d’Egitto e l’Inghilterra che bramava sempre nuovi reperti per arricchire il British Museum. E il responsabile di questo museo non si faceva scrupolo di accordarsi con i predatori locali per procurarsi pezzi interessanti, aggirando così il monopolio delle ricerche che i francesi si erano assicurati in Egitto. Insomma le ruberie si moltiplicavano proprio per la bramosia dell’Occidente.
Quando Maspero seppe che un importante papiro acquistato da un americano a Luxor, era volato oltreoceano, volle indagare più a fondo; ne venne fuori una storia curiosa. Il professore già da tempo aveva notato uno strano traffico nel mercato nero della città: era chiaro che negli ultimi anni pezzi molto preziosi per la ricerca scientifica erano stati trafugati dalle tombe, nonostante la stretta sorveglianza che allora già si svolgeva. Il papiro in questione faceva parte del corredo di un re della XXI dinastia, la cui tomba era ancora sconosciuta; molti reperti sospetti riguardavano invece altri monarchi e la cosa inquietò ancor più Maspero: quante tombe erano state scoperte senza che le autorità ne fossero venute al corrente? Cominciò a sospettare che si trattasse di un deposito comune.

Un giallo degno di Agatha Christie!
Fu allora che entrò in scena un altro personaggio: un giovane assistente archeologo fu incaricato di indagare e girando per i mercati di Luxor entrò in contatto con un tale Abd-el Rasul. Sospettò da vari indizi che fosse lui il responsabile dei furti. Lo denunciò e fu istituito un processo, ma siccome tutti gli abitanti del suo villaggio testimoniarono la sua innocenza, il presunto ladro venne assolto.
L’assistente era sconcertato della rassegnazione del giudice Da’ud che aveva emesso la sentenza. Ma costui conosceva i suoi polli. Poco tempo dopo convocò in privato un suo vecchio operaio e solo con il suo sguardo gli infuse un terrore tale che poco tempo dopo un complice di Abd-el Rasul si recò da lui per confessare il misfatto. Venne così fuori una bella storia: il paese di Kurna, da dove proveniva l’imputato, era tutto coinvolto in un gigantesco affare. Da tempi immemorabili i suoi abitanti saccheggiavano i dintorni, in pratica si trattava di una dinastia di predoni.
Era stata proprio questa banda a scoprire nel 1875 il nascondiglio di Deir el-Bahari e da allora i furfanti cominciarono ad asportare furbescamente poco per volta, per non suscitare troppi sospetti, reperti preziosi che immettevano nel mercato nero di Luxor. Il giuramento che avevano pronunciato fra loro di non tradire il segreto fu così mantenuto fino alla confessione del complice di Abd-el Rasul.
Dal Cairo fu inviato allora per un sopralluogo Emil Brugsch, fratello del conservatore del Museo Egizio. Costui decise di mettere la tomba sotto sequestro e quando vi entrò accompagnato dallo stesso Abd-el Rasul, uno spettacolo straordinario si presentò ai suoi occhi, perché comparve un vero e proprio tesoro. Per arrivarci, dopo essersi arrampicati per un sentiero impraticabile, erano dovuti passare da un piccolo pertugio invisibile, ingresso comprensibilmente sfuggito per tanti secoli.
I sarcofaghi erano accatastati e sparpagliati in disordine, il che denotava la fretta con cui i sacerdoti avevano dovuto operare per non dare nell’occhio. Si trattava dei più importanti faraoni del periodo che andava dalla XVII alla XXI dinastia.
Fra i 40 re c’era Seti I, il cui ipogeo Belzoni (parlerò di lui) aveva scoperto, meravigliandosi di trovarlo privo della mummia. C’era Amosis I, che aveva liberato l’Egitto dagli Hyksos, e poi Ramsete II il Grande, Ramsete III e altri.
Brughs si preoccupò di svuotare la tomba il più in fretta possibile, onde impedire ulteriori saccheggi. La rimozione del tesoro fu abbastanza semplice e veloce perché bastarono un paio di giorni. Ma il vero problema era tornare al Cairo senza incidenti di percorso.
Le mummie e i reperti furono trasportati ovviamente via fiume con un’operazione che risultò a dir poco avventurosa. Per ironia della sorte l’archeologo dovette avvalersi del contributo dei ladri stessi, visto che la manovalanza doveva essere reperita nel villaggio più vicino, ossia il loro. E non è che i nativi fossero così contenti di vedersi portar via sotto il naso quei tesori che avevano costituito la fonte del loro sostentamento per anni, fatto sta che diversi oggetti sparirono durante il trasloco.
Oltretutto le barche che trasportavano i reperti, furono fatte oggetto lungo il percorso di sassaiole e addirittura di sparatorie, accompagnate dalle lamentazioni delle donne che si straziavano per la sorte dei “loro” faraoni.

Isabella Mecarelli, Viaggio in Egitto, Capitolo 10, Il segugio Maspero (Continua)

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