ISABELLA MECARELLI: “VIAGGIO IN EGITTO – Nel villaggio Nubiano – (capitolo 29) – vedi galleria fotografica

L’arcipelago oltre l’isola di Elefantina si è man mano rarefatto, finché il fiume è rimasto sgombro di terre. Alla nostra destra, ossia ad oriente, è apparsa una montagna di sabbia che digradava fino a una vasta spiaggia di rena finissima. La cima era coronata da un grumo di case moderne in stile moresco, mentre alla base si scorgevano imbarcazioni assiepate presso la riva, da cui i passeggeri continuavano a sbarcare pregustando una sosta prettamente turistica.

Una mandria di dromedari accovacciati in fila stazionavano a mezza costa scrutando pigramente l’orizzonte in direzione del Nilo. Appartati sulla destra si concentravano gli ambulanti con le merci appoggiate sulla sabbia, statuine e vasetti disposti in file ordinate come tanti soldatini; stavano pronti a scattare come molle non appena una barca si accostava alla spiaggia; allora, afferrando una manciata di oggetti, scendevano a riva con le braccia tese per offrire figurine, monili e varie paccottiglie.

Non mancavano cagnolini curiosi, che attirati anche loro dagli stranieri, si aggiravano scodinzolanti con aria supplichevole. Evidentemente vivevano soprattutto della generosità dei turisti che, rallegrati dalla loro presenza, non mancavano di offrirgli qualche briciola con l’aggiunta di una coccola.

Chi scendeva a terra restava un attimo spaesato dall’ambiente insolito: la sabbia in quell’ora vicina al tramonto era tiepida e invitante, mentre le acque, a detta di Rolando che aveva tentato un pediluvio, erano gelide. Occorreva salire per raggiungere gli animali che attendevano lassù a ridosso di una macchia di acacie dalle chiome stentate, cercando anche di evitare lungo il percorso l’assalto dei mercanti che ostacolavano il cammino.

Una volta vicini alle “navi del deserto”, i cammellieri si sono fatti avanti per invitare gli ospiti a fare un giro. Una lunga di fila di turisti stava già in viaggio caracollando sulle groppe dei dromedari in direzione della montagna. I rispettivi conducenti procedevano a piedi accanto alle bestie, controllando che non si verificassero inconvenienti.

Declinai l’offerta, avevo già fatto l’esperienza in Tunisia e non era stata entusiasmante. Già salire sulla bestia inginocchiata è un impresa scomoda: quando si solleva, lo fa dapprima con le zampe anteriori, per cui devi aggrapparti al pomo della sella se non vuoi cadere sul dorso; quando alza quelle posteriori, devi reggerti con tutte le forze per non precipitare a faccia avanti. Quella volta ero la seconda della fila e tutto sarebbe corso liscio, perché per cavalcare quegli animali basta abbandonarsi all’andatura da loro imposta. Ma siccome il dromedario davanti, un tipo evidentemente ostinato e ghiribizzoso, rinculava continuamente, refrattario pure ai richiami del custode, percorsi tutto il tragitto in preda all’ansia. Ogni pochi secondi rallentava l’andatura per venire a strusciarsi contro il dorso del compagno che lo seguiva, ossia il mio, e siccome lo faceva con forza ed insistenza, tremavo per la mia gamba sinistra, che dovevo sollevare appena si avvicinava, affinché non rimanesse schiacciata come in una morsa. Non era stata proprio una bella esperienza.

Ma ora davanti al quadro che offriva il gruppo dei dromedari in riposo, mi veniva spontaneo far pace con quelle bestie: in quella posa apparivano un soggetto fotografico troppo invitante per non approfittarne: ritrarli durante il relax, mentre sfoggiavano un’aria meditabonda, che li rendeva tanti filosofi, non era certo un’occasione da perdere. Senza contare che se voltavo le spalle, si spalancava lo scenario del fiume percorso dalle feluche, che scorreva maestoso.

Eravamo in pieno territorio nubiano e potevo quindi osservare da vicino i tipi locali. Erano diversi dagli arabi egiziani, perché i Nubiani si distinguono per la pelle nera e dato che indossano in genere tuniche candide, il loro aspetto offre un piacevole contrasto.

Abbiamo lasciato la spiaggia, riprendendo a navigare per spostarci più oltre, fino a raggiungere l’imbarcadero della meta prefissata, il Villaggio Nubiano. La guida ce l’aveva decantato come molto attraente per la particolarità degli abitanti, lo stile delle case, e la diversità delle donne.

Scesi a terra, abbiamo camminato fino al borgo che dominava il Nilo dall’alto di un colle. La giornata volgeva al tramonto, ma i colori vividi delle abitazioni, le merci variopinte che traboccavano dai negozi che si susseguivano nella strada principale, lasciata allo stato naturale, ossia pavimentata di terra e sabbia battuta, fornivano un caleidoscopio di tonalità ancora brillanti. Gli uomini mostravano una corporatura robusta, spiccavano per il portamento fiero e l’andatura maestosa. Le donne, al contrario delle arabe egiziane che privilegiano il nero, vestivano con abiti sgargianti e giravano a volto scoperto. Nella società nubiana infatti sono favorite da una maggiore autonomia, quindi ostentano una disinvoltura che le distingue dalle loro pari del mondo contadino, dall’aria ben più timida e sottomessa.

Una caratteristica di questa gente è che ha mantenuto una predilezione atavica per i coccodrilli: li considera portafortuna e li ospita nelle abitazioni. Pressoché in ogni famiglia quegli esseri inquietanti sono accolti in appositi recinti, quando muoiono li imbalsamano e li espongono appesi alle pareti di casa.

La visita al villaggio comprendeva anche l’ingresso in una dimora tipica, per conoscere più da vicino lo stile di vita dei locali. Saliti alcuni gradini, siamo arrivati su una terrazza panoramica che si apriva sul ventaglio di case digradanti verso il fiume.

Le signore hanno già preparato il tè che, accompagnato da vassoi di dolciumi, ci servono con garbo. Il padrone di casa raduna intorno a sé un crocchio di noi curiosi per mostrare la sua abilità nel manovrare un coccodrillo, offrendoci anche l’opportunità di toccarlo o prenderlo addirittura in braccio; naturalmente il mostro è piccolo e, legato come un salame, del tutto inoffensivo. Ma fuori in giardino non manca una fossa dove giace immobile, granitico come una roccia del Nilo, un mostro ben più consistente; imprigionato com’è in quello spazio ristretto, causerebbe gli attacchi biliosi degli animalisti, ma qui delle nostre ideologie animaliste se ne infischiano.

Le donne hanno acconsentito di essere fotografate, e senza alcuna ritrosia. Anzi, come per ostentare la considerazione in cui sono tenute nella loro società, si sono messe in posa, visto che anche quello faceva parte del “pacchetto”. Alcune si sono offerte di disegnare le mani delle ospiti con ghirigori ornamentali, tracciando linee misteriose.

Siamo tornati sulla via principale, animata dal traffico dei cammellieri che rientravano a casa alla fine della giornata: diversi di loro caracollavano veloci, quasi di corsa, movimentando la scena che ai lati della strada si colorava delle tinte sgargianti dei prodotti traboccanti dalle botteghe. Pareva la quinta di un teatro, il set di un film esotico di Indiana Jones. Del resto tutta la visita mi è parsa una sorta di grande sceneggiata ad uso e consumo dei turisti, una forzatura imposta da esigenze esterne. Mi è venuto spontaneo paragonare le condizioni di vita dei Nubiani in quel villaggio con quelle degli Indiani d’America nelle riserve, dove per sbarcare il lunario accolgono i turisti allestendo spettacoli folcloristici. In complesso la visita mi ha lasciato una sensazione amara, l’impressione di una società costretta a mettersi in vetrina per sopravvivere, a muoversi come in un circo, perdendo la sua autenticità e con questa la libertà.

Isabella Mecarelli, Viaggio in Egitto – capitolo 29 (continua)

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