ISABELLA MECARELLI: “VIAGGIO IN EGITTO – Il tempio dei coccodrilli – (capitolo 31) – vedi galleria fotografica

Abbiamo navigato tutta la notte, finché al risveglio ci siamo ritrovati nel porto di Kom Ombo, nome per me evocatore di terre esotiche, lontane, misteriose, alla stregua di Timbuctù, Palmira, Shangri-La. A volte il suono di certe parole carica di suggestione i siti che esse rappresentano, suggerendo emozioni tali che, quando si riesce a raggiungere quei luoghi fisicamente, non si può fare a meno di paragonarne la visione reale con il prodotto della fantasia.

Per noi era un ritorno, nel senso che avevamo sostato in quel porto un pomeriggio di pochi giorni prima per far scendere una comitiva, mentre il nostro gruppo era rimasto sulla nave in attesa. Nel frattempo avevo avuto occasione di godermi la gustosa scena dei battellieri che battibeccavano durante le manovre di ormeggio. Stavolta toccava a noi sbarcare per la visita dei templi. Uso il plurale perché il sito di Kom Ombo è formato da due edifici accostati e simmetrici; il santuario era dedicato infatti a due divinità venerate separatamente.

La fertile regione che lo circonda è diventata la nuova sede delle genti nubiane, trasferite qui in seguito alla costruzione della grande diga di Assuan. Il complesso spicca imponente sulla riva destra del Nilo; sorge su un rialzo, posizione insolita in Egitto, una sorta di acropoli circondata da un’area pianeggiante che ospita estese piantagioni di canna da zucchero.

Il tempio a sud è dedicata a Sobek, il dio coccodrillo; quello a nord a Horus il Vecchio, il dio dalla testa di sparviero, manifestazione solare del dio falco. Non deve stupire sentir menzionare un dio-falco e un dio-coccodrillo perché la religione egizia nella sua forma primitiva venerava piante e animali, e solo in seguito questi assunsero sembianze umane, pur mantenendo parti del corpo che rimandavano alla loro origine.

Sobek, dio dell’acqua e della fertilità, presiedeva all’irrigazione dei campi ed era lo sposo della dea Hathor. Un tempo il Nilo era molto popolato di coccodrilli, e la loro presenza nelle sue acque era un augurio di buon raccolto, anche se non tutti gli abitanti della valle trattavano quella bestia allo stesso modo. Erodoto racconta che ad Elefantina addirittura lo mangiavano; mentre a Kom Ombo, località non molto distante da quell’isola, era considerato così sacro da dedicargli addirittura un tempio. Non solo, lì i sacerdoti allevavano coccodrilli, e quando questi morivano, dopo averli mummificati, li seppellivano in un cimitero apposito.

Oggi purtroppo, o per fortuna, questi animali, avendo la via sbarrata dalla grande diga di Assuan, non popolano più la zona settentrionale. E questa è un’altra delle conseguenze apportate dalla sua erezione.

Il complesso di Kom Ombo, costruito interamente in pietra calcarea, risale all’epoca dei Tolomei: iniziato da Tolomeo VI, si deve a Tolomeo XIII la costruzione delle sale ipostile. Situato in un’area soggetta a terremoti e inondazioni, andò via via deteriorandosi nel corso del tempo, senza contare il danneggiamento provocato dalla sua conversione in chiesa cristiana, come era successo per altri templi. Tuttavia i recenti restauri hanno operato un miracolo rendendolo uno dei più interessanti siti egizi, dove si possono ammirare notevoli decorazioni in rilievo e dipinte.

All’inizio della visita ho notato un’anomalia rispetto ai monumenti precedenti: mancava del pilone, che era completamente crollato, se ne distinguevano a mala pena poche tracce, mentre il primo cortile, ampio e lastricato, era cinto da un colonnato, di cui rimanevano solo monconi.

Seguiva l’ingresso monumentale, formato da tre imponenti colonne decorate con capitelli a forma di palma. Quella di mezzo faceva da divisione a due distinti varchi attraverso i quali si accedeva ai templi gemelli. La parte interna dell’ingresso costituiva la prima sala ipostila, una piccola selva formata da pilastri giganteschi.

Ormai mi ero abituata alla sensazione che prende il visitatore quando si aggira in quegli ambienti: le colonne che sovrastano le persone, paiono animate dalla volontà di ridurle a una consistenza minuscola, di schiacciarle con la loro imponenza, di indurle a soggezione. Ma appena si supera questa fase, e ci si sofferma sui particolari con più attenzione, si è distratti dalla bellezza che ammanta tutte le superfici.

Anche qui si è ripetuto il fenomeno. Una volta scrollato di dosso il senso di schiacciamento, ho posto attenzione alle decorazioni e sono stata subito catturata dalle innumerevoli figure che ricoprivano completamente i fusti delle colonne. Erano scene consuete di caccia, di processioni, di offerte e riti religiosi. Gli dei, ritratti in modo da metterne in risalto l’eleganza raffinata e le movenze aggraziate e al contempo maestose, incedevano solenni o sostavano in posa per essere ammirati dai fedeli in tutto il loro splendore.

A sinistra i bassorilievi erano dedicati a Horus, a destra a Sobek. Nel settore di Horus Tolomeo XII riceveva la chiave della vita al cospetto di Ra e Horus, e l’evento avveniva alla presenza di Iside, Nut e Thot. In quello di Sobek lo stesso re era raffigurato mentre veniva incoronato da due donne con le corone dell’Alto e Basso Egitto.

Seguiva una seconda sala ipostila dalle colonne papiriformi, che precedeva i due sacrari gemelli.

L’attrazione più curiosa si trovava sulle pareti interne del doppio muro di cinta che delimitava l’area del santuario, dove erano raffigurati attrezzi chirurgici. I fedeli che affluivano al tempio infatti venivano non solo per atto di venerazione, ma anche con la speranza di ottenere guarigioni grazie alle virtù terapeutiche attribuite al dio Horus. Si distinguevano gli strumenti per il salasso, la bilancia, i bisturi, gli uncini per estrarre il cervello dalle salme, i cucchiaini per controllare la gola infiammata; e ancora pinze, forcipi, flaconi di medicinali, forbici e prescrizioni. Particolarmente originale era la raffigurazione di due donne incinte sulla sedia del parto.

Isabella Mecarelli, Viaggio in Egitto – capitolo 31 (continua)

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