STEFANO DI FRANCESCO: “Saltano le prime banche Usa”

Qualche giorno fa , tre banche di media dimensione negli USA, hanno di fatto dovuto essere salvate dallo Stato e dalla Federal Reserve al fine di tutelare i risparmi dei clienti depositanti.

First Republic Bank, Silicon Valley Bank, Signature Bank, sono le prime banche a saltare a causa dell’innalzamento dei tassi delle FED al fine di controllare l’inflazione, che lo ricordiamo, è l’obiettivo finale delle banche centrali.

Complessivamente le tre banche avevano un volume d’impieghi intorno ai 300 miliardi di dollari, quasi 2 volte la nostra Monte dei Paschi di Siena, quindi non proprio piccole.

Il problema sullo sfondo di questa che sembra essere l’alba di una nuova crisi bancaria globale, sta nel fatto che per anni le banche americane ed europee hanno acquistato centinaia di miliardi di titoli di Stato e obbligazioni cartolarizzate Mbs, titoli obbligazionari derivanti da operazioni di cartolarizzazione (securitization) di prestiti ipotecari, a prezzi elevati.

Questi titoli, ora nel portafoglio delle banche, assicurazioni, fondi pensione sono stati acquistati negli ultimi 10 anni quando il tasso d’interesse era estremamente basso ed ora che i tassi sono saliti ovunque, il prezzo di questi titoli in portafoglio scende ed anche molto rapidamente.

Se oggi, ad esempio, per qualche motivo, le banche italiane dovessero vendere i circa 380 miliardi di titoli di Stato che posseggono, potrebbero registrare perdite colossali, vicine al 20% del valore dei titoli ( stiamo parlando di cifre dell’ordine dei 50/60 miliardi di euro).

Ad oggi invece, possono tranquillamente tenerli in portafoglio senza dover assumere alcuna perdita contabile , grazie al fatto che agli intermediari bancari è concesso di iscrivere le proprie attività come “attività da tenere sino alla scadenza” e che quindi verranno rimborsate dal debitore al valore nominale di 100, senza dunque tener conto della fluttuazione del prezzo dello strumento durante gli anni.

Negli USA, la situazione per quanto riguarda l’esposizione debitoria del sistema bancario ci parla di potenziali perdite per circa 600 miliardi di dollari, mentre in realtà, sulla base della classificazione di cui sopra, risultano essere meno di 300 ( linee marroni)

La Silicon Valley Bank, seguendo quindi lo schema che adottano tutte la banche, aveva iscritto i 91 miliardi  di titoli in portafoglio come “Held to maturity Securities” e nonostante una perdita potenziale al momento di circa 15 miliardi di dollari, questa non appariva nel suo bilancio per via della specifica  classificazione dell’investimento.

Ma qualcosa ha obbligato la banca a vendere titoli sul mercato, rendendo così evidente a tutti la perdita sostenuta.

La Svb operava con una clientela principalmente formata da aziende , start-up, imprese legate al settore delle rinnovabili le quali, in un contesto di tassi d’interesse crescenti, hanno visto aumentare il costo dei debiti e quindi presumibilmente hanno  chiesto di poter utilizzare una parte delle proprie disponibilità. La banca , non avendo liquidità in cassa, ha dovuto procurarsela e lo ha fatto vendendo alcuni MBS che aveva in portafoglio, che hanno generato una perdita di 1,8 miliardi di dollari.

A questo punto, altri clienti hanno compreso la difficoltà della banca ed hanno richiesto la restituzione dei depositi, obbligando la SVB a vendere ancora titoli ed obbligazioni, perdendo ancora più soldi fino al  punto in cui, in meno di 72 ore, è dovuto intervenire il Governo assumendo la garanzia sui depositi dei clienti fino a 250 mila dollari.

L’unica via di uscita per le banche è quella di non vendere i titoli che oggi hanno in portafoglio, titoli sui quali stanno TUTTE perdendo, ma se capita una situazione come quella della SVB allora la cosa si complica.

Il timore che possa svilupparsi un effetto domino, ha indotto la FED ad intervenire prontamente assicurando una linea di credito per tutte le banche che dovessero avere necessità di liquidare asset in perdita, evitando così la vendita di titoli e garantendo la tutela dei depositi dei clienti.

Insomma il sistema ha imparato a difendersi ed il crollo dell’intera struttura bancaria non è certo una eventualità che i banchieri centrali possono permettersi.

In pratica, se una banca ha in carico un titolo al prezzo di 130 ed oggi lo stesso vale 85, la FED garantisce di coprire la differenza di prezzo attraverso la propria liquidità, evitando così alla banca di dover in caso di necessità, vendere in perdita, scatenando il panico.

Quindi da un lato abbiamo che la FED vuole alzare i tassi per contrastare l’inflazione e dall’altra, la stessa FED è costretta a fornire liquidità al sistema bancario per impedire che imploda ( e questo fa abbassare i tassi che la FED vorrebbe alzare). Surreale…

Rispetto però alla crisi finanziaria del 2007/2008, oggi c’è una complicazione in più: l’inflazione quasi in doppia cifra. Se quindi da un lato, le banche centrali vogliono tenere bassa l’inflazione alzando ancora i tassi, c’è il rischio che nuove tensioni possano esservi sul lato dell’aumento del costo del debito e maggior domanda di liquidità da parte dei depositanti. Inoltre, tassi maggiori, potrebbero spingere la clientela a togliere i soldi dal conto corrente ( dove non rendono quasi nulla)  ed investirli laddove rendono di più, comprando ad esempio BTP, riducendone quindi il tasso di rendimento, ma soprattutto obbligando le banche a ridurre il loro monte impieghi ( riducendosi i depositi al passivo, deve anche ridursi l’attivo della banca)

Se invece, le banche centrali dovessero abbassare il livello dei tassi, in quel caso rinuncerebbero al controllo del livello d’inflazione, tornando quindi ad una politica monetaria espansiva fatta di acquisti del debito sovrano e liquidità creata per il sistema ( …e ciò implica la rinuncia al ricatto dello spread, al MES ed a tutto il corollario di demenziali politiche di contenimento della spesa e degli investimenti)

Cosa accadrà lo scopriremo presto; tutto dipende dal piano che hanno in mente i banchieri centrali. Se il loro obiettivo è quello di introdurre una moneta digitale di banca centrale, programmabile e controllabile dalle stesse banche centrali, allora temo che i tassi continueranno a salire e che altre banche andranno in difficoltà insieme ovviamente all’economia reale, famiglie ed imprese.

NON E’ ANCORA FINITA…NE VEDREMO DELLE BELLE

3 commenti su “STEFANO DI FRANCESCO: “Saltano le prime banche Usa”

  1. Il declino in Italia nasce dall’ingresso dell’euro e dal penalizzato cambio di valuta lira-euro. Per contro molto favorevole per la Germania. Perché Prodi e gli altri politici nulla hanno obiettato? Anzi, per contro
    Prodi ci ha rassicurato illustrandone i benefici: lavoreremo un giorno in meno e guadagneremo come se ne avessimo lavorato uno in più. Da allora tutto è divenuto più difficile. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Che fine ha fatto la nostra riserva aurea,? L’unica soluzione, se vogliamo evitare la fine della Grecia, è uscire dall’Unione europea e dall’euro. Possibile che nessuno lo capisca? Sono proprio demoralizzata.

  2. Grazie carissimo Stefano per questa importante delucidazione sul crollo di tre banche statunitensi, sulla differenza con la crisi del 2008 e sulla prospettiva tutt’altro che rassicurante.
    Nel finale ci ricordi che, alla fine, ciò che conta è l’economia reale, il benessere dei cittadini. Dobbiamo riportare la moneta alla sua dimensione e funziona originaria, ovvero strumento che parametra il valore della ricchezza, ma mettendo al centro la produzione di beni e servizi che sostanziano la ricchezza.
    Invito tutti a partecipare alla videoconferenza di questa sera, in cui Stefano vi illustrerà l’insieme del quadro finanziario e la ricaduta economica a livello europeo e mondiale. Vi aspetto.
    Magdi Cristiano Allam

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