STEFANIA CELENZA: “Gertrude disse sì”

L’immortalità dei Promessi Sposi e la profonda ispirazione psicologica della figura
della Monaca di Monza, sapientemente tramandata ad una sempre attuale umanità,
possono essere gli interpreti ideali degli enigmi della nostra contemporaneità.
I fatti, gli accadimenti sono mutati, rispetto al primo ventennio del 1600, ma non
sono affatto dissimili i sentimenti e le emozioni che li sottendono, nel primo
ventennio del 2000. Gli esseri umani si comportano sempre allo stesso modo.
Noi, oggi, ci troviamo in una dimensione surreale, dove qualunque cosa viene
contraffatta, qualunque idea viene contraddetta, qualunque principio viene
sovvertito, all’interno di un contesto reso deltutto privo di certezze, smarrito ogni
punto di riferimento. Il fatto è che tutto questo non ci sembra strano. Anzi ci
abituiamo con facilità a tutto. Ci sembra che sia meglio per noi non contraddire il
Potere, ma dire sempre di sì. Come Gertrude al Principe suo padre.

Questo sta accadendo, infatti, perché lo scenario è edulcorato da messaggi tanto
rassicuranti, quanto ipocriti, da lusinghe tanto facili, quanto menzognere. Se
necessario, il messaggio sa essere anche ricattatorio, minaccioso ed intimidatorio.
Motivo in più per rispondere sempre di sì, per accettare, per persuaderci.
E’ più facile senz’altro, per noi che di problemi non ne vogliamo.
Eppure, tutti i topi, ipnotizzati dal pifferaio magico, stavano andando verso il
baratro, mentre si trastullavano con la sua musica.
Anche noi, a forza di accettare l’inaccettabile, ci stiamo estinguendo senza saperlo.
La morte è dietro l’angolo, come per i topi, ma non la vediamo.
Stiamo cercando disperatamente di trovare qualcosa, qualunque cosa di credibile,
di attendibile, di verosimile, in questo presente irrazionale e, per questo, siamo
disposti a credere, a fidarci, ad accettare.
Lo facciamo per vivere, per sopravvivere, invece, tutto ciò ci conduce alla morte.
In questo momento storico, dopo tutto quello che sta ancora accadendo, mi sento
stanca di limitarmi ad incolpare i governi, le istituzioni o la politica.
Dobbiamo prendere atto che i veri colpevoli siamo noi. La responsabilità non è tutta
di chi semina zizzania, ma sopratutto di chi ci crede.
Ci hanno detto che la famiglia era una gabbia liberticida, ci abbiamo creduto ed
abbiamo accettato di demolirla. Siamo noi che ricorriamo allo scioglimento del
matrimonio alla prima crisi, siamo noi che continuiamo a farci la guerra per molti
più anni di quanto sia durato il matrimonio stesso.
Ci hanno detto che la donna era padrona della sua sessualità, al punto di potersi
affrancare dalle gravidanze non desiderate, con la massima libertà e lo abbiamo
messo in pratica. Siamo state tanto padrone della nostra sessualità da non fare più

figli, da non riuscire più a fare figli. A tal punto da avere bisogno della procreazione
assistita per scongiurare l’infertilità incombente.
Ci hanno detto che l’uomo è il carnefice della donna, che la donna è la vittima
continua di violenza, da parte del maschio. La donna è passata da essere donna
oggetto, ad essere oggetto di violenza. Abbiamo addobbato le nostre città con
panchine rosse. Ci abbiamo creduto ed abbiamo riempito le Procure di denuncie per
violenza, di qualunque tipo (anche psicologica) e per maltrattamento, contro i
nostri coniugi, compagni e fidanzati, distruggendo la coppia, sgretolando la famiglia
e condannando i nostri figli a perdere la figura paterna.
Ci hanno detto, ad un certo punto, che, infondo infondo, l’uomo non è proprio vero
che sia uomo e che la donna non è proprio vero che sia donna, che è possibile avere
una visione più ampia del genere e che l’uno può essere l’altra indistintamente.
Abbiamo addobbato le nostre città con panchine arcobaleno. Ci abbiamo creduto e
adesso, nelle modulistiche anagrafiche, possiamo barrare anche la casella “altro”,
oltre che le classiche caselle maschio e femmina. Adesso, riferendoci ad una donna,
ci esprimiamo con la perifrasi “persone assegnate femmine alla nascita” (La
Stampa, da articolo su endometriosi, del 28.03.23, lastampa.it).
Ci hanno detto che se il matrimonio fra uomo e donna è una istituzione arcaica e
antiquata, le unioni omosessuali, invece, sono una realtà da perseguire, tutelare ed
incentivare e noi ci abbiamo creduto, non ci sposiamo più e ci inchiniamo rispettosi
davanti alla coppia gay che vive la propria coniugalità.
Ci hanno detto, anche, che la procreazione non deve essere vincolata alla
eterosessualità della coppia, ma che spetta di diritto anche a coppie omosessuali, ci
abbiamo creduto, così adesso, dopo aver sottratto ai nostri figli la figura paterna,

gliene stiamo attribuendo addirittura due (o anche più, perché no), seppure,
stavolta, sacrificando la figura materna, così adesso le donne abortiscono, mentre i
maschi omosessuali fanno carte false per avere figli.
Ci hanno detto che, a causa di una spaventosa ed imprevedibile pandemia, era
scientificamente necessario e moralmente doveroso vaccianarci tutti
indististamente, con un prodotto semisconosciuto, non escludendo neppure i nostri
figli, ci abbiamo creduto, abbiamo obbedito e lo abbiamo fatto, in preda ad una
fiducia cieca, forsennata e terrorizzata.
Ci stanno dicendo che dobbiamo fare la guerra alla Russia, che le nostre case non
rispettano i parametri di efficienza energetica, che non dobbiamo inquinare il
pianeta, ma che però dobbiamo accettare, di buon grado, la nave rigassificatrice nel
porto di Piombino, che non dobbiamo usare più il denaro contante, che se stiamo
morendo, dopo la dose vaccinale, non vi è alcuna correlazione con quella, che,
che…che…..
e noi sempre qui, ad obbedire.
Noi siamo come Gertrude che, pur non volendo diventare monaca, disse sì, per la
prima volta “scrisse al padre una lettera piena d’entusiasmo e d’abbattimento,
d’afflizione e di speranza, implorando il perdono, e mostrandosi
indeterminatamente pronta a tutto ciò che potesse piacere a chi doveva
accordarlo”.
Nonostante che “Spaventata del passo che aveva fatto, vergognosa della sua
dappocaggine, indispettita contro gli altri e contro sé stessa, faceva tristamente il
conto dell’occasioni, che le rimanevano ancora di dir di no”, sappiamo bene che

“la sventurata“ travolse tutto il suo destino con quel primo, irreversibile, fatale
gesto di ubbidienza.
Noi, come la Monaca di Monza, abbiamo detto il primo sì e non abbiamo più potuto
tornare indietro.
Sì al Divorzio, sì all’Aborto, sì al Gender, sì alle Unioni Omosessuali, sì all’utero in
affitto, sì al vaccino, sì alla guerra, sì a tutto il resto.
Ma non siamo stanchi di ubbidire? Non siamo stufi di dire sempre di sì ? Vogliamo
smetterla di delegare la nostra vita? Vogliamo inziare a fare da noi, vogliamo
iniziare a pensare, a decidere, a scegliere, ad agire secondo le nostre idee?
Coraggio, rialziamoci. Diamo una svolta alla Storia. Possiamo farcela.

Firenze, 30.03.2023

Stefania Celenza

1 commento su “STEFANIA CELENZA: “Gertrude disse sì”

  1. Bellissima riflessione cara Stefania e la condivido totalmente. Molte persone hanno scelto semplicemente la via larga, quella del conformismo per essere accettati socialmente. Si sono dimenticate che la via più semplice conduce direttamente agli inferi, anche se spesso è lastricata da buone intenzioni.
    Inoltre, utilizzare il senso critico e la ragione implica una buona dose di sacrificio che la maggior parte degli individui, ormai rovinati dalla politica “panem et circenses”, non sono più avvezzi a fare, così come non sono più avvezzi ad ascoltare la propria coscienza.
    Un grande danno lo ha fatto anche la scuola. In essa non si formano più le menti, non si insegna più agli studenti a ragionare (e una grande mano lo ha dato la soppressione dell’insegnamento della lingua latina).
    Per questo ritengo sia essenziale continuare nella formazione sia nostra che per le persone che vogliono avvicinarsi alla nostra realtà: testimoniare che costruire un nuovo modello di vita e di stato è possibile. Insieme c’è la possiamo fare!

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